Un connubio stridente come un'onda anomala, amplificato dai media mentre l'inverno infinito di quest'anno virava brutalmente verso temperature torride.
Risultato: il clamoroso "caso Jolie" che ha percorso come corrente elettrica ogni mezzo di informazione da quando, un mese fa, l'attrice ha fatto outing sulla sua mastectomia preventiva.
Io stessa ho partecipato all'infuocato dibattito, con la sensazione frustrata di spingere verso i binari un treno irrimediabilmente deragliato.
E proprio ora che il clamore sta facendo posto ai sussurri in un immaginario collettivo deformato dalle tante inesattezze dette e scritte, ora che un tema serissimo e attuale sta cadendo nell'oblio come si fosse trattato di un piccante pettegolezzo estivo, credo sia obbligatorio un ripensamento.
Grandi temi aperti: un'occasione sprecata di fare buona informazione a beneficio della salute di genere; le ragioni dell'esplosione di reazioni scomposte; infine l'urgenza etica di ricollocare un tema sanitario con argomentazioni serie e non confondenti. Tutto questo oggi mi spinge, come medico e donna, a scrivere alcune riflessioni.
Ripercorriamo la parabola. Inizialmente, disorientata dalla grandine di reazioni "a caldo" tutte accomunate dall'assurda necessità di una presa di posizione, penso: Angelina si sarà spiegata male. Ma andando alla fonte constato immediatamente che la famosa intervista sul 'New York Times' fornisce un'informazione di qualità eccellente in merito alla problematica della donna ad alto rischio genetico di cancro al seno e ovaio causato da mutazione di tipo BRCA1 (caso Jolie) o BRCA2.
Riprendo a leggere la stampa nostrana e scorrendo con sgomento titoli ad effetto e fuorvianti, avverto la tragedia: non quella della malattia o della mutazione, bensì quella dell'ignoranza, dell'opinionismo improvvisato, dell'autoreferenzialità, della banalità e forse anche della manipolazione.
Passo dall'incredulità allo sdegno.
Sono chirurga senologa, il mio focus professionale è mirato da alcuni anni proprio sul rischio genetico di cancro associato a mutazione BRCA1-2.
Nell'Ente pubblico presso il quale lavoro è stato messo a punto un percorso ad hoc completo, multidisciplinare e dedicato; conosco le donne che ho seguito personalmente una ad una, ne ho incontrate molte altre sul web. Sono tra i coordinatori del team medico designato a redigere le raccomandazioni nazionali con investitura scientifica targata SenoNetwork e lavoriamo insieme a loro, le donne dell'advocacy.
Medici e donne. Noi che conosciamo, per mestiere o per vissuto diretto; noi che ancora ci incontriamo nella maggior parte dei casi quando il terrore evocato dall'esperienza ripetuta di lutto in famiglia ha già assunto i tratti feroci del nodulo, materializzatosi davvero dopo anni paralizzati dalla sindrome della spada di Damocle; noi che sentiamo ancora vibrare nel cuore la voce di giovani donne (Miriam, morta a 33 anni: "ho un gene che vuole distruggermi… ma ne ho tanti che mi fanno amare la vita, la mia fantastica vita!") che hanno lottato come tigri contro una malattia superata da tante, ma non da tutte. Ecco, noi: abbiamo il diritto/dovere di reagire duramente di fronte a un'occasione volgarmente sprecata di buona informazione su un tema complesso e delicato, in cui l'ignoranza può costare la vita.
Inizialmente ho pensato alla possibile influenza delle passate prese di posizione sulla mastectomia preventiva di Umberto Veronesi, paladino del seno per eccellenza, cui dobbiamo l'enorme merito della rivoluzione copernicana della chirurgia conservativa. L'eminente senologo su questo tema ha manifestato attraverso i media contraddizioni comunicative piuttosto forti.

