I rentier sono serviti. Chi vive degli affitti del proprio patrimonio immobiliare, ed era tormentato dalle tasse, crescenti al crescere delle pigioni - cumulate - degli inquilini, può far festa. Sull'incasso pagherà solo il 21 per cento. Un atto di giustizia, in fondo, verso i Paperoni del mattone, orrendamente discriminati rispetto ai Paperoni dell'investimento finanziario, che già godevano di aliquote del 12,50 per cento sulle rendite di titoli o al massimo del 27 sul cash tenuto in banca. È l'effetto della cedolare secca sugli affitti, una delle grandi novità del fisco comunale in salsa federalista. Una misura che farà felici anche molti piccoli proprietari, e che sicuramente spingerà molti contratti in nero a spostarsi alla luce del sole (e non solo per il piacere dell'onestà: chi non lo fa rischia multe fortissime grazie ai vantaggi alla delazione da parte dell'inquilino), ma che è prima di tutto un regalo fiscale che di questi tempi di ristrettezze nessuno immaginava fosse possibile elargire. Quanto vale? Tre miliardi di tasse in meno (il conto è della Camera dei Deputati), perché quei redditi verranno sottratti all'Irpef.
Si dirà che i rentier immobiliari conosciuti al fisco non sono poi tanti, poco meno di due milioni su 23 milioni di proprietari di case, e che quelli con redditi consistenti sono ancor meno (circa 60 mila gli italiani oltre 55 mila euro di reddito, che vivono di redditi da fabbricati, secondo l'Agenzia del territorio) ma quei 3 miliardi che si risparmieranno grazie alla cedolare secca li dovrà pagare qualcun'altro. Indovinate chi. Per chi è corto di fantasia, basti un indizio: oltre allo Stato, che è il destinatario dell'Irpef e dovrà far fronte al buco, l'unica vera autonomia impositiva che i sindaci avranno - oltre alla tassa di soggiorno di 5 euro, molto criticata, e a una eventuale tassa di scopo per le opere pubbliche - sarà quella di infliggere ai propri cittadini un'addizionale Irpef (fino allo 0,4 per cento; sono 3.500 i municipi in grado di farlo, vedi l'interattivo). Morale, chi ha redditi da lavoro salderà il conto per gli altri. A livello territoriale, l'effetto sarà ancora più sorprendente: visto che il risparmio della cedolare contro l'Irpef agevola chi ha le aliquote marginali più alte (vedi l'interattivo), verrà avvantaggiato il Nord, dovrà pagare di più il Sud.
La macchina del nuovo federalismo fiscale su scala comunale che deve scattare quest'anno e andare a regime nel 2014, non è in realtà ancora partita. Nell'officina in cui viene messa a punto non tutti i pezzi del complesso montaggio si incastrano come il leghista Roberto Calderoli e i suoi vorrebbero. Anzi, i conti si fanno e si rifanno proprio perché trasferire dall'erario ai comuni i proventi di tributi così diversi (oltre alla cedolare, imposte di registro e ipotecarie, nonchè una compartecipazione all'Iva) dimostra che qua e là la coperta è corta, oppure troppo abbondante. Un esempio? Su una torta di 11,2 miliardi di euro che si dovranno dividere tutti i comuni delle regioni a statuto ordinario, il 77 per cento (9,8 miliardi) è concentrato sul 33 per cento dei comuni, quelli definiti "più dotati", vale a dire quelli in cui c'è la base imponibile più ricca. Gli altri, in base a un federalismo puro e duro, dovrebbero accontentarsi delle briciole e smagrire. A compensare queste sperequazioni, interverrà un Fondo, in cui i comuni verseranno le tasse in eccesso e che farà da centrale redistributiva.
