Vorrei presentarvi Auroro Borealo, di professione artista dei nostri tempi. Auroro non è quello che si direbbe un pischello, non è un debuttante, è su pista da un po’ di anni, ha conosciuto Freak Antoni, e si sente, sembra un busker della rete, uno di quelli che si possono incontrare negli immaginari angoli bui delle strade digitali. Il fatto è che ha pubblicato un disco intitolato “HE” che dura in tutto tre minuti con pezzi della durata media di 35 secondi l’uno. I titoli sono: “Ma quant’è buona la pizza”, “Matta per Mattarella”, “L’unico italiano a non aver vinto niente nel 2021”, e altre amenità del genere. Lo ha presentato in anteprima su Tik Tok e poi ovviamente l’ha sparso per ogni dove perché, come si diceva, è un artista dei nostri tempi. Ma nella sua demenziale inconcludenza ci suggerisce che alla musica sta succedendo qualcosa. Non più solo una trasformazione epocale, non più solo un passaggio irreversibile da una qualche forma di fisicità allo stato liquido. Molto di più. È che da liquida sta diventando gassosa, un mondo di bollicine che evaporano senza lasciare traccia.
A farsi un giro su Tik Tok c’è da sentirsi male, dopo una pur breve passeggiata ci si accorge di essere entrati in un mondo dove la musica è essenziale, ma ha diritto di vivere per una manciata di secondi, dopo i quali c’è una immaginaria ghigliottina che cala e tronca ogni possibilità di sviluppo. Come se uno cominciasse a dire «c’era una volta» e poi avesse a disposizione solo altre sette parole per completare la storia.
Potrebbe essere un problema marginale, in fondo parliamo di Tik Tok, del quale si può tranquillamente fare a meno oppure ci si può convivere in pace, come strumento di puro divertimento. Tutto vero se non fosse che i nuovi social hanno l’impudente tendenza a voler plasmare la realtà, a essere modello che tracima in stili e comportamenti sociali, e quindi un poco di vigilanza non guasta. Anche perché se andiamo al corpo centrale del mercato della musica ci rendiamo conto che il problema nasce proprio lì, nel cuore del sistema che oggi è sostanzialmente concentrato sullo streaming.
È nato come semplificazione tecnica, ma la storia ci insegna che i mutamenti tecnici portano con sé tracce di cultura, non sono mai neutri. Facendo giustizia dei supporti fisici, lo streaming ha portato con sé anche un modo nuovo di concepire la musica, spostando l’attenzione sui primi venti secondi del pezzo, fondamentali per decidere cosa fare, se andare avanti o saltare al pezzo successivo.
Se i primi venti secondi non ci convincono, il ditino pazzo tocca e si va avanti. Se dopo i primi venti secondi c’è la nona sinfonia di Beethoven o “Hey Jude”, non lo scopriremo.