Archivio e oggetti del grande attore e regista scomparso 19 anni fa saranno presto riuniti in un polo museale a Lecce. Un testo aspetta di andare in scena, un gruppo di sue tele in mostra, e la vita potrebbe diventare un film. Mentre si scoprono i versi giovanili

Sopravvivere al tempo, oltre la morte. Miracoli della letteratura e dell’arte. Ecco perché quando riemergono tasselli importanti della vita di un talento è come se uno scrigno magico si aprisse agli sguardi del mondo per condividere parole, storie, emozioni. Lo “scrigno” di Carmelo Bene - attore, regista, scrittore, poeta, o forse semplicemente genio, eretico e intuitivo - è ricco e prezioso, composto da poesie, testi teatrali, libri, arredi, costumi, nastri, fotografie, oggetti personali. Dopo anni di battaglie legali e ostacoli burocratici gran parte di quel materiale è pronto per essere esposto e riunito un’unica sede, il Convitto Palmieri di Lecce, dove entro l’estate sarà aperto al pubblico il Polo bibliomuseale Carmelo Bene.

 

La data dell’inaugurazione verrà annunciata il prossimo 16 marzo, nel giorno del 19esimo anniversario della sua scomparsa. A comunicarla saranno la figlia Salomè Bene, con Raffaella Baracchi (seconda moglie di Carmelo e madre di Salomè), Regione Puglia, Provincia di Lecce, Soprintendenza archivistica della Puglia e Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per le province di Brindisi, Lecce e Taranto, che al momento costituiscono il Comitato scientifico nato dalle ceneri della Fondazione L’Immemoriale e che si occuperà di promuovere e valorizzare il patrimonio culturale e artistico del grande mattatore.

 

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Ma non tutta la documentazione confluirà nel Polo bibliomuseale. Certi ritrovamenti percorrono strade alternative. Le poesie, ad esempio, sono pubblicate nel volume “Ho sognato di vivere!”, dal 3 marzo in libreria per Bompiani, che raccoglie le poesie giovanili finora inedite di Carmelo Bene. Una antologia di versi composti fra il 1950 e il 1958 prevalentemente a Santa Cesarea Terme, lì dove i profumi e i colori sono così intensi da lasciarti stordito.

 

Per anni sono rimasti custoditi fra le carte di famiglia. Carmelo, infatti, li donò a sua madre Amelia, come racconta nella sua nota Stefano De Mattia, figlio di Maria Luisa, sorella di Carmelo. E dopo essere passati di mano in mano fra i familiari più stretti, quei versi sono stati conservati dal nipote per oltre dieci anni, ma con un unico scopo e desiderio: divulgarli. Eccoli, dunque.

 

Ed è emozionante scorgere fra quelle righe temi nei quali Bene si sarebbe imbattuto nella sua carriera (l’amore e il disincanto, la vita e la morte…) o quell’inclinazione verso il beffardo che lo ha sempre caratterizzato, e la sua perenne ricerca dell’ironia. Poesie che sono «una foresta di costellazioni, nebulose e vie lattee, un universo in continua espansione», come scrive Filippo Timi nella prefazione al libro (che anticipiamo a pagina 79). Versi pieni di di vita, di giochi di parole e perfino di punti esclamativi.

 

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«Riunire e pubblicare queste poesie era un progetto che io e mio cugino avevamo a cuore», racconta Salomè, che oggi ha 28 anni e svolge la professione di avvocato fra Roma e Torino: «Ci sono pezzi di vita che riaffiorano in contesti e momenti diversi. La nascita del Museo, per esempio, rappresenta un traguardo importante di cui sono molto fiera, perché sono anni che mi ci dedico, seguendo da avvocato tutti gli aspetti legali. Ma credo sia opportuno dare uno spazio adeguato ad ogni cosa».

 

Questo significa che alcuni oggetti o documenti saranno oggetto di progetti autonomi: «Esiste un testo teatrale inedito che vorremmo pubblicare e che non verrà inserito nel percorso espositivo, come i suoi quadri, 6-7 tele, che speriamo di valorizzare in futuro allestendo una mostra», aggiunge.

 

Intanto c’è il Polo bibliomuseale, un progetto culturale di ampio respiro, aperto alla città di Lecce, agli studiosi e a chi vorrà conoscere l’opera di Carmelo Bene. «Il patrimonio è costituito da circa 6mila volumi (romanzi, testi teatrali, enciclopedie, libri di poesie, prime edizioni, volumi con annotazioni a penna), che saranno a disposizione del pubblico, e poi da una ventina di costumi (tutti gli abiti di “Pinocchio”, più i campioni di altri spettacoli, da “Caligol” a “Salomè”, da “Lo Strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde” ad “Amleto”), oggetti e arredi personali (compreso il suo studio), un archivio contenente nastri, copioni, fotografie, materiale audio e video, recensioni», ricorda Salomè. «Ho sofferto molto per due angeli di scena in resina che avevamo in casa e che sono stati anche oggetto di restauro. So che sono in ottime mani, ma non è stato semplice separarsene. Come non lo è stato separarsi dal beauty case con i trucchi personali, un beauty case antico, con l’incisione delle iniziali C.B.. Sono stata molto indecisa, alla fine mi è sembrato giusto condividerlo. A casa è rimasto un secondo beauty case, meno particolare, ma di eguale valore affettivo».

