Che non diventi un’abitudine, ma capita che ci siano dischi da ascoltare, perfino per intero, a dispetto di ogni algoritmo contemporaneo. Soprattutto se è firmato da un artista che prima di farlo ci ha pensato cinque anni, praticamente un’era geologica. Quasi palindromo, o a scarto di vocale, come Eminem che a questo punto potremmo anche definire come il Fabri Fibra americano, il boss è tornato, the father, rispettato da tutti come un Papa clandestino e riservato, un carbonaro rigoroso in un mondo popolato da pagliacci, sincero fino all’imbarazzo, cazzone e maestoso, polemico e autoreferenziale.
Aveva già provato a spiegarlo all’imberbe e giovanissimo mondo rap, che ha capito e non ha capito il suo monito severo, perché c’è musica che senza sincerità muore, e allora l’ha voluto dire ancora una volta, in mezzo al Caos, bellissimo titolo in un 2022 che non è altro che caos, ed è anche la parola più diffusa al mondo, praticamente inalterata in un’infinità di lingue, per ricordare soprattutto che il rap è vertigine della parola, rischio brutale e spettrale di ritrovarsi a un passo dalla caduta.
Fabri è bravissimo nel dire e nel non dire, nel non farsi intrappolare dalla demagogia, se non per prenderla di mira, come oggetto di ironia, in un disco ostinatamente e snobisticamente pensato come opera intera, spezzettabile ma fino a un certo punto, con tanto di Intro e Outro. E nell’intro, per non sbagliare c’è un campione de Il cielo in una stanza, che guarda caso è il momento esatto in cui nella canzone italiana la parola conquistò la sua irrinunciabile importanza. E nel rap la parola è tutto.
Ci sono canne e cocaina, amici e nemici, compagni antichi e presenti imbarcati sulla nave, ognuno per quello che può dare secondo le sue caratteristiche, Marracash a dare malinconica profondità, Neffa per la nostalgia dell’innocenza perduta, Madame per il brivido incosciente della giovinezza, Colapesce e Dimartino per la loro sorniona e spiritosa eleganza, e poi Ketama126, Lazza, Salmo, Francesca Michielin, quasi una foto di gruppo, se per gruppo intendiamo il tumulto che sta portando a una profonda e radicale revisione della musica italiana. Perché questo è il punto. Il capitano di ventura Fabri Fibra da Senigallia è un osservatore scrupoloso, non fa nulla per caso, tutto è messaggio, doppio, triplo, da leggere come semplice confessione, racconto da tazebao giornaliero, che però potrebbe essere uno sfogo ancestrale, un pezzo di mitologia, un litigio di cui solo i duellanti conoscono i termini esatti. E la scena italiana deve fermarsi a pensare. Uno dei suoi padri illegittimi è tornato a dire la sua.