C’è un che di sottilmente diabolico nel fatto che il compleanno della Rai abbia coinciso con lo sbarco su Disney+ della serie su Raffaella Carrà. L’icona che più ha rappresentato in ogni suo gesto il senso proprio della tv, quella missione potenziale di racconto del quotidiano, di avvicinamento tra uno schermo per quanto piccolo e il flusso casalingo di emozioni comuni, viene celebrata in tutta la sua magnificenza, ma non dal servizio pubblico.
Dalla scomparsa di Raffaella Pelloni in arte Carrà, viale Mazzini ha messo in piedi bislacchi esempi di applausi da condividere con un pubblico restato orfano di quella star marziana, un po’ di repertorio casuale, opere liriche relegate su Rai Storia, due note nell’ultimo Sanremo e poco più. Il tanto sbandierato speciale “Fiesta” con ospiti, ricchi premi e cotillon è scomparso dai radar dopo roboanti annunci di messa in onda. E nella sfilata di star che ha riempito con ascolti roboanti questa settimana di omaggi, è inspiegabilmente ancora una volta mancato un ricordo unico e dedicato del caschetto biondo che davvero ha fatto rumore.
Così ci ha pensato Daniele Luchetti, in un film in tre puntate che si seguono tutte d’un fiato. “Raffa” appunto, la storia per immagini, testimonianze persino inedite, fotografie e ricostruzioni che mette insieme pezzo dopo pezzo il puzzle di un personaggio capace di contenere in un unico televisivo se stessa e il suo alter ego, l’eros sfrenato e il senso del gioco, angelo delle cucine e diavolo tentatore, il desiderio di spiccare il volo e la costanza metodica di essere nelle case di tutti, dal basso, come un abbraccio tra vicini. E che ha costretto un Paese democristiano a discutere di un ombelico.
Carrà e Pelloni, un viso da bambina e un corpo da donna, la ballerina che non riuscì a salire sulle punte e a cui bastò un ballo nello studio voluto da Renzo Arbore per conquistarsi un posto in prima serata. Raffaella, la divina che balzava in hit parade con “Maga maghella”, parlava inglese, seduceva in spagnolo, piangeva in romagnolo, e che quando ha dovuto subire la malattia non lo ha detto a nessuno.
In tutto oltre 1500 filmati, provenienti ovviamente per la stragrande maggioranza proprio da mamma Rai, che provano, grazie a un montaggio sapiente naturalmente dotato di curiosità e una scrittura a più mani, a rendere il peso di una complessità di cui prendere atto senza l’obbligo di risolvere sino in fondo il mistero latente, quel senso di non detto che si è sempre nascosto dietro a questa donna regale, che in un mondo rigorosamente maschile ha sbriciolato pareti e confini, usato la libertà come un grimaldello. Insomma, indimenticabile per tutti, per la Rai un po’ meno.
DA GUARDARE
«A Capodanno regaleremo degli oggetti per festeggiare in sicurezza: le carabine». Sembrava solo un paradosso esilarante quello dello sketch del sontuoso Stefano Rapone nei panni del politico di destra Galeazzo Italo Mussolini al GialappaShow. Invece era la dimostrazione che la realtà da tempo ha superato la fantasia.
MA ANCHE NO
Una vera e propria rivoluzione culturale ad “Avanti un altro”, il programma con Paolo Bonolis e Luca Laurenti in onda su Canale 5 da tempo (forse troppo): il ruolo della Bonas, la ragazza avvenente che si aggira in studio, verrà sdoppiato. Ovvero due Bonas. Poi dice in tv non cambia mai niente.