Economia
17 febbraio, 2010

Attacco all'Europa

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Grecia, Spagna e Portogallo: la speculazione prende di mira i paesi più deboli e l'euro perde sul dollaro. Bruxelles cerca di erigere difese, ma manca l'unità politica. E il futuro dell'Ue è a rischio

Quanti punti di spread dividono i titoli dei vari paesi
dai bond decennali tedeschi (dati all'8 febbraio 2010)

Abbiamo "migliaia di strumenti per salvare la Grecia", assicura con molto ottimismo un alto funzionario comunitario. Di fronte a lui si stagliano i contorni sempre più vasti di una crisi che, partendo dalla Penisola ellenica, ha attecchito in quella iberica e rischia in un prossimo futuro di macchiare anche l'Italia. "C'è il serio rischio di un effetto domino. I prossimi nomi sulla lista sono quelli di Italia e Belgio, i paesi con un debito troppo alto", spiega Paul De Grauwe, economista dell'Università cattolica di Lovanio e consigliere del presidente della Commissione Ue, José Manuel Barroso. "Sono sorpreso perché i mercati non hanno ancora attaccato l'Italia", insiste Charles Wyplosz, professore di economia internazionale dell'Università di Ginevra e commentatore autorevole di 'Lavoce.info'. A conti fatti l'ottimismo del funzionario è un caso isolato, molto isolato.

La crisi tocca al cuore l'Europa unita e la sua creatura più cara, l'euro, che nelle ultime settimane ha perso terreno rispetto al dollaro. Ma non lo tocca solo, lo colpisce con forza, sperando di mandarlo al tappeto. Il 'Financial Times', citando i dati del Chicago Mercantile Exchange, parla di un attacco speculativo di 8 miliardi di dollari lanciato a partire dal 2 febbraio da hedge funds e investitori contro l'euro e le sue economie più fragili: 8 miliardi pari a 40 mila contratti siglati in pochi giorni con la scommessa di affondare la moneta unica. Una bella scommessa, mentre il tempo stringe: la Grecia deve finanziare metà del suo debito da qui a fine maggio per circa 27 miliardi di euro. Ce la farà? E a che prezzo, con i tassi di interesse sul debito e i Cds schizzati alle stelle? I Cds, Credit default swap, sono l'assicurazione che un prestatore contrae quando eroga un credito a un paese per premunirsi del suo fallimento, vengono venduti anche da soli (non legati al credito erogato) e hanno un tasso di interesse che varia a seconda della domanda e dell'offerta. Più è alto, più vuol dire che il mercato pensa che quel paese fallirà. Il 5 febbraio la Grecia ha battuto tutti i record, raggiungendo i 428 punti.

Più alta la quotazione, più cresce il rischio di insolvenza. E il panico. A inizio febbraio il premier Georgios Papandreou ha presentato a Bruxelles un piano di recupero che prevede un ritorno del deficit, schizzato al 13 per cento, sotto il 3 per cento entro il 2013. Il piano non ha completamente convinto la Commissione. L'Europa chiede di più, chiede soprattutto di tagliare o calmierare i salari pubblici. "Avranno dei problemi a gestire il piano di austerità salariale", prevede Wyplosz, "e a gestirlo socialmente. Quella greca è una piazza molto calda: non è un paese pronto alla riduzione salariale".

Operazione riuscita in Irlanda, ma praticamente impossibile nei paesi mediterranei. "Abbattere il deficit greco in questa maniera", rincara Simon Tilford, economista capo del think tank britannico Center for European Reform, " è un errore, equivale ad affondare l'economia. In questa maniera sarà impossibile mantenere i tagli alle spese perché la disoccupazione schizza e le entrate fiscali diminuiscono. È necessario un piano credibile. Se si taglia tutto, troppo rapidamente, si rischia di gettare anche le cose buone. Per questo i mercati non credono che funzioni".

La Spagna non è messa così male come la Grecia, ma si mastica paura anche a Madrid. Lunedì 8 febbraio Elena Salgado, ministro dell'Economia, è partita in tutta fretta per Londra con la missione di riconquistare la fiducia degli investitori e tranquillizzare la prima piazza finanziaria del Vecchio continente. Salgado ha incontrato deputati, baronetti, imprenditori ed anche il direttore del 'Financial Times'. Una prova di debolezza, quest'ultima, mentre il governo Zapatero si lamenta della pessima immagine della Spagna sulla stampa britannica. E dire che il suo problema è di sostanza più che di immagine: conti esteri in rosso, debito privato andato fuori controllo sulle ali della bolla immobiliare, debito pubblico in decisa ascesa (per quanto ancora relativamente basso) e, soprattutto, scarsa competitività. "Zapatero è al governo da anni, ma non ha mai fatto la riforma del mercato del lavoro", è il duro giudizio di Wyplosz: "In un paese in recessione profonda ci vuole una persona con coraggio, e Zapatero non ha queste caratteristiche. La Spagna ha bisogno di un Churchill, ma non ce l'ha, nemmeno all'opposizione. Lo stesso problema del Portogallo".

