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Cultura
ottobre, 2011

Chi si compra un paglio di scarpe

E chi mangia la cazzata siciliana, chi quando ha un problema lo sodomizza, chi tutti i giorni vuole sempre l'ostesso. No, non siamo impazziti: stiamo parlando del nuovo libro di Stefano Bartezzaghi sulla lingua italiana sempre più barbara

Primo consiglio fondamentale: evitare il "Drink & Dial" e il "Drink & Connect", ossia l'sms o la mail digitati e spediti alle due di notte, da ubriachi, al disgraziato di turno. La mattina dopo magari non ve ne ricordate nemmeno ma, come dicevano gli antichi, "scripta manent". Sono gli inconvenienti della comunicazione al tempo di Facebook quelli che il linguista Stefano Bartezzaghi mette al centro del suo acuto e spassoso saggio "Come dire" (in uscita con Mondadori), che va inteso non solo come l'abusato tormentone per prendere tempo nei momenti di afasia, ma anche in senso letterale, come un galateo e bon-ton della parola. Perché Bartezzaghi, figlio di un re dei cruciverba grande firma della "Settimana enigmistica", è un innamorato delle parole, che nei suoi libri indaga con curiosità mai pedante o parruccona, ma giocandoci da funambolo leggero.

Secondo lui oggi, come nell'abbigliamento - dove dal vestito della festa si è passati alla tuta forever - anche nel linguaggio c'è uno scivolamento in basso. Se fino a poco tempo fa il "tu" era usato solo con parenti, bambini e amici intimi, e il turpiloquio solo con amici intimi e mai con persone di sesso opposto, adesso il "tu" è debordante, il turpiloquio è assurto in Parlamento e anche le mamme con bebè dicono moltissime parolacce. Nei new media si trascurano ortografia e sintassi, che sempre più inseguono il linguaggio parlato, cercando l'effetto e la semplificazione a tutti i costi. Le sfumature non interessano più a nessuno, signora mia, scherza Bartezzaghi.

Risultato: nell'era della comunicazione globale anche il rischio di dimostrare la propria ignoranza cresce a vista d'occhio. Su Facebook è nato un gruppo che si chiama "Scartare corteggiatori e potenziali amanti per gli errori di grammatica", che mette in fila perle come queste: "È nel mio carattere: quando qualcosa non va, io sodomizzo", piuttosto che "Ho un nuovo paglio di scarpe" e "Come stai? Sempre l'ostesso".

E ancora: i ristoranti sfoggiano leziosi menù lunghi come romanzi, in cui il budino è una "formella di biancolatte con pioggia di cacao forte, stille di caramello e ribes nero", o tradotti male ("dessert: la cazzata siciliana"). Ai tempi di Internet si scrive il triplo e Bartezzaghi, che ha una memoria da elefante e una passione da archivista, si diverte a elencare svarioni, giochi di parole e doppi sensi. Oltre a mettere alla berlina comportamenti e costumi.

Dar nome a un figlio, per esempio, sarebbe per l'autore "uno dei contributi alla lingua nazionale più importanti che un cittadino medio può dare". Ebbene, se nel boom economico andava il nome con un sound di prestigio, tipo Massimiliano e Sebastiano, l'esotismo dei Settanta ha prodotto Katia e Samantha fino agli odierni Kevin, Ariel e, il più bello, Maikol. Scritto proprio così.

La crociata di Fruttero & Lucentini contro le arditezze battesimali è perduta, ammette l'autore. Che riempie pagine di vecchi nomi meravigliosi come Opachiesella, Ermippo, Utilla e Formidabro. Oggi, Chanel Totti e Falco Briatore. Del resto è tutto sintetizzato nei nomi di una delle più celebri famiglie italiane, gli Agnelli. Il capostipite era Giovanni, poi Gianni e John. Che i suoi figli l'ha chiamati Leone e Oceano.

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