Pensiero riaffermato con forza nel 2011, allorchè al San Matteo di Pavia dove lavoro venne effettuata dal nostro team chirurgico la mastectomia bilaterale preventiva con una nuova tecnica mininvasiva: immediata e fulminante fu la risposta di Veronesi, che tuonò da Repubblica: "Meno bisturi più controlli", poichè "la diagnosi precoce salva in 98 casi su cento. Non è utile operare prima ancora di essere ammalati": "Lla mastectomia preventiva è un passo indietro". Delegittimazione totale.
Da allora la comunità scientifica, già piuttosto indifferente alla problematica del rischio genetico in Italia salvo virtuose eccezioni (tra cui va menzionato un percorso regionale in atto dal 2011 in Emilia-Romagna), inizia una forma di sottile ostracismo verso la scottante problematica in generale e in particolare verso le donne che chiedono la mastectomia preventiva, ben sapendo (sono giovani queste "mutate" e si informano su internet) che all'estero viene praticata ed è contemplata nelle linee-guida americane, europee, persino italiane delle più autorevoli società scientifiche.
Le Jolie italiane esistono, alzano la voce, scrivono libri (Silvia Mari: "Il rischio"), ma lamentano mancanza di interlocutori preparati e centri di riferimento; molti chirurghi operano con lo spirito del "si fa ma non si dice".
Risultato: oggi, dopo la spending review, non è più neanche chiaro al momento se il SSN intenda farsi carico o meno della chirurgia preventiva.
SenoNetwork Italia, rete delle Società Scientifiche senologiche multidisciplinari, nel frattempo individua il tema alto rischio come focus scientifico 2013 e contemporaneamente, per ironia della sorte, un tema "proibito" ad esso correlato diventa grazie ad Angelina l'argomento del giorno.
Dobbiamo ammettere che laddove ancora l'informazione medica è carente tra addetti ai lavori, ora anche le persone comuni hanno un'idea della chirurgia preventiva, colpiti dal fatto che un'icona di bellezza ed erotismo, in un mondo dove tutte si gonfiano, abbia volontariamente rinunciato a una parte così significativa del suo corpo di donna (e che donna!), per paura che le venisse il cancro. Con la sfrontatezza di sostenere: "Non mi sento meno donna per questo".
Per un attimo penso sia un bene: ora l'informazione arriverà e le politiche sanitarie si sensibilizzeranno al problema affrontando il Far West italiano. Poi, guardo desolata i giornali: pur con lodevoli eccezioni, un delirio di messaggi confondenti, fuorvianti, talvolta offensivi.
Una breve carrellata?
Corriere della Sera: Titolo: "Lo sconsiglierei a mia moglie", messaggio fuorviante rispetto all'impostazione del counseling e decision-making multidisciplinare, per non entrare nel concetto di autodeterminazione della donna. Sottotitolo: "La vitamina A funziona meglio". A me risulta: 1. Trattasi non di vitamina A ma di un suo derivato sintetico, fenretinide, teratogeno e di conseguenza somministrato contemporaneamente alla pillola contraccettiva; 2. Funziona meglio? Sull'efficacia di fenretinide è in corso uno studio clinico che darà i primi risultati tra alcuni anni: al momento qualunque affermazione è perlomeno imprudente.
La Stampa riesce a far di peggio, con l'irrituale satira di Giacomo Poretti (dal quale attendiamo delle scuse), che paragona la mastectomia preventiva per rischio cancro all'asportazione del naso per rischio raffreddore. Il settimanale Vero, come si legge in molti altri articoli, ci ripropone il ritornello: "nel 99% dei casi basta la prevenzione". Sembra quasi la ripetizione automatica e acritica del precedente Veronesi-pensiero, o uno slogan pubblicitario ("basta la parola"). In realtà questa affermazione non è supportata da alcuno studio nelle donne affette da mutazione.
Altra tendenza discutibile (Repubblica e altri): ci si affida alla prospettiva del chirurgo plastico, ottenendo una visione univoca e necessariamente autoreferenziale di una problematica squisitamente multidisciplinare.
Quello che davvero mi opprime è la presa di posizione pro/contro un'opzione che è per paradigma una scelta della donna, naturalmente nell'ambito di un percorso che garantisca una scrupolosa informazione e supporto psicologico.
