Subito, le cattive notizie: non si arresta la crisi del mondo del libro. Se il mercato editoriale italiano, nei primi otto mesi dell’anno, ha registrato un 4,7 per cento di fatturato in meno (dati Nielsen), per i piccoli editori va anche peggio: tra librerie, Internet e grande distribuzione, la previsione è di chiudere il 2014 con un 8,6 per cento di vendite in meno.
Diminuiscono i titoli pubblicati: già nel 2013 le novità dei piccoli editori erano quasi il 15 per cento in meno (da 8.076 a 6.880 nuovi libri); quest’anno la previsione è di ridurli di un altro 4 per cento. Scendono i posti di lavoro: erano 7.291 le persone impiegate nel 2012 in piccole case editrici; nel 2013 sono diventate 5.722 (-21,5 per cento), con un intero settore, la microeditoria, spazzato via. La crisi e i suoi effetti sono reali ed evidenti, «ma non sono l’unica chiave per analizzare quanto sta accadendo».
Parola di Aie, l’Associazione italiana editori, che ha appena fotografato il settore, non limitandosi ad aggiornare i segni “meno”. Anzi: ha scavato tra gli editori falcidiati; ha raccolto 250 interviste; ha registrato le difficoltà e le strategie per resistere. E alla fine ha tirato un sospiro di sollievo.
Il risultato è il “Rapporto sullo stato della piccola e media editoria italiana”, che sarà presentato a Roma, in occasione della fiera “Più libri più liberi” (dal 4 all’8 dicembre), e che “l’Espresso” è in grado di anticipare. A partire dalla buona notizia: il mercato del libro che ci troveremo di fronte nei prossimi anni sarà profondamente diverso, ma tornerà a crescere.
L’IMPORTANZA DI FARSI NOTARE
Prendiamo uno dei principali punti critici: la presenza in libreria. I piccoli editori rappresentano, con il loro catalogo, il 18,9 per cento dei titoli in commercio. Tradotto in numeri: 154.937 proposte su 813.092. Fondamentale è dunque il posizionamento nei punti vendita. Sostengono ora gli interessati che la loro visibilità stia diminuendo: se nel 2011 erano 359 (su circa 2000) le librerie che davano risalto agli editori indipendenti, nel 2013 sono diventate 334, 308 nel 2014. «Si conferma che il vero pericolo per il futuro dei libri non è il digitale, ma la difficoltà di farsi notare», sottolinea Giovanni Peresson, responsabile Ufficio studi Aie: «Finora i piccoli editori hanno contribuito a creare, nelle librerie, l’assortimento. Adesso ragioni economiche inducono alla cautela: coi cali delle vendite, si ordinano meno copie e si scommette meno su autori, titoli e progetti editoriali nuovi».
La media di copie ordinate non arriva a tre. «La sfida per i prossimi anni sarà quella di riuscire a raggiungere i lettori», nota Peresson. Un punto debole per la stessa Amazon: «Vai online sapendo già cosa vuoi. Se non conosci titolo o autore di un libro non lo troverai mai. Chi vorrà fare commercio elettronico dovrà tenerne conto». Una strada obbligata: imparare a dialogare coi clienti. E sfruttare le potenzialità dei social network: è lì che circola il passaparola tra lettori. Molti lo stanno già facendo: a ottobre 2014 è su Facebook il 56,4 per cento dei piccoli editori, su Twitter il 30 per cento, su Google+ il 21, su Pinterest il 12,5, su Instagram il 6, su Linkedin il 15,4. E poi su Tumbrl il 5,1, su Anobi il 18,8, su Goodreads il 3, su Zazie il 3,2, su YouTube il 22,1... Il 18 per cento delle case editrici ha un blog.
UNA GALASSIA VARIOPINTA
Quello che è chiaro, è che non c’è uniformità nel modo in cui la piccola editoria sta contrastando la crisi. Il Rapporto individua tre gruppi: “gli innovativi”, un 15 per cento di case editrici, che sta mettendo in campo una molteplicità di pratiche nuove, dall’e-commerce a un buon uso dei social network, appunto. Gli “attardati e in difficoltà”, che hanno innovato poco e pagano con una perdita di vendite: circa il 28 per cento. Il gruppo più grosso è rappresentato dalle imprese “nonostante tutto resistiamo”: il 43 per cento, «a cui basterebbe poco per raggiungere gli innovativi», spiega Peresson: «Formazione, partecipazione a eventi internazionali e, soprattutto, accesso al credito agevolato».
Misure di sostegno politico: ce n’è un grande bisogno. Intanto, la piccola editoria prova a fare da sola. «Proprio nei momenti di trasformazione è necessario investire nel cambiamento per riuscire a gestirlo e non solo a subirlo», interviene l’editore Carlo Gallucci, rappresentante del Lazio in Aie. «Bisogna osare, sperimentare, rischiare. Il nostro obiettivo è concentrare le energie, definendo più chiaramente la personalità del nostro marchio, mettendo a punto struttura, linea editoriale, modello di business».
Hanno esplorato letterature. Scovato nuovi autori. Hanno puntato sulle guide di viaggio o sul fantasy, su fumetto o manualistica. Ora è arrivato per tutti il momento di far tesoro della loro identità. «Tra gli anni Ottanta e Novanta, i piccoli editori hanno agito da esploratori. Oggi devono trasformarsi in editori di “sensibilità”», conferma Antonio Monaco, presidente Piccoli editori di Aie: «Intendo dire che ogni editore deve tratteggiare il suo format, proponendo, oltre ai libri, stili di vita e buone pratiche, un’estetica riconoscibile e un’etica chiara. È l’unico modo per avere un proprio pubblico. Un tempo, bastava proporre un catalogo e preoccuparsi della distribuzione: il lettore ti veniva a cercare. Oggi, l’unico modo per contare è tenere viva la comunità di persone che si riconoscono in un progetto; partecipare ad eventi per incontrare nuovi lettori; essere presenti sui social media e lì parlare il linguaggio più appropriato. Chi riuscirà a rafforzare la sua identità, a costruirsi una reputazione forte, a creare sintonie, avrà vinto».
