Romanticismo casto e "pixelato" in Arabia Saudita. Donne arabe pilota da corsa. Negozi di parruchiere a Gaza e Haifa. Ma anche le cicatrici di una famiglia siriana seguita per cinque anni, da prima a dopo il conflitto civile ancora in corso. E la vita nei campi profughi. Sono solo alcuni degli sguardi, come sempre inediti, della rassegna "Middle East Now" in programma dal 5 al 10 aprile

Portare in scena il Medio Oriente è un'impresa spericolata, oggi che l'Isis sgozza, stupra e devasta Siria e Iraq, con la Libia che è già un'altra Somalia di guerra per bande, la democratica Tunisia sotto attacco del terrorismo islamico, l'Egitto di nuovo scivolato nella morsa tra fanatismo religioso e dittatura paramilitare, le “primavere arabe” diventate il fantasma di una speranza eccessiva rivelatasi una trappola.

Dunque, chapeau a chi ancora riesce a farlo: Lisa Chiari e Roberto Ruta, che sette anni fa s'inventarono a Firenze il Middle East Now festival e da allora a ogni edizione l'hanno ampliato e arricchito, presentando in anteprima registi e opere poi strapremiati ai festival internazionali e spesso arrivati nelle sale non solo d'essai, e aggiungendo spettacoli musicali, mostre fotografiche, persino corsi di cucina. Ora, appuntamento sempre a Firenze dal 5 al 10 aprile, mirano a «far conoscere un mondo nella sua quotidianità oltre la paura, gli attentati, le guerre. Il tema di questa edizione è infatti “Live & Love Middle East”, vivere e amare il Medio Oriente, attraverso le storie raccontante dal cinema, dagli artisti e dagli ospiti speciali che portiamo a Firenze».

Il carnet è assai ghiotto: 44 film dal Nordafrica all'Iran fino all'Afghanistan, mostre fotografiche sui rifugiati siriani, dal vivo Soaud Massi la Joan Baez della musica araba, in cattedra lo chef libanese Kamal Mouzawak, n.15 al mondo. E quest'anno anche danza contemporanea, la performance Love-ism del giovane coreografo israeliano Mor Shani, duetto su santità e peccato sulla falsariga dell' “Arte di amare” di Erich Fromm, venerdì 8 aprile ore 18 alle Murate.
Souad Massi

Varie le chicche. Ma cominciamo dai saloni di bellezza. Sì, proprio. Negozi di parrucchiere. Uno nella Striscia di Gaza, l'altro a Haifa, Israele. In due pellicole che è come si specchiassero giocando a rimpiattino, entrambi caleidoscopi di vite femminili che s'intrecciano in una difficile e instabile quotidianità. La prima è fiction: Degradé dei “gemelli terribili” del cinema palestinese, Tarzan e Arab Abunasser. Nel salone di Christine a Gaza, un giorno che c'è l'elettricità, s'affollano una futura sposa, una donna incinta, una divorziata, una molto religiosa, una dipendente da droghe. Bloccate dentro, perché fuori sparano, una famiglia ha rubato l'unica leonessa dello zoo, Hamas vuole regolare vecchi conti aperti. Complicità, confidenze, vite sciorinate e messe a nudo: protagonista la più talentuosa attrice emergente del cinema palestinese, Maisa Abd Elhadi. Sia lei sia Tarzan & Arab sono a Firenze nei giorni del festival.
[[ge:rep-locali:espresso:285189283]]
Documentario è invece Women in Sink, della giovane regista israeliana Iris Zaki. Che il suo primo cortometraggio, My Kosher Shifts, lo girò al bancone di un hotel per ebrei ultraortodossi a Londra, dove appunto lavorava come receptionist. Presa diretta, Women in Sink. Con la telecamera piazzata sopra il lavandino nel negozio di parrucchiera di una cristiano-araba ad Haifa, spazio di libertà provvisoria per le clienti arabe, ebree, cristiane, ricche e povere. Tutte, ciascuna a suo modo, alle prese con l'amore, la storia e la politica, che sballottano e tranciano le loro esistenze come i marosi fanno coi fuscelli sull'acqua.
[[ge:rep-locali:espresso:285189282]]
L'altro film palestinese presentato in anteprima a Firenze è di quelli che proprio non ti aspetti. Perché la storia è tutta vera, ed è quella del primo e unico “racing team” arabo di sole donne pilota, Noor, Marah, Betty, Mona e Maysoon il loro capitano: belle, giovani, spigliate, combattive, casco in testa ma chiome al vento. S'intitola Speed Sisters, regista è Amber Fares, intreccia adrenalina e intimità, acceleratore e confessioni, speranze, sfide, battaglie. Non ultime, contro i luoghi comuni della e sulla cultura araba.
[[ge:rep-locali:espresso:285189281]]
Inaspettato, ma le sorprese non vengono mai da sole, anche Barakh meets Barakh Barakah, dell'esordiente Mahmoud Sabbagh, protagonista l'attore comico Hisham Fageeh. Perché è la prima commedia saudita della storia. Commedia romantica che narra del timido e ovviamente castissimo innamoramento di un impiegato comunale di Jeddah per la ricca e bella blogger Bibi. Con quello che succede ai blogger in Arabia Saudita, l'unico dubbio è che racconti un'Arabia felix del tutto immaginaria, in cui, come recita una didascalia subito dopo i titoli di testa, “le zone pixelate che vedrete in qualche scena del film sono del tutto normali e non sono da intendersi come un riferimento alla censura”.
Un'immagine da Barakah meets Barakah

