Analisi
Il rapporto del governo Draghi con il capitalismo pubblico
Il confine tra pubblico e privato sarà al centro dell’azione del nuovo esecutivo sul piano economico. In uno scenario globale che sta cambiando
Nel 1993 Draghi ha scritto che Guido Carli è stato «il primo e per certo tempo l’unico uomo di governo a sentire quale profonda esigenza etica, non solo economica, che il confine tra ciò che è pubblico e ciò che è privato dovesse mutare».
Carli e Draghi sono stati due protagonisti della chiusura del “sistema Beneduce”, che segue lo splendore del dopoguerra e la sua lunga crisi, sapientemente descritte da Marcello De Cecco.
Non a caso l’operato di Draghi sul capitalismo pubblico è un tema tornato all’attenzione, anche nelle consultazioni con le forze politiche. Ma quale mutata situazione dei confini tra pubblico e privato si troverà ad affrontare? Partiamo dallo scenario globale. Negli Stati Uniti impegnati in una competizione estrema con la Cina, la base industriale della Difesa influenza le decisioni sull’alta tecnologia, mentre i controlli sulle esportazioni hanno già ridisegnato alcune catene del valore globali.
La retorica europea è opposta a quella degli anni ’90. Basti considerare due aforismi dell’epoca pandemica: «Non vendiamo la nostra argenteria», del ministro tedesco Peter Altmaier, che accompagna il primato tedesco sulle scienze della vita; «La sicurezza alimentare non ha prezzo», del francese Le Maire, applicato a Carrefour per salvarla dalle mire del “predatore” Québec.
In Italia, l’estensione legislativa del concetto di “strategico” per l’uso dei poteri speciali (“golden power”) e per l’operato di Cassa Depositi e Prestiti ha creato una situazione confusa. È ora di affrontarla.
In sintesi, rischiamo di trattare la robotica industriale e i cavi sottomarini allo stesso modo dei supermercati, o la fotonica integrata come i porticcioli turistici. Una strada assurda nel medio termine, perché lo stesso aggettivo “strategico” così perde di significato. E diviene tecnicamente impossibile analizzare innumerevoli operazioni di cui rivendichiamo la strategicità, aumentando l’incertezza verso investitori interni ed esteri.
La riorganizzazione concettuale della partnership Stato-mercato meriterà l’attenzione di Draghi e della maggioranza che lo appoggia, assieme a un sistema di garanzie sulle imprese veramente in grado di incidere sulle catene del valore che coinvolgono l’Italia.
Soprattutto nell’adattamento alla transizione ecologica, che è anche una competizione che ridisegna il capitalismo europeo, creando vincitori e vinti.
È anche un tema geopolitico: in questo decennio sfumerà la prospettiva di un Bengodi cinese che attende le nostre imprese e le nostre istituzioni, rappresentata dall’inutile adesione italiana alle “Nuove Vie della Seta”. Anche se singole operazioni tra Italia e Cina resteranno importanti e Pechino manterrà senz’altro il suo primato manifatturiero mondiale, la linea rossa atlantica sulla sicurezza sarà ancora più presente nel nostro sistema. E soprattutto, per l’Italia il trend industriale e tecnologico di questo decennio riguarderà la profonda integrazione delle filiere industriali europee e transatlantiche.