NON SOLO IN LIBRERIA
Per raggiungere il lettore, ogni occasione è preziosa. E necessaria: dal 2010 a oggi le vendite della piccola editoria sono passate da una stima di 152 milioni di euro a 107,4: 44,6 milioni di euro in meno. Nuovi canali attirano ora l’attenzione: come saloni, fiere, festival, che nel 2013 hanno pesato per il 12 per cento dei ricavi, quest’anno ancor di più. Come sanno all’ultimo Salone del libro di Torino, chiusosi non solo con una folla in aumento, ma anche con maggiori vendite: tra il 10 e il 20 per cento. «La percentuale di libri venduti in queste occasioni quest’anno sarà del 13 per cento», dice Peresson: «Non solo: fiere e saloni danno al lettore la possibilità di vedere esposta l’intera produzione editoriale». Per alcune case editrici specializzate, che da tempo vanno incontro ai lettori nei luoghi da loro frequentati, non è una sorpresa: Ediciclo, per esempio, ha contatti con negozi di biciclette. E altri editori specializzati in natura, botanica, benessere non disdegnano centri wellness o garden center come luoghi alternativi di vendita.
Cresce l’importanza dell’online. Nel 2011 i piccoli editori dichiaravano di vendere nel 75 per cento dei casi nelle librerie fisiche, online nell’8,8. Nel 2012 le vendite in Rete sono diventate l’11,2 per cento, a fronte del 74,7 nelle librerie. Nel 2013 l’online pesava per il 15,6 per cento, le librerie scendevano al 69,3 per cento. quest’anno, pur in assenza dei dati sul Natale, la suddivisione è: il 17,6 per cento di libri è venduto on line, il 67,4 in libreria. Un’erosione, dal punto di vista dei librai, da recuperare al più presto. Anche perché «le librerie sono fondamentali», sostiene, tra gli altri, Sandro Ferri, Edizioni e/o: «Non credo alla sopravvivenza della lettura se rimanessero solo e-commerce e algoritmi».
EBOOK E ALTRI RIMEDI
Nel frattempo, l’innovazione galoppa. Se nel 2013 gli ebook pubblicati dalle case editrici erano il 63,6 per cento dei titoli cartacei, a settembre sono l’81,4. Con conseguenze sui ricavi. Nel 2011 gli ebook pesavano sul fatturato per l’1,2 per cento, i libri fisici per il 70,4 (le altre voci sono attività aggiuntive come corsi, librerie, riviste). Nel 2012 l’ebook rappresentava il 3,8 per cento del fatturato, i libri cartacei il 66,2. Nel 2013 gli ebook sono saliti al 4,7 per cento, gli invece sono il 62,1. Per quest’anno la previsione è che l’ebook rappresenterà l’8,9 per cento, il libro di carta il 61,9. Non solo: nascono collane solo di libri elettronici: da poco più di 2 mila titoli del 2010 ai 6 mila di quest’anno. E su un’altra cosa puntano gli editori: l’internazionalizzazione. Vendere all’estero di più, e meglio, gli autori in catalogo. Nel 2011 i titoli venduti erano 81, nel 2013 sono 159. L’istinto più naturale di questa editoria è andare incontro a nuove letterature e a specifici segmenti di lettori? L’inclinazione è confermata, con ottimi risultati, in due settori specialmente: l’enogastronomia (oltre mille i titoli nel 2013), che ha bisogno, per Peresson, di supporto politico e istituzionale, «pensata com’è soprattutto per i mercati esteri, asiatici in particolare», e la graphic novel: i piccoli editori l’hanno proposta per primi, ora ne capitalizzano l’investimento.
TUTTI IN FIERA
Zerocalcare, Gipi, Maddox. Ci saranno i più grandi disegnatori italiani, alla tredicesima edizione dell’appuntamento romano. Che consolida il suo peso: 400 editori presenti (insieme formano il quarto gruppo editoriale italiano), centinaia di appuntamenti, incontri con autori: da Andrea Camilleri all’ucraino Andrei Kurkov, da Dacia Maraini alla francese Céline Minard, dall’americano Percival Everett a Massimo Carlotto, da Giorgio Vasta, Nicola Lagioia, Marcello Fois a Björn Larsson, Radhika Jha, Philippe Forest.
«Questa edizione, più di altre, sarà la rappresentazione della volontà della piccola editoria di continuare a contare», spiega Fabio Del Giudice, direttore della Fiera: «L’obiettivo è mettere a confronto la crisi e le difficoltà con la vivacità e la passione di chi fa questo lavoro». «I libri devono diventare sempre più affidabili, belli, ben curati. Un buon libro, un buon cibo, una spiaggia, un sentiero di montagna saranno sempre più elementi irrinunciabili di un mondo concreto che, per le persone libere, è il riscatto da un flusso costante di visioni frammentarie», sostiene Marco Zapparoli, editore di Marcos y Marcos. Ma la lezione è chiara: da soli non si va da nessuna parte. «Fare rete, fisica e reale, con tutte le persone che lavorano in questa direzione: editori, librai, bibliotecari, scuole», aggiunge. Perché, chiosa l’Aie, «il problema, nei nuovi scenari di mercato, non sarà essere grandi o piccoli, bensì lenti o veloci: nel trovare nuovi settori di domanda e nel sapersi adattare ai cambiamenti».