Perché la recessione è stata così violenta in Italia? La ragione sta nel crollo dei consumi a causa dell'aumento delle tasse e della riduzione della spesa pubblica, ossia delle manovre del Governo Monti per azzerare il disavanzo pubblico. Queste misure erano necessarie, dato il marasma finanziario e il discredito internazionale in cui ci aveva portato il Governo Berlusconi: ma da sole esse hanno finito per produrre recessione, con il risultato che neanche l'azzeramento del disavanzo pubblico sarà conseguito nel 2013. Infatti la contemporanea caduta del reddito e la conseguente perdita di gettito fiscale hanno reso impossibile azzerare il disavanzo pubblico e abbassare il rapporto tra debito e Pil.
Per poter condurre una politica di austerità che non si vanifichi in una violenta recessione, occorre una rete di sicurezza per i cittadini. Già dal settembre del 2011, su questo giornale, ho cominciato a raccomandare l'istituzione di un'indennità di disoccupazione generalizzata a quanti perdono il lavoro, anche per i lavoratori precari che sono senza alcuna protezione. Una simile rete di sicurezza, avrebbe ridotto il disagio delle famiglie italiane e mitigato gli effetti della recessione. Il finanziamento poteva essere trovato attraverso una redistribuzione delle tasse, facendole pesare maggiormente sui redditi più elevati.
Invece, con la scusa che il paese stava perdendo di competitività, una consistente lobby di ricchi ha scatenato su tutti i media una battaglia per la riduzione delle tasse finanziate con tagli alla spesa pubblica: ossia una ricetta che ci avrebbe precipitato in una recessione ancora più profonda. In realtà l'Italia è ancora competitiva, come dimostrano le nostre esportazioni e non ha un problema di costi eccessivi, dato che i nostri salari sono inferiori a quelli degli altri paesi europei. Quindi, non abbiamo bisogno di rilanciare una fantomatica competitività. Dobbiamo invece sostenere la domanda interna.
In questo senso, l'introduzione graduale di una indennità di disoccupazione a tutti coloro che hanno perso il lavoro avrebbe rappresentato una via corretta per sostenere la domanda interna senza gravare eccessivamente sulla finanza pubblica.
Invece, nel dibattito elettorale ha fatto irruzione l'idea del reddito di cittadinanza, ossia della garanzia a tutti gli individui di un reddito minimo che consenta una vita dignitosa a chiunque. La proposta non è stata articolata, ma dovrebbe rappresentare la concessione di un reddito a tutti (a partire da una certa età?) almeno fino a che non si trovi un lavoro. Questo reddito sarebbe anche associato a formule volte a garantire qualche offerta di lavoro e a sistemi di formazione che non potrebbero essere rifiutati, pena la perdita del reddito. Il M5S lo ha messo nel suo programma e altri partiti hanno evocato formule di sostegno ai redditi.
Come spesso succede al nostro paese, si ha la tentazione di saltare ogni via intermedia e di arrivare subito da zero al massimo della protezione. È il vizio dei neofiti, che comporta il rischio di creare una voragine di spesa pubblica inefficiente per l'assenza totale di una amministrazione capace di distinguere e di evitare la massa dei profittatori. Infatti un vero reddito di cittadinanza presupporrebbe un sistema fiscale efficiente che sappia combattere le evasioni e le elusioni per non consentire agli evasori di profittare anche del reddito di cittadinanza. Presuppone uffici del lavoro capaci di formare e indirizzare i disoccupati verso nuovi lavori e di penalizzare i reali casi di rifiuto del lavoro.
Come creare tutto ciò dal nulla? Come evitare che la malavita organizzata trovi nel reddito di cittadinanza una maniera paradossale per stipendiare i propri adepti? Come evitare che i vantaggi di una rete sociale siano vanificati dall'esplodere del debito pubblico?
Meglio procedere con le indennità di disoccupazione estese ai precari che vagheggiare salti verso formule di welfare esteso a tutti, che trovano pochi esempi pratici nel mondo, anche in paesi con tradizioni ben più corpose delle nostre.