La giovane guida dell’Antitrust Usa accusa il colosso di avere provocato l’aumento dei prezzi online. Stritolando la concorrenza e i consumatori. Ma ora il monopolio è alla sbarra

Quanto abbiamo risparmiato quest’anno grazie al black friday, culminato il 24 novembre? Poco o tanto, di certo avremmo risparmiato di più e magari anche a maggiore vantaggio di negozi online italiani, se Amazon non fosse quel gigante stritolatore che è. Almeno, questa è l’accusa formulata dall’Antitrust Usa e da 17 Stati americani, che da qualche settimana hanno avviato un processo monstre contro quello che è di gran lunga il principale e-commerce al mondo: 514 miliardi di dollari di ricavi l’anno (nel 2022). Tali sospetti di distorsione della concorrenza sono stati avanzati, in realtà, anche da varie Antitrust europee, tra cui quella italiana, negli anni scorsi.

 

L’accusa americana ha un peso maggiore. Non solo perché arriva dal governo Usa, ma anche perché mette nero su bianco, negli atti del processo, ciò che forse ancora adesso sembra un’assurdità alle orecchie di molti consumatori. Amazon, lungi dal farci risparmiare, ha causato un aumento dei prezzi negli acquisti online, stritolando le molte aziende che compongono il suo marketplace. Si tenga presente che il 60 per cento dei ricavi Amazon viene dai venditori di terze parti.

 

L’altra sorpresa di quest’anno è l’avversario che il colosso è chiamato a fronteggiare. Una giovane donna di origini pachistane, nata a Londra e vissuta negli Usa, giurista e con un’antica passione per il giornalismo d’inchiesta. Fin da studentessa, arcinemica dichiarata dei monopoli. È la 35enne Lina Khan che è stata messa dal presidente americano Joe Biden alla guida dell’Antitrust, ossia la Ftc (Federal Trade Commission). Un suo articolo scritto nel 2017, quand’era ancora studentessa di Legge, è considerato un manifesto profetico di quello che sta avvenendo ora. Titolo: “Il paradosso antitrust di Amazon”. Tesi: le attuali regole antitrust americane, rese super-liberiste da Ronald Reagan in poi (anni ’80), sono inadeguate perché considerano solo i vantaggi immediati per il consumatore. Sottovalutano i danni al mercato e agli stessi consumatori che emergono nel medio termine. E così hanno permesso l’ascesa indisturbata di Amazon. Il gigante, in effetti, nei primi anni ha permesso il calo dei prezzi, dov’è stato molto aggressivo, al punto da non fare profitti. Dopo avere ottenuto il controllo del settore, si è potuto permettere di invertire la rotta. E adesso addirittura arriva ad avere un effetto negativo sui prezzi. Questa la tesi di Khan e dell’accusa, che Amazon rigetta strenuamente sottolineando il suo ruolo positivo per il mercato.

 

Ecco cosa avrebbe fatto di preciso Amazon, secondo quanto sta emergendo dalle carte del ricorso. «Amazon avrebbe attuato una serie di iniziative che impediscono ai concorrenti di abbassare i prezzi dei prodotti; incidono negativamente sulla qualità dell’offerta agli acquirenti; pongono oneri gravosi ai venditori pretendendo commissioni elevatissime sulle vendite, in tal modo frustrando gli sforzi innovativi e prevenendo un corretto esercizio della concorrenza da parte degli altri operatori del mercato online che agiscono sullo stesso mercato di Amazon», riassume Luciano Daffarra, avvocato esperto di competizione nel settore digitale.

 

Uno dei punti più contestati: Amazon chiede ai commercianti di terze parti di non praticare prezzi più bassi sui loro siti o altri diversi da quello della stessa Amazon. Prima lo metteva proprio nei contratti, ora lo fa in modo più subdolo. Se si accorge di un prezzo più basso altrove, comincia a penalizzare quel venditore: non lo fa più apparire in alto nel suo motore di ricerca; gli toglie il comodo box “Acquista ora”, responsabile della maggior parte delle vendite. In documenti interni di Amazon, trovati da Ftc, manager dell’azienda sembrano ammettere queste pratiche, dichiarandole anche «punitive» verso i commercianti. In più, Ftc ha scoperto che l’azienda ha cercato di cancellare molte prove, distruggendo i documenti.

 

Di fatto, il risultato è un aumento generalizzato dei prezzi, se si considera un altro fattore: i commercianti danno ad Amazon quasi il 50 per cento di quanto guadagnano, tra commissioni di base, pubblicità e uso dei suoi centri di logistica. Queste due voci sono facoltative, ma – a quanto emerge dall’inchiesta americana – i venditori si sentono obbligati a pagare per potere vendere con efficacia su Amazon.

 

«I prodotti pubblicizzati su Amazon hanno una potenzialità circa 46 volte maggiore di essere acquistati rispetto agli altri non pubblicizzati sulla sua piattaforma; i venditori sono costretti a rimanere legati a questo mercato digitale, ben consapevoli di non trovare sbocchi altrove per i loro prodotti», spiega l’avvocato specializzato in e-commerce, Antonino Polimeni.

 

Insomma: il venditore non può lasciare Amazon, visto che questo – con la sua ascesa da titano dell’e-commerce – è diventato in pratica un luogo obbligatorio di vendita online; qui il venditore ha costi più alti, ma non può fare sconti su altri canali perché Amazon – di fatto – glielo impedisce. Risultato: i prezzi si mantengono alti ovunque per via dei costi di Amazon. Crescenti, pure: solo quelli di logistica sono aumentati del 30 per cento tra il 2021 e il 2022. La quota sul venduto che finisce nelle sue tasche è aumentata dal 19 per cento del 2014 al 45 per cento del 2023, secondo uno studio dell’Institute for Local Self-Reliance utilizzato da Ftc.

 

Il danno è per i consumatori e per lo sviluppo di e-commerce alternativi, magari locali. Non solo: i monopoli sono pericolosi anche perché tendono a danneggiare innovazione e qualità dell’offerta. Una delle scoperte di Ftc è che ora Amazon si permette persino di peggiorare i risultati di ricerca, inserendo risultati pubblicitari irrilevanti, pur di guadagnare di più. Tanto non corre il rischio di perdere utenti. Vere alternative, per noi e per i commercianti, non ci sono. E così, teme Ftc, andrà sempre peggio. A meno che non la spunti una giovane giurista senza paura.

 

La replica di Amazon
"La causa rende evidente come l’attenzione della FTC si sia radicalmente allontanata dal suo mandato di protezione dei consumatori e della concorrenza. Le pratiche contestate dalla FTC hanno contribuito a stimolare la concorrenza e l'innovazione in tutto il settore della vendita al dettaglio e hanno comportato una maggiore scelta di prodotti, prezzi più bassi e velocità di consegna per i clienti di Amazon così come maggiori opportunità per le numerose aziende che vendono nello store di Amazon. Se l'FTC dovesse prevalere, il risultato sarebbe un minor numero di prodotti tra cui scegliere, prezzi più alti, consegne più lente per i consumatori e un minor numero di soluzioni per le piccole imprese: l'opposto delle finalità per la quale la legge antitrust è stata concepita. L'azione legale presentata oggi dalla FTC è sbagliata dal punto di vista fattuale e legale e siamo pronti a far valere le nostre ragioni in tribunale".
David Zapolsky, Senior Vice President, Global Public Policy & General Counsel Amazon