Mi si insinua il dubbio che tutti si siano sentiti in obbligo di raccomandare e confutare perché si tratta della Jolie, ottimo stereotipo per la serie: troppo hollywoodiana per avere un cervello. L'avesse fatto Hillary Clinton forse non avremmo assistito a tanto bisogno di puntualizzare, giudicare, proteggere le donne (sciocchine) dal presunto effetto emulazione (ormai battezzato "effetto Jolie"), denunciato da allarmatissimi chirurghi plastici.
Personalmente, pur lavorando in un ambulatorio dedicato, non ho assistito ad alcun "effetto Jolie"; nel caso, sarebbe comunque stato semplicemente mio dovere ricollocare le richieste della donna in un ambito realistico e di indicazioni scientifiche corrette.
Mi volto allora alla ricerca di una voce femminile competente o autorevole. Donne, niente da dire? Eccomi subito "accontentata" dalle bordate insensate di Lella Costa ("una scelta che non sta mica tanto dalle parti della vita" decreta) e Lorella Zanardo (che farnetica di medicina olistica e ayurvedica, con l'insinuazione che alla fine, semplificando, se ti viene il cancro è colpa tua).
Entrambe dimostrano ampiamente di avere un'infarinatura molto superficiale e di aver ben poco riflettuto su una problematica drammatica e complessa. Per fortuna dovrebbero rappresentare i diritti del femminile e del "corpo della donna" (interesse primario della Zanardo).
Fragrante e liberatorio come un'acquazzone estivo, mi investe finalmente l'urlo di dolore, di rabbia, di indignazione o di bisogno di capire delle Donne. Sia coinvolte direttamente in problemi di tumore al seno giovanile, familiare, ereditario, sia donne semplicemente motivate a una riflessione senza pregiudizi: dai blog, da facebook, dalla rete, di persona. Si modulano su diverse frequenze: argomentazioni intelligenti, sferzanti, pacate, amareggiate o ironiche. Ma non accettano che ancora una volta qualcuno decida per loro qual è il loro bene.
Dal mio ruolo di senologa vorrei dare loro voce: entrare nel merito e parlare finalmente della particolare condizione delle donne con mutazione genetica BRCA 1-2 o comunque alto rischio eredo-familiare, le grandi assenti di questo dibattito almeno sulle testate di punta.
Confesso subito che molto non si sa ancora e la ricerca ferve in questo ambito; ma quel poco che possiamo affermare "basato sulle evidenze scientifiche" va detto e separando accuratamente il grano dal loglio.
Concetto preliminare: non parliamo genericamente delle donne che rischiano il tumore al seno (1 donna su 8 nel corso della vita: 12% di rischio di partenza), bensì di una sottopopolazione molto più piccola numericamente ma con un rischio molto più elevato (60-80%) e associato a rischio di tumore ovarico (20-40%). Tradotto in numeri: si calcola che il 5-10% dei tumori mammari sia di tipo ereditario, e che un individuo su 600 circa sia portatore di mutazione genetica BRCA 1-2.
Altro concetto cardine: è come se parlassimo di un altro tumore rispetto a quello al seno che conosciamo, da cui le donne sono egregiamente protette dai programmi di screening mammografico per intenderci. Perché? Le differenze sono molteplici. La mutazione si trasmette (50% di possibilità) da genitore a figlio, quindi il cancro del seno (e/o dell'ovaio) colpisce tipicamente tutte le generazioni di una famiglia. Presenta con maggior frequenza caratteristiche biologiche di aggressività ed è più sensibile alla chemioterapia, ma la guarigione è meno correlata alla precocità della diagnosi.
La fascia d'età più colpita è proprio quella non protetta dallo screening, tra i 30 e i 50 anni, con una tendenza nelle generazioni all'insorgenza del cancro in donne sempre più giovani (per esempio: nonna a 68 anni, mamma a 43, figlia a 31).
