La crisi ha colpito le spese degli italiani per gli svaghi e le attività culturali. Ma la situazione non è nera. Va il film italiano e per opera e classica si fa la fila

È vero: la cultura è in crisi. I cinema non sono pieni e anche i teatri sembrano mezzi vuoti. Ma se è per questo (con buona pace dell'ex premier) non si vedono folle neanche tra i tavolini dei ristoranti. Perché la crisi morde e mastica tutti i consumi, compresi quelli cosidetti culturali sebbene, a sentire i sondaggi, dovrebbero diventare una sorta di bene rifugio per italiani che, finalmente, hanno scoperto le loro priorità e alla giacca firmata preferiscono il nutrimento dell'anima e l'abbonamento all'opera.

Di certo i dati che ha recentemente presentato l'Osservatorio dello spettacolo della Siae sul primo semestre 2011 a prima vista appaiono preoccupanti, ma a guardare meglio sfumano in luci e ombre. Aloni scurissimi si allungano sul totale dei consumi e sul diretto confronto con l'analogo semestre del 2010: meno 3,81 per cento. Cifra consistente, che diventa però un meno 0,81 se si calcola il solo acquisto di biglietti e abbonamenti. Il 3 per cento infatti è finito nella gestione oculata di spettatori che hanno tagliato ogni "prestazione accessoria": termine Siae per indicare bibite, guardaroba, caffetterie, gadget. Viva l'Italia che resiste risparmiando sulle "bazzecole, quisquilie, pinzellacchere" che ora piangono 559 milioni di euro in meno rispetto a un anno fa.

La crisi si è mangiata il pop corn. Ma per fortuna resta il film e soprattutto il film italiano, che si attesta ai primi posti del box office, spodestando i colossi americani che fino a qualche anno fa sembravano inamovibili. E invece "the winner 2011 is..." uno spilungone pugliese in trasferta a Milano (Checco Zalone in "Che bella giornata", circa 43 milioni e mezzo di euro, poco meno del "Titanic"). Il nostro Sacha Baron Cohen in versione barese con una risata ha seppellito un maghetto adolescente saputello, carico di effetti speciali e "Doni della morte" da polo del lusso, quale Harry Potter. Fosse solo lui, si potrebbe gridare al miracolo. Ma invece la rivincita del cinema italiano è ormai tendenza perché al terzo posto arriva "Immaturi" di Paolo Genovese saga di trentottenni che devono rifare l'esame di maturità ; il quarto lo conquista Albanese-Cetto La Qualunque ("Qualunquemente") che sfiora i 16 milioni di euro e certo non solo in virtù dell'antiberlusconismo; il sesto le "Femmine contro maschi" di Fausto Brizzi. E così via patriotticamente inneggiando anche all'ingresso nei primi dieci posti dei "Soliti Idioti", che tanto idioti non devono essere a giudicare dai 10 milioni già incassati da un film ancora in sala.

Ma sarà la crisi a renderci tutti così italico-dipendenti? Secondo Paolo Protti, presidente dell'Agis (Associazione generale italiana spettacolo) non è tutto merito nostro, in larga parte è anche colpa degli altri: "Ci fosse stato un altro "Avatar" o un'altra "Alice" di Tim Burton in 3D, forse i dati sarebbero diversi", spiega. E noi non avremmo il petto così gonfio. Il cinema Usa ha battuto la fiacca, la crisi ha incrinato l'incantesimo del 3D a 12 euro e il tutto ha fatto disperare gli esercenti che hanno visto crollare del 10 per cento incassi e presenze. Ma Protti, che è signore pacato e riflessivo, invita a guardare cosa accadde nel lontano 2009, quando la crisi non era così seria, nei listini non figurarono i block buster della scorsa stagione e gli incassi furono più o meno come quelli attuali. E quando infine ci indica le quote di mercato, si scopre che mentre Hollywood in un anno ha perso quasi 13 punti, l'Italia grazie soprattutto ai nostri comici è passata dal 26,88 per cento al 36,03 per cento. E son soddisfazioni.

Orgoglio patrio che cresce leggendo i dati dei visitatori a grandi e piccole esposizioni che in tutta la penisola hanno celebrato i 150 anni dell'Unità di Italia. Potevano diventare contenitori vuoti di gente e pieni di retorica. E invece quella sfilata di palpiti risorgimentali, tele giganti con cornici dorate cariche di camicie rosse, sbarchi in Sicilia, tricolori con stemma sabaudo e trionfanti entrate dei Mille a Calatafimi, ha segnato record di pubblico nonostante (o a causa chissà) la globalizzazione, Facebook, Twitter, Fukuyama e la fine della Storia. E così "Fare gli italiani 150 anni di storia nazionale" a Torino con allestimento multimediale, creativo e tecnologico, dove grazie a isole tematiche si racconta chi siamo e da dove veniamo (Italia delle città, campagne, scuola, chiesa, migrazioni, Prima guerra mondiale, Seconda guerra mondiale, etc.) in 327 giorni di apertura ha contato oltre 300 mila visitatori con media giornaliera di 935 persone. Incredibile ma vero. E non bastano le scuole a fare questi numeri: "Negli anni", sostiene il fiducioso presidente di Federculture Roberto Grossi, "è cambiato l'atteggiamento degli italiani verso i consumi culturali. Non più solo intrattenimento, ma desiderio di condividere esperienza e conoscenza. La cultura è anche un rafforzamento della nostra identità e forse per questo in un momento critico cerchiamo le radici. E se poi oltre a queste troviamo anche un miglioramento dell'offerta è più probabile che il consumo cresca. Fino a 15 anni fa i musei chiudevano alle due del pomeriggio non avevano caffetterie, laboratori, dipartimenti didattici. Se oggi assistiamo a una flessione è solo contingente. L'onda lunga della crescita continuerà".

Certamente l'onda lunga sta toccando lidi imprevisti. Prendiamo il reparto musica&concerti. Non stupisce che il musical sia in buona salute e che "Mamma Mia!" tocchi un record, ma quel 19 per cento in più per la musica lirica chi se lo aspettava? Bisogna dar ragione a Grossi. Fate una buona politica di marketing e conquisterete il pubblico. Ed ecco che al Teatro dell'Opera di Roma, due settimane fa si è assistito a un bivacco dalle prime ore dell'alba neanche fosse la Apple il giorno del Black Friday. Colpa del buon programma, del fascino di Muti e soprattuto degli abbonamenti ridotti che presi per tempo fanno costare un "Macbeth" poco più di un "Re Leone" in 3D. Che è un'opera anche lui, ma non è Verdi.

ha collaborato Alessandro Agostinelli

L'edicola

Voglia di nucleare - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso

Il settimanale, da venerdì 28 marzo, è disponibile in edicola e in app