A.A.A. Via TORINO 16, zona stazione centrale Napoli, palazzo di dieci piani vendesi. L’indirizzo indicato nell’annuncio destinato a fare capolino sui giornali locali nei prossimi mesi è quello della storica sede della Cgil nel capoluogo campano, travolta dalla crisi e alle prese con un buco di bilancio che potrebbe sfiorare i 5 milioni di euro. Il condizionale è d’obbligo perché, come di consueto, quando si tratta di quattrini i sindacati italiani sono allergici a quella trasparenza che reclamano a gran voce un giorno sì e l’altro pure dall’interlocutore di turno.
Il caso è scoppiato nei giorni scorsi, quando si sono dimessi, tutti insieme appassionatamente e ad appena dodici giorni dalla nomina, tre consiglieri di amministrazione della Società gestione esercizi, l’azienda controllata per il 28 per cento dalla Cgil Campania (il 25 per cento è della Camera del Lavoro e il resto fa capo alle federazioni di categoria) che gestisce l’immobile. Le cronache locali hanno parlato di debiti con il fisco (183 mila euro per la sola Imu), di arretrati (per poco meno di 900 mila euro) con la ditta incaricata delle pulizie, di bollette telefoniche scadute per 16 mila euro. In totale, il buco sarebbe di 1,4 milioni. Qualcosa in più, secondo i bene informati. In ogni caso, cifre da dissesto. Come testimonia l’improvviso blocco di uno degli ascensori dello stabile, dichiarato non più agibile.
A mandare in profondo rosso l’azienda sarebbero stati gli inquilini morosi, tutti alle prese con un tesseramento che non marcia e quindi con le casse vuote: dalla Camera del Lavoro alla stessa Cgil, fino a categorie come la funzione pubblica, che avrebbe accumulato un ritardo nei pagamenti per qualcosa come 20 mila euro.
La vicenda ha guadagnato la scena nazionale quando, lo scorso primo dicembre, a dimettersi sono stati Franco Tavella, numero uno della confederazione regionale e Federico Libertino, al vertice della Camera del Lavoro di Napoli. A chiedere loro di farsi da parte era stato il segretario generale, Susanna Camusso, che li aveva di fatto accusati di aver nascosto a Roma la portata del buco aperto nei conti delle loro strutture. In corso d’Italia sapevano tutto dal 2011, avevano replicato a muso duro gli interessati prima di fare gli scatoloni.
Una grana non da poco, se si considera che la Campania vale 327 mila tessere su un totale nazionale di 5,5 milioni nel 2014, presumibilmente in calo nel consuntivo di quest’anno. Così, giovedì 3 dicembre, la Camusso è calata a Napoli, ufficialmente per un seminario sulle strutture del Mezzogiorno già in programma da tempo. Nei saloni dell’hotel Terminus la segretaria ha annunciato l’imminente commissariamento delle strutture della Cgil campana. E ha scandito tutta seria: «Servono iniziative straordinarie, perché un’organizzazione non può vivere in uno stato di difficoltà come questo: dobbiamo metterla in sicurezza». Detto, fatto: alla testa di un variopinto e festante codazzo di una settantina di persone la Camusso ha scalato la collina di Posillipo per accomodarsi intorno alla tavola, vista mare, di un posto un po’ kitsch specializzato nei pranzi di matrimonio.
Tra un bicchiere e l’altro di More Maiorum di Mastroberardino la comitiva ha spazzolato nell’ordine: rosa di salmone affumicato di Balmoral con crostini e riccioli di burro, medaglione di bufala con polpa di granchio, scialatielli con scampi ai pachino, filetto di orata agli aromi con patate, sgroppino e delizia al limone.
Alla fine il conto, saldato con un assegno consono al menu, se lo è ritrovato tra le mani Alfredo Garzi, capo della Funzione pubblica della Cgil Campania. Cioè proprio una delle federazioni che, non essendo in grado di onorare i suoi debiti, sta portando alla cessione dello storico quartier generale della locale Cgil. Ha cinguettato giuliva al “Corriere del Mezzogiorno” Susy Esposito, leader della Fisac, la federazione dei bancari: «Non si poteva fare una figuraccia con Susanna». No, non sia mai. Ma con gli iscritti invece sì?