Queste caratteristiche, unite alla scarsa informazione sull'esistenza stessa del problema e della possibilità di verificare il rischio genetico attraverso un test su un campione di sangue (quante donne in Italia hanno avuto queste informazioni attraverso l'outing di Angelina anziché dal loro medico di fiducia?), concorrono a diagnosi tardive, cure devastanti, mortalità elevata.
La donna ad alto rischio, che sappia o meno dell'esistenza di una predisposizione ereditaria ad avere un tumore, vive nel terrore (sindrome della spada di Damocle), perché molto spesso ha un vissuto di malattia e di lutti familiari che la fa sentire predestinata. Sono donne giovani, provate dal dolore e da perdite importanti, terrorizzate per il futuro dei figli ancora piccoli (se ne hanno), paralizzate nel pianificare la loro vita perché tanto la malattia arriverà.
Ci piacerebbe che l'ingegneria molecolare fosse già in grado di "riparare" il danno genetico, ma ad oggi è ancora un sogno. Una donna a rischio familiare, ben informata su vantaggi e limiti del test genetico, può scegliere se effettuarlo o no.
Nel centro in cui lavoro oltre l'85% delle persone cui è proposto accetta di effettuarlo.
Dopodichè: se una donna sana scopre di essere portatrice di mutazione BRCA1 o 2, per gestire il rischio di tumore può optare sostanzialmente tra due possibilità: la sorveglianza (controlli ogni 6 mesi) o la chirurgia preventiva (asportazione di seno/ovaie). La farmaco-prevenzione è un'ulteriore opzione da associare ai controlli, praticabile in casi selezionati e aperta a novità nel prossimo futuro.
Le molte imprecisioni lette, forse con l'intento di non diffondere allarmismo, dipendono dall'arbitrario utilizzo di informazioni valide per il tumore al seno sporadico ma non applicabili al cancro-BRCA associato. "Basta la prevenzione" nel 99, 98, 95% dei casi, è stato detto. Questi numeri creano equivoci. Rappresentano infatti le percentuali globali di sopravvivenza a 5 anni dopo tumore al seno: che nel il 90-95% dei casi è sporadico, in donne solitamente ultra50enni protette dallo screening mammografico.
Premesso che parlare di stime a 5 anni nel caso della mammella non ha molto significato (per valutare la mortalità occorrono stime a 10, meglio a 20 anni), il fatto è che la "prevenzione" clinico-strumentale (i famosi controlli) nelle donne ad alto rischio genetico è un tema ben più complesso.
E' dimostrato che i programmi di sorveglianza, attuabili peraltro ancora in pochi centri, in Italia garantiscono una diagnosi precoce nel 90% circa dei casi di mammella, mentre non sono efficaci per il tumore ovarico.
Occorre precisare inoltre che la diagnosi precoce non incide sull'alta percentuale di rischio di sviluppare comunque un tumore, e che il beneficio sulla mortalità non è ancora noto. Quindi: se è bene che vengano sottolineati i limiti dell'approccio chirurgico (di cui si è ampiamente letto sui media: impatto sull'immagine corporea, sulla vita sessuale, complicanze, riduzione del rischio drastica ma non a 0), analogamente corretto sarebbe chiarire anche i limiti della sorveglianza. Nonché i vantaggi di entrambe le opzioni.
In sostanza, il bivio decisionale è: scommetto sul gioco d'anticipo puntando sulla diagnosi precoce con controlli frequenti (sorveglianza), oppure riduco il rischio di tumore dal 60-80% al 5% con la chirurgia preventiva. Una chirurgia che punta il bisturi direttamente nel cuore della femminilità: seno e ovaie.
Il decision-making ("my medical choice") della donna sana con mutazione genetica è talmente complesso che dura mesi, durante i quali molte informazioni da parte di diversi specialisti devono essere assimilate e ponderate bene, con l'indispensabile sostegno di una psicologa competente su questa particolare problematica.
La scelta di Jolie, banalizzata quando non irrisa da molte grossolane osservazioni e arroganti pregiudizi, ovvero la scelta che molte giovani donne scrupolosamente informate da professionisti onesti devono effettuare, non sarà drammatica come "la scelta di Sophie" dell'omonimo libro/film, ma è sempre complessa e conflittuale perché la semplice verità è che non abbiamo al momento soluzioni ottimali.