Questo non toglie, però, che le differenze non restino agli atti e non saltino agli occhi. Soprattutto sul fronte delle tasse sulla casa, che è il vero centro di gravità della devolution fiscale. Che sia lì la polpa della ricchezza del paese, non ci sono dubbi. La Banca d'Italia la stima in 4.700 miliardi di euro (quattro volte il reddito disponibile), il Catasto, che fotografa più da vicino la proprietà immobiliare sulle sue mappe, si spinge oltre: 5.624 miliardi è il valore del patrimonio abitativo delle persone fisiche (6.243 con box e cantine), stimato ai prezzi di mercato. Diverso è il suo valore catastale, quello su cui il fisco calcola le imposte: per le abitazioni ammonta a 1.600 miliardi.
Ma di qui a tassarlo ce ne corre. Il governo ha deciso di rendere tax free la prima casa, e questo toglie dal conto una bella fetta di quella ricchezza. Come abbiamo visto, ha anche deciso di alleggerire il carico fiscale sulle case date in affitto come abitazione (sono esclusi dalla cedolare gli affitti uso ufficio), cioè su un incasso stimato sui 12 miliardi abbondante. Quali case invece verranno tartassate?
I primi a dover temere sono quanti posseggono una casa e non l'affittano, ma la tengono a disposizione. È il caso di tutte quelle famiglie proprietarie di una seconda casa al mare o ai monti, un patrimonio di quasi cinque milioni di case (con una rendita catastale complessiva di 1,8 miliardi), su cui oggi pagano l'Ici. Quanto ad aliquote, i comuni si sbizzarriscono: il 30 per cento hanno adottato quella del 7 per mille, molti stanno sotto, in due casi si raggiunge e supera l'8 (Argentera, in provincia di Cuneo ha il record dell'8,25 per mille, Belluno la segue a ruota con l'8).
La media, comunque, è del 6,4. Che succederà quando entrerà in campo la tassa che sostituirà l'Ici, cioè la nuova Imu, imposta municipale unica? Succederà che lo Stato scriverà a tutti i sindaci informandoli che l'Imu avrà un'aliquota standard del 7,6 per mille. Liberi, certo, di stare sotto. Ma quanti lo faranno, visto che comuni come Rimini, Riccione, Cortina d'Ampezzo, dovranno addirittura superare quel livello per assicurarsi lo stesso incasso? Si avrà quindi una corsa al rincaro della tassa sulle case a disposizione - con la scusa che è lo Stato che lo chiede - che si tradurrà in una stangata per i possessori della casa per vacanza.
La tentazione di limitare il danno darà il via a un fenomeno già in parte conosciuto, quello delle residenze fittizie, già oggi usate dai più scaltri per pagare acqua e spazzatura al minimo. Per evitare che la villa in Sardegna o la baita in montagna si traducano in un salasso del reddito familiare, meglio trovare una vecchia zia del paese che comunica all'anagrafe di abitare proprio lì, o spaccare l'unità familiare - sempre a fini anagrafici - trasferendo a Portofino o a Capri la moglie o un figlio. In compenso, i proprietari di seconde case a disposizione si potranno consolare con il fatto che non dovranno più pagare l'Irpef "rafforzata" (cioè rivalutata dal fatto che la casa è sfitta) nella propria dichiarazione dei redditi.
Tassare la casa di vacanza avrà anche un altro effetto. Quello di mettere in luce il paradosso di una riforma che si vuole federale e che si dovrebbe basare sul principio "vedo, pago, voto": il contribuente giudica l'operato degli amministratori locali, sindaco in testa, confronta le tasse che deve sborsare con l'efficacia della gestione, e premia o penalizza con il suo voto i politici del territorio. Qui invece salta tutto: i proprietari di seconde case che arricchiscono le finanze, poniamo, del comune di Savona, o di quello di Imperia, o di Aosta, tanto per dire i primi tra comuni italiani per gettito Irpef fondiario (rispettivamente 317 euro, 282, e 276 di tributo pro capite contro i 49 euro di Crotone e i 70 di Matera) sono magari lontani mille miglia, abitano in una grande città, e non potranno mai vendicarsi sul sindaco che li tartassa. Con il rischio, in futuro, di subire un'altra tosatura. Il progetto del federalismo comunale prevede anche l'istituzione di tasse di scopo, legate cioè a un progetto, in genere, di opere pubbliche. Calcolato come? Sempre sulla casa, e quindi anche la seconda casa. Così il nostro contribuente pagherà per finanziare migliorie che, almeno, si godrà quando è in vacanza.
