Le poesie giovanili ci fanno ascoltare l’origine della inconfondibile voce di un genio del teatro. I versi ritrovati presentati da un grande ammiratore

Alla sorgente della selvaggia sconfinatezza di Carmelo Bene

Come in un big bang primordiale, Carmelo Bene ad ogni parola creava un infinito. Le sue liriche giovanili, reperti di un’architettura sentimentale, ci fanno ascoltare l’origine dirompente della sua voce, forse l’unica che ha saputo incarnare la poesia. Siamo davanti a una sconfinatezza selvaggia, una foresta di costellazioni, nebulose e vie lattee, un universo in continua espansione.

 

Grandi maestri
Teatro, quadri, poesie inedite: così Carmelo Bene sopravvive al tempo
3/3/2021

L’esistenza, l’amore, la vita, la morte, il disincanto, hanno qui un’omerica grazia di sguardo nel prendere coscienza di sé come «bersaglio appariscente», in cui «le passioni del fango / han fatto centro in una volta sola», divenendo consapevolezza nella sconfitta di essere nato uomo.
Ma alla sconfitta il poeta contrappone una «febbre di vita» nell’affermare l’imperativo: «noi vivremo!»

 

Comincia il viaggio, l’interrogarsi sul mondo, il perdersi ad «ammirare incantato / l’avvenire / stellato di sogni», per ricadere di nuovo col pensiero all’umano fango. Bassorilievi di una Grecia intima, età dell’oro di un giovane Apollo che scorge come un futuro ineluttabile la nascita di una divina tragica commedia. Assistiamo alla creazione e all’abbandono di quel mondo apollineo e sentiamo avvicinarsi l’eco dionisiaca in cui presto il poeta si immergerà.

 

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«Come chi torni / a luogo che non ha mai / lasciato, eccomi a te: / no! Non aprir le braccia!» È il sogno quel luogo, nel suo necessario abbandono. Il giovane uomo guarda il cielo e si confronta con esso, domandandosi come «cogliere senza sosta / i frutti del presente / per preparare ciò ch’è da venire». Diventare egli stesso opera d’arte. In una primavera senza ritorno, l’intimo sposa il sublime nello slancio dell’acerbo e il mondo resta nudo.

 

Questi versi di Carmelo Bene sono perle custodite «in uno scrigno / di cui la chiave fu smarrita, / abbandonato in un mare / senza fondo». Quel mare è l’anima del poeta che canta per noi: «Nulla è rimasto. / E dissi: un dì accadrà».

 

Per gentile concessione dell’editore pubblichiamo l’introduzione di Filippo Timi a "Ho sognato di vivere!" di Carmelo  Bene (Bompiani)

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