Otto fiumi la attraversavano, governati da un sistema idrico straordinario. Poi, i ricchi iniziarono a non sopportarne più l'odore e l'umidità. E fecero ricoprire tutto. Uccidendo l'anima della città. Un premio Nobel restituisce una memoria urbana rimossa

Èvero, ogni famosa città soprattutto ricca di valori autentici che sono rimasti ben incisi nel libro della storia, tiene nascosti straordinari segreti spesso del tutto ignorati dagli stessi abitanti di quella metropoli. È il caso di Milano dove, tanto per cominciare, la gran parte degli abitanti attuali ignora completamente che Mediolanum fu capitale massima dell'Impero Romano per più di un secolo, a cominciare dal 305 dopo Cristo, data in cui l'imperatore Diocleziano destituisce Roma ed elegge Milano capitale assoluta dell'Impero Romano, sia d'Oriente che d'Occidente. Quindi, sotto la pressione delle continue invasioni barbariche, dopo cent'anni Milano cessa di essere la capitale; infatti tutta la corte imperiale si trasferisce a Ravenna, sede più sicura in quanto - allora - galleggiante su un'enorme laguna a ridosso dell'Adriatico.

C'è da ricordare anche, che nel tempo in cui a Milano stavano gli imperatori, Sant'Ambrogio sedeva sulla cattedra Vescovile; è lui stesso che racconta al suo biografo Paolino lo stupore meravigliato che gli procurò l'incontro con Milano, dove arrivò su un bragozzo proveniente dal Ticino. Scoprì che quella era di fatto una città interamente fluviale, attraversata da ben otto fiumi: il Lambro, l'Olona, il Seveso, il Sevesetto, la Molgora, l'Arno Lombardo, la Serenza, il Mirone; più tre canali. Insomma, una vera e propria città d'acqua. A Milano in quel tempo era molto più facile muoversi su barche che su carri e cavalli.
Inoltre, la dimensione civile di una città si misurava allora non tanto dai palazzi e le arene ma, soprattutto, dalle fogne. Il progetto di quei corsi liquidi fu disegnato dagli architetti romani, che concepirono una struttura urbanistica che tenesse distinte le acque pulite da quelle fognarie. Seveso e Olona erano affiancati per miglia e miglia da canali che scaricavano fuori dalla città liquami organici molto lontani dalle mura in apposite vasche da spurgo.

Il vantaggio di una città attraversata da corsi d'acqua in tal numero favoriva l'istallazione di mulini con grandi ruote mosse dallo scorrere delle acque; lo scorrimento - rapido o lento - era regolato da chiuse e macchinamenti atti a elevare il livello dell'acqua e quindi a lasciarlo scorrere più rapido alla bisogna.

Durante tutto il basso e alto Medioevo, questa particolare regolamentazione del movimento di fiumi e canali che attraversavano la città, si arricchì di congegni che ne miglioravano il flusso. Argani, chiusure a diga e spalanchi a porta mobile erano installati in molti punti del percorso fluviale. Tant'è che quando nel Quattrocento Leonardo da Vinci fece scalo per la prima volta a Milano per prendere servizio presso la corte del duca Ludovico il Moro, rimase letteralmente esterrefatto nello scoprire l'originalità e l'ingegno con i quali i maestri lombardi delle acque avevano operato. Leonardo volle incontrare ognuno di quei capicantiere e diventò per lungo tempo loro allievo. Da quei "meccanici" delle acque apprese la tecnica e il mestiere al punto da progettare da sé solo nuove strutture e congegni per il "moto regolato" di fiumi e laghi. Ancora oggi alla periferia di Milano esiste uno spazio, un tempo attraversato da larghi canali, che continua tuttora ad essere chiamato porto di mare, tanto era estesa e capace la dimensione di quello slargo d'attracco.

Presso la Pinacoteca di Brera esistono alcuni disegni eseguiti da un pittore fiammingo che riproducono la struttura dei vari movimenti del trasporto fluviale nel Cinquecento. Il pittore, a fondo di uno di questi schizzi, commenta: "Qualcuno penserà che sia Amsterdam la città che ho disegnato. Invece è Milano! Venite a visitarla se non ci credete...".

Anche Shakespeare era al corrente del fatto che si potesse raggiungere Milano arrivandoci con barche provenienti da ogni direzione, tant'è che, non avendo idee molto chiare sulla geografia della piana del Po, in una sua famosa tragedia dal titolo "La Tempesta" commise uno straordinario svarione: fece partire una grande nave diretta verso alcune isole del Mediterraneo dal porto di Milano; porto che a suo avviso non poteva altro che affacciarsi sul Tirreno.