 

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Un patrimonio preziosissimo, finora conservato in sedi diverse, dal monastero delle suore benedettine al Castello Carlo V di Lecce, dalla Casa del Teatro di Villa Pamphili a Roma alle abitazioni private di Otranto e Roma. «Non è stato facile gestire tutto questo patrimonio nel corso degli anni, ma ora che abbiamo raggiunto l’obiettivo spero che il Convitto Palmieri diventi un punto di riferimento anche per eventi, seminari, iniziative che erano già state previste per il 2020, ma che sono state rinviate per via della pandemia, compresi eventi musicali. Anche per questo speriamo di avere tra i soci del Comitato il direttore d’orchestra Marcello Panni».

 

E altri ancora, magari intellettuali o scrittori, come si augura Massimo Bray, assessore alla Cultura della Regione Puglia: «Carmelo Bene era molto stimato anche da Pasolini, Bodini, Flaiano, Garboli, credo sia naturale aprire il Comitato ad altre personalità, anche per poter approfondire, per esempio, la soggettività nel linguaggio. Stiamo anche immaginando di realizzare un film su Carmelo Bene con Apulia Film Commission. Ne stiamo discutendo con Andrea Occhipinti (Lucky Red) e Franco Maresco».

 

D’altronde proprio Maresco e Ciprì sono stati designati da Carmelo stesso suoi eredi per eccellenza in campo cinematografico, settore a cui il maestro salentino si dedicò per alcuni anni (basti ricordare il film d’esordio tratto dal suo omonimo romanzo, “Nostra Signora dei Turchi”, che gli valse il Leone d’argento alla Mostra del Cinema di Venezia nel 1968).

 

Cosa ricorda di suo padre, invece, ce lo racconta Salomè: «La sua straordinarietà, la sua intelligenza, il suo essere diverso da tutti gli altri. Era fuori dall’ordinario, come padre e come artista. E mi ha insegnato tanto, se sono come sono - una persona attenta e sensibile - lo devo a lui. Il nostro non era un classico rapporto padre-figlia, ma non avrei voluto un genitore diverso da lui. Ricordo molto bene il giorno in cui è scomparso, io avevo 10 anni. Mi sono mancate tante cose da allora. Ma non dimenticherò mai la sua voce, le sue telefonate. Aveva molte mie fotografie in casa. E sono certa che oggi sarebbe felice di sapere che sono riuscita a portare avanti quello che era un suo progetto».

 

Sui suoi percorsi artistici la bibliografia beniana è ricca di titoli, sostenuti da Carmelo stesso, che fu anche un divulgatore della sua poetica. Fra le pubblicazioni più recenti ricordiamo “Un femminile per Bene” di Vincenza Di Vita (Mimesis 2019) e “Il Sommo Bene”, a cura di Rino Maenza (Kurumuny 2019). Fra quelli da recuperare “Sono apparso alla Madonna”, l’autobiografia di Carmelo Bene ristampata da Bompiani nel 2014, e “Opere con l’autografia di un ritratto”, edito da Bompiani nel 1995 (uscito in ebook nel 2014).

 

Ma com’era nella vita privata Carmelo Bene? I suoi ultimi anni di vita ce li racconta in un bellissimo libro Luisa Viglietti - costumista e sua compagna di vita dal 1994 al 2002 -, che riannoda i fili della memoria per rievocare aneddoti, spettacoli, progetti, amicizie, donne e anche un’eredità pesante fatta di tanti conflitti e qualche errore, ma soprattutto per restituire al pubblico quelle giornate condivise con lui, fra gioie e dolori, in poche parole una grande e unica storia d’amore.

 

?“Cominciò che era finita” (pp. 224, euro 16, Edizioni dell’Asino, con prefazione di Goffredo Fofi) ci racconta di un Carmelo diverso, ma pur sempre unico, così lontano dal personaggio che si era creato. A Luisa, e a tutti noi, resta la sua risata, come testimoniano quei versi giovanili che danno il titolo alla raccolta poetica: «Ho sognato di vivere: /era bello! / Seguì un risveglio brusco: / Pensai alla morte / e mi misi a ridere!».

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