Su ciascun piatto della propria personalissima bilancia ogni donna mette letteralmente e metaforicamente pezzi di se stessa: pezzi di corpo e di anima. Il suo vissuto, l'immagine corporea, il rapportarsi con il rischio, la sua vita sessuale e relazionale, la concezione soggettiva di qualità di vita, il suo amore di madre, la sua voglia di vivere, l'impronta di lutti pregressi, in fondo la sua filosofia di vita in generale.
Qualunque strada scelga, sarà chiamata a un'elaborazione psicologica importante per ritrovare una nuova forma di equilibrio e benessere.
Noi specialisti possiamo aiutarla offrendo un percorso impeccabile e "su misura", senza decidere in base a nostre convinzioni o pregiudizi. Senza spingerla là dove siamo convinti andremmo noi al posto suo, o nella direzione che "consiglieremmo alle nostre mogli". Oggi si parla di medicina "targeted", a misura di persona.
Forse, banalmente, c'è in fondo la solita resistenza culturale a considerare una donna in grado di fare in autonomia e piena assunzione di responsabilità una scelta importante.
Un tempo si parlava di autodeterminazione. In questi giorni pieni di consigli, sarcasmo, giudizi, ho letto addirittura statistiche inventate di sana pianta: "il 99% delle donne italiane sceglie la via dei controlli (…e…) un corretto stile di vita" (Rivista Vero). Ma siamo purtroppo molto lontani dal disporre dei risultati di un serio studio statistico nazionale.
Lo stile di vita è importantissimo, ma purtroppo l'impatto della variabile mutazione sembrerebbe decisamente più rilevante: un po' avventato dare un ruolo centrale allo stile di vita quando una malattia colpisce donne giovani e giovanissime.
La verità è che le donne italiane con mutazione BRCA nella grande maggioranza dei casi si ammalano prima di essere intercettate affinchè venga loro offerta una forma qualsiasi di prevenzione, precludendo loro a priori, in realtà, la fatidica scelta di Jolie.
Il caso di Angelina, gestito in modo corretto attraverso buona informazione, poteva essere un potente strumento di prevenzione.
Obiettivo temo fallito.
Dopo le numerose prese di posizione irrazionali non sempre all'altezza dell'obiettività che l'uomo (/donna) di scienza dovrebbe garantire, sarebbe bene riflettere sulla realtà che il caso Jolie ha rivelato al mondo, ma soprattutto a un'Italia in cui le eccellenze che affrontano correttamente il tema del rischio genetico associato a mutazione BRCA 1-2 rimangono l'eccezione alla regola, con crescente difficoltà peraltro a causa dei recenti e verosimilmente futuri tagli in ambito sanitario.
Gentile Ministra della Salute Beatrice Lorenzin, il 30 giugno è stata ospite della trasmissione teleCamere su Rai 3 che ha avuto il merito di riproporre l'argomento in termini seri ed equilibrati, presente un'oncologa esperta e Silvia Mari, testimonial di quella che in Italia è stata definita scelta "estrema" ed "eccezionale", la mastectomia preventiva. Ci sono state commozione, complimenti e promesse.
Per passare dalla teoria ai fatti, ci aspettiamo ora un serio coinvolgimento delle Istituzioni che affianchi il gruppo di lavoro scientifico di SenoNetwork Italia sul tema alto rischio, affinc
hè le linee-guida in corso di stesura possano diventare attuative nella sanità pubblica. Il coinvolgimento delle Istituzioni con politiche sanitarie adeguate renderebbe effettiva una prevenzione che oggi è solo occasionale, con la possibilità reale per le donne portatrici di mutazione BRCA 1-2 di fare la loro personale "scelta di Jolie": sorveglianza (+ farmaco-prevenzione?) oppure chirurgia.
Possibilmente prima che l'arrivo del cancro trasformi drasticamente i termini della questione: da donna che gestisce attivamente un rischio a paziente che si sottopone a cure oncologiche.