Se qualcuno sospetta che tanta quotidianità per noi inattesa o sconosciuta, dalle romaticherie saudite alle Fast & Furious palestinesi, finisca per funzionare come un diversivo rispetto ai disastri e alle devastazioni che stanno falciando il mondo islamico, non tema: c'è in cartellone al Middle East Now Festival, attraverso film e mostre, un'esaustiva disamina delle catastrofi contemporanee di quella fetta di mondo. A Syrian Love Story, documentario girato nell'arco di cinque anni dal cinquantenne inglese Sean Macallister, segue il viaggio di Amer e Raghda dal loro attivismo politico in Siria nel 2009 alla loro vita di rifugiati in Libano e infine di esiliati in Francia. Ciò che, quando leggiamo di quanti scappano dalle loro case bombardate per saltare su un barcone, per noi è numero o al più un'immagine tanto toccante quanto facile da scordare, qui è storia personale che si dispiega nel tempo in tutta la sua durezza e disperazione quotidiana.
[[ge:rep-locali:espresso:285189284]]
Alla Siria sono dedicate anche le due belle mostre fotografiche annesse alla rassegna. Live, love, refugees, del siriano Omar Imam: scatti nei campi profughi in Libano a persone alle quali chiede però di ricreare i loro sogni (di fuga, d'amore, d'odio) dando così vita a immagini anche simboliche che incrociano incubo e speranza. E Our Limbo, della libanese Natalie Naccache, che all'altra fa un po' da contraltare perché segue e restituisce la vita di cinque giovani siriane middle class espatriate per studiare prima che la guerra riducesse il loro paese a un cumulo di rovine, e ora disperse tra Qatar, Dubai, Libano, Londra, New York. Con maggior fortuna dei loro connazionali, ma nella stessa impossibilità di tornare.
Un'immagine dalla mostra "Live, love, refugees" di Omar Imam

L'altra faccia del dramma siriano-iraqeno sono le complicità sotterranee, le connivenze mascherate, i traffici illeciti, le guerre dichiarate a un nemico (contro l'Isis) e combattute contro un altro (contro i curdi). Parliamo della Turchia di Recep Tayyp Erdogan. Che reprime le proteste, arresta i giornalisti, espropria i giornali per aver denunciato i traffici sottobanco di armi e petrolio con quello Stato islamico che a parole si afferma di combattere. Alla regista turca Ye?im Ustao?lu è dedicata quest'anno la retrospettiva del Festival.
La regista turca Yesim Ustaoglu

Lei è un personaggio. Nata nel 1960, ha fatto l'architetto, la giornalista, il critico cinematografico, la sceneggiatrice, per darsi infine alla regia nei primi anni Novanta. Journey to the Sun, del '99, ha fatto scalpore e certo non le ha guadagnato la benevolenza del potere perché è stato il primo film turco ad affrontare, spezzando un tabù, la questione curda: racconta appunto la storia di una coraggiosa amicizia tra un turco e un curdo. Pandora's box, del 2008 ragiona sul ruolo della memoria come meccanismo di fuga, Araf, del 2012, sulla condizione dei giovani, come sospesi in un paese in cui l'economia è cresciuta ma quanto a diritti sta precipitando nel totalitarismo in nome della religione e di un uso discrezionale del potere. A Firenze parlerà anche del nuovo film che ha in lavorazione, Clair-Obscur.

L'edicola

Voglia di nucleare - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso

Il settimanale, da venerdì 28 marzo, è disponibile in edicola e in app