Cultura
17 luglio, 2025Mascella squadrata, sorriso smagliante. E la S sul petto. Finito nell’ombra, ora torna con il film di James Gunn. E piace di nuovo. Nell’era in cui i cattivi prosperano, lui resta empatico
D’incontrare un supereroe, almeno una volta nella vita, succede a tutti. Che sia su uno schermo, in un fumetto o su un cartellone pubblicitario, è inevitabile. E, con il dominio indiscusso della Marvel, da vent’anni a questa parte a farla da padroni sono gli Avengers; sono imperfetti e tormentati, e questo ci rassicura: non dobbiamo essere meglio di ciò che siamo. C’è stato un tempo però in cui c’era un solo supereroe. O meglio ce n’erano tanti, certo (anche se non quanto oggi), ma lui era il supereroe. Superman.
Capelli corvini, intrappolati sotto una generosissima dose di gel (dove lo prendesse è un mistero), mascella squadrata, sorriso smagliante. Muscoloso e alto, sempre infilato nella sua tuta blu e rossa al cui centro, proprio sul petto, campeggiava la S di super. Superman è stato il supereroe più famoso al mondo per oltre un trentennio, dagli anni Quaranta ai Settanta. Era ovunque: scatole di merendine, flaconi di shampoo e vestiti. All’indomani dell’incubo della Seconda guerra era il modello per milioni di ragazzini, dagli Stati Uniti all’Europa. Per certi versi, rappresentava quel bello e giusto che nasceva dal sogno americano. Una favola da cui è stato accecato l’intero Occidente.
Non solo un personaggio dei fumetti, quindi, ma anche, soprattutto un archetipo. Superman era l’uomo ideale, un esempio etico spesso paragonato addirittura a figure religiose come Mosè o Cristo. Ideato nel 1938, in un’epoca d’instabilità e scoramento, è nato in risposta al bisogno di giustizia e speranza. Viene da un altro pianeta, ha tratti divini, però sceglie di vivere tra noi, come noi, per aiutarci a migliorare. Era, senza dubbio, il supereroe più amato.
Finché qualcosa non è cambiato: d’un tratto, Superman era noioso. Troppo buono, gentile, sorridente. Troppo ottimista. Troppo luminoso. Troppo perfetto. Un boy-scout in calzamaglia e con il mantello sopra le spalle. Superman non era sfigurato dal dolore, non aveva lati oscuri, tormenti che, in qualche modo, lo rendessero più umano; perché sì, certo, vogliamo i supereroi, però se dobbiamo immedesimarci, non possono essere super al cento per cento. Insomma, Superman era ormai fuori luogo, fuori tempo: era banale. Ed è stato messo da parte per anni. L’ultimo film basato sul suo personaggio che abbia avuto successo difatti è del 1987; quarto capitolo della saga iniziata nove anni prima, diretta da Richard Donner. Poi poca roba e di scarsa riuscita. Il Superman di Bryan Singer, 2006, e quello di Zack Snyder, 2013. Entrambi dei fiaschi di critica e al botteghino.
No, Superman per tanto tempo non ci è proprio piaciuto. Finché qualcosa non è cambiato di nuovo, e il mondo ha ricominciato a guardarlo come il supereroe di cui necessita. Sta capitando proprio in queste settimane, con l’uscita del nuovo film. “Superman” è diretto da James Gunn, regista che con i supereroi ha già avuto a che fare (“I guardiani della Galassia”, della Marvel). A salvare il mondo a questo giro è David Corenswet.
Perché però Superman è tornato a piacerci dopo tanto tempo? Cosa lo rende diverso? Molti supereroi fanno del bene, ma da angolazioni diverse, più umane, imperfette. Batman agisce per vendetta, guidato dal trauma, da un senso di giustizia personale. Spiderman è mosso da un profondo senso di colpa, una responsabilità che lo consuma. Iron Man, brillante ma fin troppo egocentrico, è spinto dall’orgoglio. Persino Wonder Woman e Captain America operano in contesti legati al nazionalismo e alla guerra tra popoli.
Superman, invece, è altro. Lui è diverso.
La sua bontà a ogni costo, la fermezza morale, la gentilezza a discapito di tutto e tutti, la sua capacità di trattenersi, l’autocontrollo: quel che il secolo scorso avevamo trovato all’improvviso insopportabile ora è ciò di cui abbiamo un forte bisogno. Insomma non è cambiato lui, siamo cambiati noi, che sentiamo, di nuovo, la necessità di modelli morali in tempi di incertezza e conflitto. In un’epoca come questa, che ci spinge a strafare e ad apparire, a rincorrere potere e visibilità (visualizzazioni), e in cui nulla è mai abbastanza, la sua moderazione è ciò di cui c’è urgenza. Ed è forse per questo che oggi, paradossalmente, Superman è il più radicale dei super.