In molti ricordano i tempi, siamo a inizio anni Novanta, in cui George Soros si divertiva ad attaccare le monete europee, riuscendo a far fortuna a spese della lira italiana e della peseta spagnola. Altri ricordano le crisi che alla fine dello scorso millennio hanno strozzato l'Argentina e il Sud est asiatico. Va detto che oggi quei tempi non esistono più e non siamo nemmeno in Asia o America Latina, siamo in Europa ed esiste l'euro, che è un punto di non ritorno (non esiste un meccanismo di uscita dalla moneta unica), ma non per questo è a prova di bomba. "I mercati sono irrazionali", spiega ancora Wyplosz, "si fissano su una situazione particolare, vanno in panico e poi vedono che lì c'è la possibilità di fare profitti. E attaccano. L'unione monetaria protegge i paesi della zona euro, ma non occulta i loro problemi".

L'euro è quindi una coperta corta, che non nasconde le pecche delle economie dagli occhi dei predatori. E, oltretutto, non è stato creato per salvare i paesi dalla bancarotta. Per farlo ci vuole altro, ci vuole volontà politica. "Dalla Commissione Ue parlano di strumenti per salvare la Grecia, ma fino ad ora non ci sono messaggi chiari, nessuno prende in mano la situazione. Quello greco sta diventando un caso scolastico: da come lo risolveremo dipende il futuro dell'Unione monetaria", è l'opinione di De Grauwe. Ma c'è la volontà di allungare la coperta?

Sul da farsi si fronteggiano infatti due scuole di pensiero, c'è chi è a favore della soluzione tutta europea e chi predilige quella targata Fondo monetario internazionale. "L'unica soluzione è chiedere l'intervento dell'Fmi", dice Wyplosz, " lo spirito del Trattato di Maastricht è che ogni paese è responsabile per se stesso. Se gli altri intervengono lo fanno tradendo lo spirito e creando un precedente, che indebolirà tutta la struttura, perché sarà chiaro che se ti comporti mali e fallisci, verrai comunque aiutato. Per questo è meglio l'Fmi, che possiede già un meccanismo di regole e condizioni per gestire gli aiuti in maniera efficace". Anche se ogni tanto sbaglia, e di brutto, come in Argentina.

Di diverso avviso De Greuwe: "Il Trattato dice che nessuno Stato deve essere aiutato, ma non proibisce il salvataggio su iniziative volontarie e bilaterali. E secondo l'articolo 122 i governi possono organizzare un sistema di solidarietà su iniziativa della Commissione Ue. È falso dire che non si può fare, il problema è che nessuno prende la decisione. Se a Bruxelles ci fosse un'autorità chiara e una volontà netta di intervenire immettendo fiducia nel sistema, la crisi sarebbe già finita".

Siamo a un problema non nuovo: la moneta unica non ha un governo economico, che non esiste semplicemente perché la Germania non lo vuole. La Francia lo reclama da anni, ma più a parole che nei fatti. "Se non riusciamo a creare dei meccanismi e delle istituzioni politiche per risolvere le crisi di oggi, in futuro andremo avanti di crisi in crisi fino a che la baracca non sarà più sostenibile. Dai casi di Grecia, Spagna e Portogallo si esce o con il fallimento della zona euro o con un rafforzamento dell'Unione monetaria", vaticina De Greuwe.

In questo panorama, l'opzione più probabile è un intervento di Germania e Francia a sostegno di Atene con dei prestiti legati alle raccomandazioni che la Commissione europea ha inviato al governo Papandreou. Basteranno a rassicurare i mercati? "Berlino, Parigi, e la nuova Commissione", dice ancora il consigliere di Barroso, "sono coscienti della posta in gioco, ma non si muovono. E anche la Bce, che ha il potere di sostenere il mercato delle obbligazioni, non sta facendo nulla". Un loro intervento sarebbe importante, praticamente ma anche a livello simbolico.

A fine anno Francoforte dovrebbe decidere se abbassare o meno il rating della Grecia, e per alcuni osservatori un suo giudizio anticipato e positivo permetterebbe di calmare i mercati. Un punto che tocca un altro nervo scoperto da questa crisi: il ruolo delle agenzie di rating. "Sono andato a guardarmi la lista del 2006 delle 10 banche più sicure compilata dalle agenzie", racconta Wyplosz: "Un anno dopo erano cadute tutte. Le agenzie non capiscono nulla, e la Bce non dovrebbe nemmeno ascoltarle". Nella nuova regolamentazione sul controllo del mercato finanziario, in via di approvazione nella Ue, non c'è nulla sulle agenzie di rating. Anche in questo caso la crisi è soprattutto una questione di volontà politica, poca.

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