"E' una concentrazione anomala, anche se si tenta di minimizzare". Il nuovo colosso dell'editoria visto da Stefano Mauri, presidente del secondo gruppo italiano, Gems

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Che cosa vuol dire, in termini pratici, Mondadori che si è comprata Rcs Libri? Monopolio no (qui ha ragione la presidente Marina Berlusconi), ma concentrazione anomala sì (e la presidente non ne parla). Per capirci, i marchi dei due gruppi oggi riuniti coprono il 55 per cento dei primi cento titoli venduti in Italia nel 2014. E sui primi dieci bestseller dell’anno scorso, sette (Zusak, Green, Follett, Brown...) sono cosa loro. Nasce un gruppo che copre oltre il 35 per cento del mercato trade, e il 25 del settore scuola. In attesa che si pronunci l’Autorità antitrust. L’inseguitore, il Gruppo editoriale Mauri Spagnol, è al 10,2, e da terzo diventa secondo; ma a fronteggiare un leader ben più potente. Anche se il presidente e ad di Gems, Stefano Mauri, che incontriamo nei suoi uffici milanesi, preferisce la dizione «primo gruppo editoriale indipendente».

Che cosa cambia per voi indipendenti?
«Di solito, sul mercato europeo, il gruppo editoriale leader acquisisce, per crescere, il terzo o il quarto editore del mercato interno. In Italia, il primo si è comprato il secondo. Il caso è anomalo, checché ne dicano, minimizzando, i protagonisti. Possiamo dire che per gli autori noi diventiamo la più forte alternativa a quella concentrazione. Ma certo i librai, grandi e piccoli, diventano vasi di coccio. I librai indipendenti in Italia sono ancora tanti, rappresentano il 34 per cento del fatturato totale. E sono fondamentali».

Le concentrazioni spaventano, ma il mondo finanziario ha reagito bene.
«La finanza tende a semplificare. Wall Street da venticinque anni finanzia un’azienda di e-commerce globale sempre in perdita in attesa che la sua massa critica produca il miracolo della redditività: il caso Amazon. Ma i libri li fanno le persone, non gli algoritmi. Anche la presidente Berlusconi cita Amazon come ragione strategica: siamo costretti a crescere, dice, come altri gruppi internazionali. Ma c’è una grossa differenza».

Quale?
«Penguin e Random House sono due gruppi di lingua inglese presenti nei paesi anglofoni, e insieme controllano al massimo il 25 per cento del mercato nel Regno Unito. Qui, invece, c’è un editore italiano che compra diritti in lingua italiana per libri venduti in librerie italiane. Perciò le motivazioni addotte evocando scenari internazionali non hanno sostanza al momento. Segnalo che Mondadori ha appena venduto il suo marchio Harlequin agli americani Harper Collins, che ha annunciato che pubblicherà a sua volta libri in italiano. Un bel paradosso».

La Borsa, però, ha premiato.
«Sì. Da quando sono trapelate le prime notizie sull’acquisizione, il titolo Mondadori è stato premiato. E riconosco che la Mondadori sta investendo nel libro che, a differenza dell’informazione, è meno aggredito dal digitale. Sta a vedere che hanno ragione. In Francia quest’anno il mercato del libro sale dell’8 per cento, dopo qualche anno di crisi! Ma il prezzo d’acquisto, 127 milioni, mi pare alto. E ricordo che qualche anno fa, quando lasciò il direttore editoriale Gian Arturo Ferrari, la Mondadori Libri era al 30 per cento del mercato, oggi è al 25».

E Ferrari è tornato.
«Infatti».

Marina Berlusconi annuncia «una federazione di case editrici». Il concetto sembra copiato da Gems.
«La sua è una dichiarazione d’intenti. Andrà verificata. Noi siamo stati anche definiti “Confederazione elvetica”...».

Se alla Mondadori ci fosse il Silvio Berlusconi di qualche anno fa, l’allarme sarebbe maggiore?
«Non ne sono sicuro. Quando Mondadori comprò Einaudi ci fu una sollevazione tra i media e gli intellettuali, ma alla fine se ne andarono Corrado Stajano, Carlo Ginzburg e pochi altri. Ricorda quando Silvio Berlusconi si lamentò di autori, come Roberto Saviano, che davano un’immagine negativa dell’Italia? Marina, dovendo scegliere tra gli autori e il padre, scelse il padre».

E gli scrittori che a febbraio firmarono l’appello sul “Corriere della Sera” contro l’operazione? Sembrano più cauti.
«Mi pare, sì. I motivi possono essere diversi, ci sono autori che sono molto legati alle loro direzioni editoriali...».

Elisabetta Sgarbi della Bompiani: prima fuoco e fiamme, oggi assai prudente.
«Non sta a me commentare. Lei è una dirigente editoriale di un marchio, non un socio azionista con prelazione».

Hanno chiesto anche a lei di comprare la Bompiani?
«Mi è stato chiesto da più parti, figuriamoci, un marchio che era di famiglia. Ma non si può comprare una casa editrice che non è in vendita».

Hanno fatto bene Massimo Vitta Zelman e Roberto Calasso a ricomprarsi le loro quote di Skira e di Adelphi?
«Da editore indipendente capisco perfettamente la loro scelta. Questo mestiere si fa meglio con le mani libere. Tranquillizziamo il pubblico e gli autori: in Italia ci sono anche altri buoni editori. Per esempio, sia Rizzoli sia Mondadori hanno tentato di portarci via Claudio Magris, che invece è rimasto con noi: il suo straordinario romanzo “Non luogo a procedere” esce ora da Garzanti».

Gems controlla, con Longanesi, Garzanti, Guanda, una dozzina di marchi. Potreste acquisirne altri in futuro?
«Certo, possiamo crescere. Noi pubblichiamo circa mille novità all’anno, ma i casi in cui due nostri marchi confliggono sono piuttosto rari».

Su scala globale il caso italiano può sembrare una tempesta in un bicchier d’acqua. Amazon sparecchierà la tavola?
«Nella minaccia Amazon c’è forse un po’ di paranoia. Amazon oggi non è tra i primi tre clienti degli editori italiani. L’e-book non è esploso, è intorno al 5 per cento del mercato; quando nel 2010 osservatori equilibrati avevano predetto il 15 per cento entro il 2015. Pensavamo fosse il motore a scoppio e invece è l’aria condizionata. Non a tutti piace. Amazon cresce meno di quanto si sperava; e molto meno di quanto si temeva».

Veniamo all’Antitrust, cui la Mondadori non ha formalmente ancora passato la pratica. Che cosa si aspetta?
«Mi aspetto che l’Antitrust apra un’istruttoria e, sentite le parti in causa, i vari soggetti del settore, tragga le sue conclusioni. Questo è un caso senza precedenti in Italia e in Europa, quindi non è così pacifico».

Cosa può fare il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini? Se dice «Il governo non interviene», risulta lassista; se dice «È molto preoccupante», l’accusano di ingerenza.
«Io sono contrario alle ingerenze della politica nelle questioni imprenditoriali, quindi anche in editoria. Il ministro stesso ha indicato la via dell’Antitrust, e io mi aspetto che l’Antitrust operi in autonomia. Il governo può sempre pensare a leggi che equilibrino il mercato, nel caso…».