La narrativa contemporanea predilige l’eroe imperfetto, anzi, meglio ancora: ama il cattivo carismatico, il grigio morale, l’ambizione che divora tutto in funzione soltanto di sé stessa; tanto che ormai l’idealismo sembra un vezzo fuori moda. La rabbia è brandizzata, la sfiducia del popolo strategia politica, l’aggressività premiata: se sei il più forte puoi prenderti ciò che desideri e in barba alla compassione. Chi è più muscoloso vince. È sempre stato così, è naturale, ma ora non c’è più vergogna ad ammettere l’uso della soverchieria, l’intenzione di togliere di mezzo il più debole con la forza; è la nuova politica mondiale, è il nuovo ordine (Donald Trump fa da aprifila).
In questo presente iper-cinico e muscolare, in cui l’ambiguità è segno d’intelligenza, la disposizione alla sopraffazione indica forza, l’incrollabile fiducia di Superman nel bene potrebbe sembrare imbarazzante; per anni la sua è parsa una posa moralista da idioti, peraltro piuttosto fastidiosa. Lui non mente, non si vendica, non si piega. Potrebbe dominare ma sceglie di proteggere. Potrebbe annientare ma si contiene. Sì, in questo presente Superman potrebbe sembrare ancora fuori tempo, ma va il contrario. Con il mondo preda davvero di cattivi carismatici e ambizioni personali che stanno, di fatto, divorando tutto, la sua è una dichiarazione politica che ci piace.
Potresti pure fare ciò che è sbagliato e avere il mondo ai tuoi piedi, sì, ma scegliere il bene, scegliere di non calpestare l’altro, di non girarti di fronte al dolore di chi hai accanto, è meglio: questo ci dice Superman. Ci invita non all’uso della forza bruta, ma a quello dell’empatia.
Davanti a un simile discorso, però, sorge spontanea una domanda, la stessa che si fa James Gunn nel nuovo film. Una domanda a cui è complicato, molto complicato, trovare una risposta compiuta. In un mondo in cui il male non è solo concesso ma legittimato, in un mondo in cui i cattivi prosperano e se la ridono apertamente, chi agisce per il bene, e solo attraverso il bene, non sarà per sempre destinato a fallire?
La Storia, la cronaca, perfino la politica ci mostrano spesso il successo di chi agisce senza scrupoli, mentre chi segue principi etici e si cura dell’altro paga il prezzo del fallimento. Ma perdere la guerra non sempre significa fallire. A volte resistere, pure quando tutto ti spinge a mollare, è già una forma di vittoria. A volte, anzi, rimanere fedeli ai propri valori è la sola e unica forma di vittoria che conti davvero. Agire per il bene, senza compromessi, è un tipo di ribellione molto raro, destinato probabilmente a essere marginale, però mai inutile. E Superman di questa via è il portabandiera.
Potrebbe facilmente lasciarsi andare alla collera, potrebbe, facilmente, piegarsi allo svuotamento morale che lo circonda. In fondo se il fine giustifica i mezzi non ci sarebbe niente di male. Eppure non lo fa mai, a prescindere dal contesto, dalla sofferenza che prova. Perché sì, soffre anche lui; Superman, in fondo, è frangibile. Non è mai vittima, non si ingabbia nel risentimento, non usa il dolore come alibi per abbandonarsi al male. Pur essendo virtualmente onnipotente (super forza, velocità, invulnerabilità, volo, vista a raggi X, udito sovrumano, respiro congelante e tanto altro), lui non cede. E non perché abbia un carattere o una volontà forte, bensì perché possiede la più rara delle virtù: l’autolimitazione morale di cui c’è una grande scarsità. Il suo potere non lo corrompe, ma lo responsabilizza. Ed è esattamente questo quello che lo rende unico: è la sua scelta morale costante, è la sua etica perennemente messa alla prova. Lui non è buono per natura o retorica, è buono perché decide di esserlo, anche quando gli costa dolori e sacrifici, anche quando sarebbe più facile imporsi, anche quando l’umanità lo delude.
Superman non ci vuole perfetti, ma ci vuole consapevoli, non ci chiede di salvare il mondo (ci pensa lui, a quello), ma di trattenere la rabbia, gestire con accortezza il potere che abbiamo (piccolo o grande che sia), tenere sempre in allenamento il muscolo dell’empatia. Ci chiede, molto semplicemente, di fare la cosa giusta. E in un’era di stanchezza collettiva, di disillusione cronica, forse, è proprio questo che ci manca: una figura che, procedendo verso il bene e solo attraverso il bene, non urla, non si vende, non si piega. Superman è (di nuovo) disperatamente attuale.
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