Caos in Libia dopo l'uccisione di Al-Kikli, il capo di una delle più potenti milizie. Meno di due mesi fa era in Italia

Sul leader dell’Apparato di supporto alla stabilità non pendeva nessun mandato d'arresto internazionale, ma è accusato da Onu e Ong di "torture, sparizioni forzate ed esecuzioni extragiudiziali"

Solo qualche settimana fa Abdel Ghani Al-Kikli era in Italia, all’European Hospital di via Portuense, a Roma, per far visita al ministro dell’Interno della Libia, Abel Jumaa Amer, ricoverato nella struttura privata capitolina dopo essere stato ferito in un attentato. Non era un nuovo caso Almasri, perché su di lui non pendeva alcuna “red notice”, ma comunque la presenza nel nostro Paese del capo dell’Apparato di supporto alla stabilità (Ssa), una delle tante milizie che spadroneggiano a Tripoli e dintorni, si era portata dietro non poche polemiche. Al-Kikli, noto come Gheniwa, è stato ucciso ieri - 12 maggio - nel campo militare di Tekbali, a Sud della capitale libica. Era considerato uno degli uomini più potenti e discussi della Libia: la sua milizia è ufficialmente riconosciuta dal governo libico, ed è per questo destinataria di fondi e mezzi, tra cui le motovedette fornite dall’Italia. Ufficialmente incaricata di garantire la sicurezza di sedi e autorità di governo, la sua milizia è considerata responsabile dall'Onu di “crimini contro l’umanità nelle prigioni di Ayn Zarah e Abu Salim”, “ripetutamente coinvolta in violazioni e abusi”. 

Gli scontri a Tripli

Dopo la notizia della morte sono scoppiati violenti scontri fra fazioni rivali e ora, dopo qualche ora, il ministero della Difesa libico ha fatto sapere che la situazione a Tripoli è tornata sotto controllo. Secondo la ricostruzione dei media libici, l’uccisione di Ghenawi sarebbe stata ordinata da Mahmoud Hamza, comandante del 444esimo reggimento della Brigata da combattimento, nel cui quartier generale sarebbe stato "attirato per partecipare a una riunione” in cui sarebbero stati coinvolti i leader più importanti della Libia occidentale, da Abdel Salam al-Zoubi a Mad al-Trabelsi fino, appunto, a Mahmoud Hamza. Qui un commando agli ordini di Hamza avrebbe aperto il fuoco sul capo dei miliziani, sui suoi fedelissimi e sulle sue guardie del corpo. La casa del potentissimo capo delle Sea sarebbe stata data alle fiamme.

"Operava nella totale impunità"

Al-Kikli non era uno qualsiasi. E gli scontri violenti seguiti alla sua morte dimostrano, ancora una volta, il caos in cui ormai da anni vive la Libia post Gheddafi, nel bel mezzo di una ridefinizione di poteri nel Paese nordafricano. In questo contesto va letta anche l’uccisione, lo scorso settembre, di Abdurahman al-Milad, noto come Bija o Bidja, altro ras libico.

 

Secondo l'account X di Refugees in Libya, "Gheniwa era uno dei comandanti di milizia più temuti nell'ovest della Libia ed è stato a lungo accusato da organizzazioni locali e internazionali per i diritti umani, tra cui Amnesty International, di gravi abusi, tra cui torture, sparizioni forzate ed esecuzioni extragiudiziali". Secondo fonti concordanti, prosegue il post di Refugees in Libya, "il suo gruppo armato operava nella quasi totale impunità, avvalendosi della legittimità statale garantita dal governo di Unita' nazionale, in particolare sotto la guida di Abdelhamid Dabaiba". Inoltre, "poche settimane fa Gheniwa era stato avvistato in Italia, sollevando polemiche dopo le rivelazioni secondo cui era entrato in Europa con un visto Schengen rilasciato da Malta, nonostante fosse implicato in crimini che potrebbero essere considerati crimini contro l'umanità", sottolinea ancora Refugees in Libya. Il fatto che "gli stati europei gli abbiano consentito la libera circolazione mentre i sopravvissuti ai suoi abusi marcivano nelle prigioni o annegavano in mare e' un lampante esempio della giustizia selettiva della comunità internazionale", conclude il post. Nei successivi commenti condivisi sull'uccisione di Gheniwa, diversi utenti X denunciano che e' stato "responsabile di violazioni dei diritti umani contro migranti e rifugiati, incluso il loro traffico dentro e fuori dalle carceri dell'Africa subsahariana, di crimini, corruzione e tirannia".

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