Industrie in declino
L’automotive si è schiantata
Il fallimento di Tavares segna un punto di non ritorno per Stellantis. E anche per tutto il settore. Che deve darsi in fretta nuove regole per avere ancora un futuro
Le dimissioni di Carlos Tavares, manager di lungo corso (classe 1958) e artefice della nascita di Stellantis nel 2021, sono solo l'ultimo atto di un vero e proprio terremoto nel settore automotive. Una crisi iniziata con lo scandalo Dieselgate nel 2015 e che ha lasciato sul campo protagonisti che sembravano eterni e invincibili, come Martin Winterkorn (Volkswagen), Carlos Ghosn (Renault-Nissan) e Sergio Marchionne (Fca), protagonisti di quella che allora sembrava la nuova età dell’oro dell’automobile. Dunque, l’improvvisa uscita dell’Ad più pagato di sempre nel mondo dei motori (40 milioni di euro lo stipendio annuo a cui si aggiungerà una buonuscita di circa 100 milioni) che avrebbe dovuto mantenere la carica di amministratore delegato fino al 2026, chiude un’epoca che difficilmente tornerà. Tavares lascia un gruppo fortemente ridimensionato, negli obiettivi e nel valore. Anche se agli azionisti sono stati garantiti 23 miliardi di dividendi negli ultimi quattro anni. Una costellazione di 14 marchi tra Europa e Usa che non potrà sopravvivere senza una drastica ristrutturazione e senza fare seriamente i conti con la transizione energetica, lasciando da parte false promesse e obiettivi irraggiungibili. Stellantis si trova al centro di una crisi senza precedenti che sta scuotendo Europa e America e che per la prima volta colpisce allo stomaco anche il colosso tedesco Volkswagen, alle prese proprio in questi giorni con uno sciopero a oltranza di tutti i lavoratori del gruppo, appoggiati da un sindacato di ferro, per scongiurare la chiusura di almeno due fabbriche, 30 mila esuberi e tagli agli stipendi. E la spia rossa che si accende sul cruscotto della Volkswagen non poteva rimanere senza conseguenze.
Così dopo i forti ridimensionamenti in termini di stabilimenti e forza lavoro di Ford, Mercedes, Nissan e Bosch, ecco le dimissioni dell’Ad di Stellantis, l’ultimo colpo di un’industria tutta da rifondare. Chi sarà il successore? Per ora sappiamo che arriverà nei primi mesi del 2025 e a sceglierlo sarà un nuovo comitato esecutivo presieduto da John Elkann. Il nome e quello che accadrà dopo è invece tutto da scoprire. In molti ipotizzano la fusione con Renault, guidata dall’italiano Luca de Meo, uno dei Marchionne boys, assieme a Olivier François (rimasto in Stellantis) e Antonio Baravalle (ora al vertice di Lavazza e prima ancora Ceo di Einaudi). Una fusione, però, non proprio gradita allo stesso Elkann. Motivo per cui alla guida del gruppo franco-italiano potrebbe arrivare il quarantenne rampollo della Peugeot, Edouard, figlio di Robert, attuale presidente di Peugeot Invest, che dal 2020 fa parte del cda Stellantis. Ma tra i nomi che si fanno largo ci sono anche Jean-Philippe Imparato, ex Ceo di Alfa Romeo e ora responsabile per l’Europa e Antonio Filosa, responsabile per il Nord America e Ceo di Jeep. Qualunque sia il manager, però, il nuovo vertice dovrà fare i conti con le azioni del gruppo scese del 38 per cento negli ultimi 12 mesi. E soprattutto con il crollo delle vendite in Usa (-19,8 per cento rispetto all’anno precedente), il vero mercato dalle uova d’oro per Stellantis. Ma dovrà affrontare anche lo sconquasso globale e quello italiano. Tanto per farsi un’idea più precisa dell’entità della crisi, basta mettere in fila alcuni risultati: nel terzo trimestre dell’anno un calo del 27 per cento dei ricavi, a 33 miliardi di euro, con le consegne a livello mondiale crollate del 20 per cento (1.148 milioni di unità) rispetto al 2023, di cui -17 per cento in Europa, -26 per cento in Medio Oriente e Africa, -30 per cento in Asia-Pacifico e -36 per cento in Nord America. Non solo, a novembre Renault e Dacia hanno superato per la prima volta il gruppo che detiene 14 marchi sul mercato francese.
Ancora più complicata la situazione italiana, dove i deludenti risultati di produzione e mercato si sommano ai difficili rapporti con il governo che ha più volte accusato Stellantis di trascurare l’italianità dei marchi, così come il ruolo e il valore degli stabilimenti. A far traboccare il vaso sarebbe stata l’audizione in Parlamento con Tavares che ha puntato l’indice accusatorio verso l’Italia «dove i costi sono troppo alti, quello dell’energia per esempio è il doppio che in Spagna. Dovete spiegarmi come si fa a gestire questo problema. Altri hanno creato il caos e voi chiedete a me di risolvere la situazione e di garantire posti di lavoro». Inoltre, il marchio Fiat da agosto ha perso la leadership nel nostro Paese, che deteneva praticamente da sempre, lasciando il primato a Toyota e Volkswagen mentre la produzione è stata ripetutamente interrotta. Al momento, infatti, sono fermi fino all’8 gennaio Mirafiori (Fiat 500 elettrica e Maserati), Pomigliano (Alfa Romeo Tonale, Dodge Hornet e Fiat Panda) e Melfi (Jeep Renegade e Compass) dove sono previsti turni ridotti e blocchi fino alla fine di dicembre. Per Tavares, che poco più di un anno fa aveva dichiarato: «Creeremo le condizioni per invertire innanzitutto la tendenza al calo dei volumi di produzione nei due anni a venire e per costruire la road map per produrre un milione di veicoli in Italia», c’è ben poco da aggiungere. Le parole pesano e gli errori alla fine si pagano. Per questo, le sue dimissioni segnano un punto di non ritorno nelle dinamiche industriali e finanziarie del settore automotive, il fallimento di un sistema che ora ha bisogno di nuove regole e probabilmente di protagonisti più adatti a questa fase. Dimissioni che rappresentano il vero spartiacque tra oggi e domani. Un domani che per l’industria dell’auto è arrivato molto presto.