Se i rentier, come categoria sociale, non potevano che aspettarsi un trattamento di favore da un governo di centro-destra, il fisco federale dà un brusco risveglio al popolo della partite Iva - i professionisti, gli artigiani, i piccoli imprenditori - che fino a oggi si considerava un beniamino del governo, e che infatti molti comuni blandivano applicando aliquote Ici ridotte. Ebbene, su di loro la nuova tassazione della casa cala come una mannaia: tutti cancellati gli sconti per "gli immobili destinati all'attività di impresa, arti e professioni", a partire dal 2014 dovranno pagare l'Imu ad aliquota piena (7,6), che può essere dimezzata solo nel caso di immobili affittati. Ma, anche qui, gli osservatori che hanno partecipato al montaggio della macchina federalista avanzano molte riserve sulla probabilità che questa riduzione sia concretamente concessa dai Comuni, affamati di soldi. Stesso trattamento per gli immobili usati dalle imprese (e intestati a società di capitali): si può rincarare l'aliquota Imu, e forse abbattere l'imponibile. Più probabile la prima manovra, meno la seconda. E tutti aspettano al varco la decisione che prenderà Milano, terra di attività imprenditoriali, dove il sindaco Moratti applica oggi un'aliquota leggera, il 5 per mille.
A conti fatti, per imprese e lavoratori autonomi l'erario aumenta le tasse. Al contrario dei proprietari di case per abitazione, gli fa infatti pagare, insieme all'Imu, anche le imposte sul reddito (Irpef e Ires): con un incremento che Alberto Zanardi, professore di Scienza delle finanze a Bologna, ha stimato tra il 32 e il 34 per cento.
Lasciando fuori i proprietari di prima casa, 18 milioni di cittadini sono al sicuro dalla grande rivoluzione del fisco comunale. Zero Ici oggi, zero Imu domani. Ma non è detta l'ultima parola. Perché lontano dal laboratorio in cui Stato e Comuni sono impegnati a costruire il meccano federalista, c'è un altro silenzioso processo che va avanti. Si chiama adeguamento delle rendite catastali. Vale a dire il processo che serve a riportare le rendite (cioè il valore dell'immobile su cui si pagano le tasse) verso livelli sempre più vicini ai prezzi di mercato.
Milano l'ha già fatto su 37 mila immobili (un terzo del totale), che sono stati rivalutati dal 40 al 55 per cento. Stesso trattamento anche a Ferrara, nel comune di Cervia, e a Bari. È appena iniziato anche a Roma, dove promette di dare risultati straordinari, visto che oggi una casa al Torrino - periferia - può risultare accatastata a un valore superiore a quello di un appartamento di piazza Navona - centro storico - in origine casa popolare, oggi venduta a 20 mila euro al metro quadro. Un processo lungo, ma forse l'unico che potrà iniettare una giusta dose di equità alla tassazione sulla casa. Con inevitabili rincari per molti.
D'altra parte, se un pregio tutto questo processo ce l'ha, è aver detto chiaro che qualsiasi privilegio oggi c'è, domani chissà. Se ne stanno accorgendo i furbacchioni delle "case fantasma", i proprietari di case abusive. Da due milioni di particelle individuate dal catasto con le foto dal cielo (il 30 per cento tra Campania e Sicilia), emergeranno 500 mila nuovi contribuenti. A quel punto i Comuni dovranno scegliere se tassarli, o punirli, radendo al suolo la casa con le ruspe. Chissà se la cassa avrà la meglio sulla tutela del territorio.
Faq01.07.2014
La Tasi spiegata in dieci domande