Una mattina di nuovo difficile per le banche in Borsa, che in un contesto globale ricco d'incognite non trovano la forza per recuperare dalla discesa di ieri. Tra i titoli peggiori c'è ancora Unicredit che a metà mattina perde quasi il 5 per cento, mentere regge meglio Intesa Sanpaolo (-0,95 per cento), mentre Mps si rimangia i progressi di ieri e perde quasi il 6 per cento.
Gli occhi degli investitori in questi giorni sono puntati sulla reazione agli stress test che hanno coinvolto le cinque maggiori banche italiane (oltre alle tre citate, anche Banco Popolare e Ubi Banca), ma anche sui risultati del primo semestre del 2016, attesi in settimana.
Un segnale non brillante è venuto questa mattina dalla Germania, dove il gruppo Commerzbank ha annunciato di aver visto nel periodo gennaio-giugno i profitti operativi scendere da 1.089 a 615 milioni di euro. Nonostante gli esiti positivi degli esami condotti dall’Autorità condotta dall’Eba per quattro banche su cinque – solo il Monte non ha superato la prova in un potenziale scenario avverso nel 2018 – i mercati restano dunque diffidenti, anche se nell’immediato è difficile attendersi grandi mutamenti nelle prospettive. Standard & Poor's in un report ha messo nero su bianco che le banche europee, nell’inisieme, sono più forti e che non è atteso un cambio immediato di rating degli istituti.
Una situazione, questa, ben diversa dal 2014 quando gli esami avevano coinvolto in autunno 15 banche italiane sottoposte a prove “di sforzo” ancora più complcate. In quell’occasione la pagella negativa era toccata ancora a Mps e a Carige per le quali era stata indicata una carenza di capitali per 2,9 miliardi totali. Entrambe hanno poi messo in atto quello che in gergo si chiama “capital plan”, un piano di rafforzamento patrimoniale. Sotto esame, oltre a Siena e Genova, erano finite altre 13 banche. Tra queste, 7 erano risultate in deficit: Veneto Banca (per 714 milioni), il Banco (per 693 milioni), Bpm (per 684 milioni), Banca Popolare di Vicenza (per 682 milioni), Creval (per 377 milioni), Sondrio (per 318 milioni), Bper (per 128 milioni). Queste pagelle avevano comportato misure di rafforzamento e rilancio nella maggior parte dei casi andate a buon fine, in altri – è il caso per esempio di Vicenza e Veneto Banca – tutt’ora in corso.
È dunque nel contesto generale molto difficile che va probabilmente inquadrata la reazione negativa dei mercati agli stress test, visto che l'intero settore creditizio - in Europa e in Italia - sembra faticare a rimettersi in cammino su un percorso di ripresa. Al punto che - come suggerito di recente dal Fondo monetario internazionale, in uno studio che non esprime la linea ufficiale ma che ha avuto parecchia eco - potrebbe essere necessario effettuare gli stress test anche sulle banche più piccole, che questa volta sono state risparmiate.
L'opera di rafforzamento del settore, però, rimane del tutto in corso. Le due banche venete, ad esempio, dopo scandali e cambi di management, hanno varato ricapitalizzazioni per 2,5 miliardi complessivi. In seguito a perdite monstre e a crisi reputazionali, il salvataggio è avvenuto sotto la regia di Atlante, un fondo creato per mettere in sicurezza il sistema. Il veicolo, archiviate le ricapitalizzazioni, non è riuscito però a quotare gli istituti come da programma in quanto non è stato raggiunto il flottante necessario (25 per cento) per permettere, come da regolamento, lo sbarco sul listino. Ora il fondo è l’azionista di riferimento (li controlla pressochè totalmente).
A Vicenza ha già tenuto la sua prima assemblea da azionista e ha iniziato, insieme al nuovo management (l’ad Francesco Iorio e il presidente Gianni Mion), a lavorare per il futuro della banca. Il Fondo, però, tanto a Vicenza quanto in Veneto Banca è destinato a uscire dal capitale. L’exit non sarà immediata e avverrà solo quando avrà terminato l’opera di risanamento e completato il disegno per rafforzare gli istituti, forse anche tramite un’aggregazione. Intanto l’8 agosto Montebelluna ospiterà l’assemblea degli azionisti di Veneto Banca. Un appuntamento che sancirà un taglio netto col passato, in quanto verrà nominato il nuovo consiglio di amministrazione targato Atlante.
Un’altra pagina difficile per il sistema bancario porta i nomi di Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Banca delle Marche, Cassa di Risparmio di Ferrara e Cassa di Risparmio di Chieti. I quattro istituti, presieduti ora da Roberto Nicastro, dopo essere stati commissariati, sono stati messi in sicurezza col decreto salva-banche di novembre. I crediti in sofferenza sono stati separati dalla parte “buona” della banca e gli istituti sono stati messi in vendita. Per ora, per le cosiddette good bank, sono arrivate tre offerte. Apollo e Lone Star si sono fatti avanti per rilevare l’intero pacchetto delle quattro banche, così come auspicato sin dall’inizio dal socio unico Banca d’Italia. Una terza offerta sarebbe stata presentata per rilevare esclusivamente la società di assicurazioni Bap Vita di Banca Etruria (una possibilità prevista dal bando emesso a gennaio). Mentre una quarta busta sarebbe stata inviata dal fondo di private equity Apax per chiedere di avere più tempo per rientrare nella partita. Ora le offerte verranno analizzate dagli advisor del fondo di risoluzione, Société Générale e Chiomenti, e successivamente Via Nazionale dovrà esprimersi in merito. Difficile che il Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi scenda in campo. Tramite il suo schema volontario il veicolo presieduto da Salvatore Maccarone potrebbe, per legge, intervenire. L’argomento però sembra fuori discussione in quanto mancano all’appello i capitali necessari per entrare nella partita. L’obiettivo rimane quello di cederele banche in blocco entro settembre.
Le banche popolari di maggiori dimensioni sono invece alle prese con la trasformazione in soscietà per azioni, in seguito alla riforma delle banche popolari voluta dal governo Renzi. Un appuntamento atteso da tempo che però le cooperative hanno puntualmente rimandato, ad eccezione di Ubi Banca. Se si escludono la Bpm e il Banco Popolare che corrono spedite verso la prima (e forse l’unica) grande fusione dell’anno, le sei grandi popolari rimaste convocheranno con ogni probabilità le assemblee dopo l’estate: i soci, tra ottobre e metà novembre, saranno chiamati a votare questo passaggio storico che contempla l’addio al voto capitario. Un passaggio obbligato imposto dalla riforma che, in caso di mancata trasformazione in spa, prevede la liquidazione dell’istituto. In vista di questo appuntamento alcune banche si stanno adoperando per rafforzare la governance. Alcuni istituti come la Bper starebbero interloquendo per rafforzare il peso delle fondazioni nel capitale e creare così un nocciolo duro di azionisti del territorio in grado di ragionare sul lungo periodo.