Oggi visitando Milano e attraversandola da un capo all'altro della città ci può capitare di incocciare in qualche fiumiciattolo o breve canale. Di tutti quei fiumi dei quali abbiamo accennato all'inizio non c'è più traccia. Sono forse spariti deviando il loro percorso fuori dalle mura? No, sono stati solo ricoperti con sequenze di arcate e tonnellate di cemento armato per permettere alle strade di sostituire le vie d'acqua tanto famose. Certo, il magico paesaggio della città è stato completamente distrutto, cancellato. Canali e fiumi ormai tradotti in cloache, scorrono nascosti sotto coperture allestite a cominciare dalla fine dell'Ottocento. Da ragazzino, sto parlando di circa sessant'anni fa, mi ricordo che, dalle parti di Brera, si vedeva spuntare da sotto il livello stradale qualche brano di fiume gorgogliante solo nel periodo delle grandi alluvioni. Quello sbronfolare di certo dava fastidio ai signori che abitavano nei palazzi circostanti. Perciò furono ricoperti perché ormai i liquami della cloaca si erano uniti all'acqua potabile, producendo fetori insopportabili.

Tornando un attimo al tempo dell'antica città acquea, devo ricordare che non tutto con quei numerosi fiumi e canali funzionava a Milano. Proprio nel caso frequente in cui nubifragi e tempeste prolungate creavano alluvioni, Milano si vedeva trasformata da tracimazioni terribili di corsi d'acqua e cloache che rendevano la città come un'unica chiavica di sterco galleggiante. Da qui nasceva l'espressione coniata dai milanesi antichi in occasione dei citati disastri: espressione che ci fa scoprire un innato ottimismo dei cittadini anche davanti alle più dure calamità infatti commentavano: "Siamo nella merda fino al collo ma teniamo la testa alta, molto alta, per dimostrare la nostra dignità e soprattutto per non berne lo smerdazzo galleggiante, GLUGLUGLU!".
Ora basta di giocare con sarcasmo sui drammi della nostra città: oltre ai fiumi nascosti, Milano possiede ancora monumenti a cielo aperto, viali e giardini di straordinaria bellezza e valore. Tanto per cominciare qui s'è riusciti a salvare preziosissime opere d'arte come "L'ultima cena" di Leonardo, che fino ad una ventina d'anni fa era data ormai per perduta. Il restauro di questo capolavoro è avvenuto sotto la direzione di Pinin Brambilla, che ha dato una dimostrazione d'alta tecnica unita alla magia. Oggi le richieste provenienti da tutto il mondo per visitare la pittura sono numerosissime, ma sono un decimo le persone alle quali è concesso entrare nella stanza sulla cui parete è dipinta la tempera: l'eccessiva presenza di visitatori creerebbe una umidificazione dell'aria fortemente dannosa al tessuto pittorico dell'opera.

Subito annesso al grande refettorio di Leonardo si leva Santa Maria delle Grazie, che ci mostra come l'armonia delle geometrie possa creare una straordinaria sequenza di archi e colonne. Quindi, proprio di fronte a questi miracoli di pitture e architettura, si erge un palazzo settecentesco la cui facciata è d'impianto talmente sobrio da passare inosservata. Ma appena si attraversa il portone, ecco che vi trovate in un quadriportico con doppio colonnato su due piani. Vi sentirete mancare il respiro per l'emozione, vi troverete nel classico ribaltone da sconvolgimento che producono le sequenze ritmiche assolute. Ci leggi tutta la lezione del rinascimento, dal Sangallo al Bramante, dal Brunelleschi a Leon Battista Alberti.

Ma le emozioni ti si possono raddoppiare all'infinito, basta arrivare alla Scala e porsi di fronte al palazzo Marino, progettato dall'Alessi nel Cinquecento. Poi attraverso la piazza del Duomo prosegui per via Torino e arrivi in una piccola piazza dove scopri la facciata del palazzo dei Borromeo, costruito nel XIII secolo: un'opera straordinaria sconosciuta alla maggior parte dei milanesi. La facciata, come spesso succede in questa città, è di impatto umile: un frontone del tutto anonimo, ma anche qui appena ti spingi nell'interno del palazzo davanti a te, esplode una vera e propria danza della geometria. La dinamica delle forme si avvale di un ritmo rapido ed elegante, sottolineato da decorazioni che corrono su archi e capitelli. Evidentemente i signori del capoluogo della Lombardia di tutte le epoche non amavano stupire i passanti mostrando loro di facciata un sontuoso palazzo, ma nell'interno ecco che mettevano in scena la propria alta cultura unita ad un gusto a dir poco raffinato. Sono circa un centinaio i palazzi dei quali è dato scoprire un alto valore architettonico in questa città.

Se poi volete incontrare qualcosa di davvero sorprendente, procuratevi la possibilità di sorvolare i quartieri più ricchi di Milano su un elicottero. Personalmente ho trovato quello che vi sto per descrivere, osservando un documentario proiettato in ora tarda sulla Terza rete. Così ho scovato che in cima ad un certo numero di grandi palazzi milanesi, i proprietari hanno installato piscine a cielo aperto, che proiettano un azzurro intenso gareggiando col cielo. Ancora ho visitato, sempre grazie a quel documentario, altre terrazze ricoperte di piante ombrose in gran quantità, decorate da fontane che sprizzano festose acqua tutt'intorno.

Quindi Milano sa trasformarsi in una stupenda e sontuosa metropoli. Basta evitare di riprendere dall'alto le numerose case dormitorio della periferia: la cosa stride e si sa, ricchi e poveri non stanno bene insieme.

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