«Non vado a scuola perché la mia famiglia ha bisogno di soldi. Quello che guadagnano i miei genitori non ci basta per vivere», dice Chan sottovoce, con lo sguardo basso e il sorriso sommesso che contraddistingue chi è timido. «Siamo quattro fratelli, gli altri frequentano ancora le lezioni, sono piccoli. Io ho dovuto smettere perché ho 13 anni e la mia famiglia aveva bisogno di me. Però andare in classe, vedere tutti i giorni i compagni, mi manca, mi piacerebbe tornarci», continua a spiegare mentre riempie i piatti di riso appoggiati sul bancone del ristorante dello zio, sporco della terra rossa che le auto alzano quando passano lungo la strada non ancora asfaltata, che dal villaggio di Kdol arriva a quello di Santey, nella piccola provincia di Kampong Chhnang, neanche a 100 km dalla capitale della Cambogia, Phnom Penh. Una città che negli ultimi anni ha cambiato volto ed è passata dagli 800 mila abitanti di fine anni ’90 agli oltre due milioni di oggi.
Grazie soprattutto agli investimenti della Cina, con cui il primo ministro dal 1998 Hun Sen ha avvitato una partnership da più dieci anni, la Cambogia è tra le economie al mondo che crescono più velocemente.
Ma dietro ai benefit che sono evidenti alle migliaia di turisti che visitano ogni anno Phnom Penh - comfort, wifi, pagamenti con carta di credito ovunque - alle spalle dei grattacieli, autostrade, infrastrutture, nuove aziende e servizi, c’è uno sviluppo fortemente diseguale.
Solo alcuni settori della società, come chi lavora nel turismo o chi possiede terreni, stanno beneficando della crescita. Il 17,8 per cento della popolazione vive in povertà secondo i dati dell’Asian development bank, il 9,2 per cento pur lavorando vive con meno di due dollari al giorno.
«Proprio il fatto che la maggior parte dei lavori siano poco qualificati e poco pagati spinge tanti cambogiani a migrare. Sia internamente, dalle aree rurali verso le città, sia in altri Stati, soprattutto in Thailandia», spiega Andrea Cefis, rappresentante paese per l’ong WeWorld che si batte per i diritti dei più vulnerabili in Cambogia dal 2009 per promuovere l’educazione, la protezione dei minori e una migrazione sicura. Secondo le Nazioni Unite erano 1 milione e 105 mila i cambogiani che vivevano all’estero nel 2020. «Purtroppo molti non sono a conoscenza dei loro diritti e dei canali regolari per muoversi. Così lo fanno illegalmente, con il rischio di diventare vittime di tratta», aggiunge Cefis. «Il fatto che molti si trasferiscano per lavoro lontano dalle famiglie è uno dei fattori che concorre all’elevata dispersione scolastica che caratterizza la Cambogia. I bambini che hanno i genitori che lavorano fuori sono meno seguiti e abbandonano con più probabilità il percorso di studi».
Anche se la motivazione principale resta la necessità di contribuire al sostentamento della famiglia. A cui si aggiunge il fatto che i percorsi di formazione non incontrano le richieste del mercato dell’occupazione.
Così, come Chan che a 13 anni ha lasciato la scuola per lavorare nel ristorante di famiglia, sono tantissimi i minori cambogiani che abbandonano gli studi prima del tempo. Secondo i dati del ministero dell’Istruzione, gioventù e sport del regno di Cambogia, che negli ultimi anni sta investendo molto per promuovere l’istruzione, se oltre due milioni di bambini si iscrivono alle elementari, sono poco più di 600 mila quelli che completano le scuole secondarie inferiori. Nell’anno scolastico 2021/2022 gli studenti che hanno finito le superiori sono stati 360 mila. A fronte di una popolazione in continua crescita e molto giovane, più del 30 per cento dei cambogiani ha meno di 14 anni, almeno 5 milioni di persone.
«Abbiamo diversi progetti attivi nel paese per contrastare la dispersione scolastica. Soprattutto nelle aree rurali come Kampong Chhnang dove spesso succede che le famiglie non abbiano i soldi per comprare cartelle, libri e quaderni ai bambini. Oppure le biciclette che sono indispensabili per raggiungere la scuola per la maggior parte degli studenti, soprattutto per chi ogni mattina percorre fino a 10 km con temperature che si avvicinano ai 40 gradi», conclude Cefis.
In Cambogia in tutto ci sono più di 13 mila scuole, con una media di circa 40- 45 alunni per classe. «Non è sempre facile seguire bene gli studenti in classi così numerose, soprattutto quando c’è qualcuno che apprende più lentamente di altri o che per impegni di famiglia è costretto a fare periodi di assenza. Ma siamo molto attenti, conosciamo gli allievi, monitoriamo le situazioni. Se uno studente manca più giorni andiamo a casa a chiedere spiegazioni ai genitori», commenta Mean Vannamara, direttore della scuola elementare di Ceklinphal, che accoglie 422 studenti. «A volte le bambine ci chiedono di fare una pausa per andare a cucinare il riso. Vogliono essere sicure che quando i genitori tornano a casa dal lavoro sia pronto - aggiunge Tuy, un’insegnante - «noi lo sappiamo, siamo abituati, cosi aspettiamo che rientrino in classe».Tuy, come tutti gli insegnanti statali in Cambogia, guadagna 300 dollari al mese.