Cultura
settembre, 2014

Ballarò vs diMartedì, alla fine vince la noia Il talk show politico non riesce a rinnovarsi

Il buon esordio alla conduzione di Massimo Giannini su Raitre non basta a nascondere il problema del format, ormai incapace di cambiare pelle ed evolversi. Se a qualcuno interessa la qualità del prodotto, allora bisogna rivedere l'intera formula

Un giorno, forse, assieme alle verità indicibili sui tanti misteri italiani, sapremo pure i retroscena dell’esordio di “Ballarò”.

Scopriremo, insomma, chi è il grande vecchio che ha sgambettato l’ingresso in scena di Massimo Giannini: spingendolo prima a intervistare un Benigni esangue, incapace di produrre qualsiasi brivido di risata, e poi mettendolo faccia a faccia con l’ex premier Prodi, maestro nell’invogliare roboanti sbadigli.

Complimenti!

Davvero, di cuore.

Se era un tentativo di testare il conduttore, e sondare di nascosto la sua tenuta nervosa, allora è stata un’idea geniale.

Perché Giannini, dalla sua parte, non ha soltanto il pregio della competenza, e di un’educazione rivoluzionaria tra gli urlatori catodici, ma anche un carico di cocciutaggine degno di somma stima.

Disinvolto al primo colpo oltre le soglie del prevedibile, ancora lento nei tempi ma già in rampa di lancio, ha mostrato che il coraggio non è un concetto astratto.
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Solo che poi, di fronte alle telecamere, si è trovato suo malgrado a celebrare un funerale.

E la figura al centro dell’imprevista funzione era proprio quella di nonno “Ballarò”: già acciaccato -a esser cortesi- nella stagione passata, e oggi immobile malgrado le cure.

Che complicatissima storia, sta andando a cominciare.

Settimane intere a riflettere su chi avrebbe sostituito Floris, passato con sir Caschetto alla corte de La7, ed ecco l’evidenza che il problema era un altro: ovvero l’anima di un talk show incapace di rigenerarsi.

Impiccato alla petulanza del dottor Brunetta, e sballottato pure dai proclami del sindacalista Landini, il cabaret di ieri sera ha preso il solito andazzo, relegando il conduttore al ruolo di vigile.

L’equivalente postmoderno dei tradizionali sonniferi, insomma, oltre che esattamente quello che si sperava archiviato.

Cosa importa, in fondo, se la bionditudine della sondaggista Ghisleri ha sostituito il cranio del transfuga Pagnoncelli?

Quanto contribuiranno alla causa le (sagge) analisi di Ilvo Diamanti, racchiuse in una rubrica che si fa attendere ore?

È una questione strutturale, compagni di Raitre, quella che va affrontata.

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Se interessa la qualità del prodotto, oltre alla sfida con il tiranno Share, allora va ripensato l’intero impianto:
taglio netto agli straparloni in studio, spazio abbondante agli inviati in esterna e scelta secca del tema di puntata. Non quell’incedere zigzagante tra riforme e crisi che ha marchiato la prima uscita.

Impossibile? Può darsi.

L’ipotesi più concreta, in effetti, è quella che “Ballarò” e “diMartedì” si spartiscano gli ascolti tra una noia e l’altra.
Perché questa, alla fine, è la speranza implicita in tutti i telediscorsi: cavarsela senza troppi feriti.

Celebrando, in questo caso, la buona prova dell’apprendista Giannini.

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