Da Fridays For Future a Ultima Generazione, in Italia crescono i movimenti ambientalisti. Soprattutto tra i giovani. «Non si può essere indifferenti alla catastrofe»

Eduardo ha 17 anni, da poco più di uno fa parte di Fridays For Future, è scout da quando era bambino e studia al liceo scientifico. Una notte di inizio marzo, con altri attivisti di Extinction Rebellion, comincia a stendere vernice lavabile sull’asfalto di corso Novara, a Torino, con l’obiettivo di disegnare una pista ciclabile. Ha dato alcune pennellate quando le forze dell’ordine lo fermano, chiedono i documenti a lui e ai suoi compagni, perquisiscono i loro zaini e assegnano 120 euro di multa a ciascuno.

 

Fridays For Future è stato il primo movimento per il clima nato dal basso a costituirsi in Italia, a cavallo tra Torino e Milano, nel 2019. Gli attivisti che hanno inaugurato la stagione dei primi scioperi studenteschi contro il riscaldamento globale avevano più o meno l’età di Eduardo e riempivano le strade con cartelloni colorati. «Quando abbiamo iniziato eravamo carichi di entusiasmo, ma anche molto ingenui. Quella è stata la chiave per essere portati in palmo di mano dai media, poi siamo diventati più scomodi», dice Luca, 24 anni, uno dei primi coordinatori del movimento. Oggi Fridays For Future è presente in 163 città italiane, si unisce alle lotte femministe intersezionali e a quelle sindacali sostenendo che non può esistere giustizia climatica senza giustizia sociale. Ha una propria sede nazionale e continua a sostenersi tramite l’autofinanziamento. Con gli altri gruppi ecologisti che nel frattempo sono nati c’è un rapporto di fratellanza e appoggio reciproco. Gli scioperi del venerdì proseguono, ma, attraverso la contaminazione con altri modelli di attivismo, il movimento ha deciso di intraprendere proteste più mirate.

 

Come quella in occasione dell’Aerospace & Defense Meetings, una delle maggiori fiere internazionali dell’industria aerospaziale tenutasi a novembre 2023 nel capoluogo piemontese. Luca era tra coloro che cercavano di dialogare con la polizia, mentre altri attivisti calavano dal tetto della struttura dove si teneva l’evento uno striscione con la scritta: “Qui si finanzia guerra e crisi climatica”. Quattro di loro hanno rischiato l’espulsione da Torino tramite i fogli di via emessi dalla Questura, una misura preventiva per persone ritenute «abitualmente dedite a traffici delittuosi» che il Tar ha deciso di sospendere nei confronti degli attivisti coinvolti. Nonostante si fosse preparato ad affrontare i rischi legali della contestazione, Luca non si aspettava di essere caricato sulla camionetta della polizia e trattenuto in Questura per sei ore, uscendone con svariate denunce a carico, ora tutte archiviate: «In quei mesi è stato difficile rendere conto alla mia famiglia e cercare lavoro. Ho dovuto rinunciare a colloqui perché nella mia situazione non potevo candidarmi». Per lui, quello che è successo è stato un modo di inviare un messaggio: «Non fatelo più, limitatevi ai cortei».

 

Per ogni nuova azione che negli ultimi anni il movimento ecologista ha compiuto rivolgendosi a politica e aziende, l’asticella del rischio giudiziario si è alzata un po’ di più. La nuova spinta di supporto popolare, invece, è arrivata dove la protesta per il clima si è fusa con le istanze del mondo del lavoro diventando una lotta di studenti e operai, come nel caso dei blocchi stradali organizzati con il collettivo dei lavoratori della ex fabbrica Gkn. È nel corso di quelle manifestazioni che il movimento Extinction Rebellion (XR) inizia a farsi spazio anche sul territorio italiano. Le sue azioni sono diventate presto riconoscibili perché assomigliano spesso a un carnevale. Gli attivisti travestiti da Pinocchio davanti al ministero dei Trasporti, a Roma, o da angioletti davanti alla Cassa Depositi e Prestiti di Torino per denunciare gli investimenti pubblici nei combustibili fossili si alternano ad azioni simboliche per chiedere al governo di intervenire contro la crisi climatica. Come quando i fiumi di cinque città sono stati tinti di verde con un sale colorato. «Il fatto che le nostre siano azioni ironiche apre un canale di comunicazione, molti passanti si fermano e ci dicono “bravi”. In questo modo evitiamo lo scontro frontale e creiamo un clima di comprensione e dialogo», spiega l’attivista Annalisa, 56 anni, insegnante.

 

Un’iniziativa di protesta di Fridays For Future ed Extinction Rebellion a Torino, sul tetto dell’Oval Lingotto

 

Le prime azioni di disobbedienza civile del movimento sono cominciate nel 2019 nel Regno Unito, con un corteo di 1.500 persone nel cuore di Londra. Manlio, insegnante pugliese di 47 anni, ha seguito le sue origini dalla Scozia, dove abita tuttora con la moglie e i figli. Si sente parte di una realtà internazionale e contribuisce alle attività del movimento anche in Italia. Da ottobre 2023 è iscritto nel registro degli indagati assieme ad altri attivisti per avere bloccato l’accesso del ministero dei Trasporti, sedendosi sugli scalini all’ingresso del palazzo. Il timore di doversi confrontare con la giustizia non lo ferma: «Mentirei se dicessi che prima di entrare in azione non ho paura, soprattutto per l’aria di repressione che tira adesso. Ma più il governo resta immobile, più io posso e devo agire: se penso alle conseguenze climatiche che riguarderanno i miei figli, i rischi che corro io mi sembrano risibili». Oggi XR è diffuso prevalentemente nel Nord Italia e conta centinaia di attivisti, soprattutto studenti e lavoratori che dedicano la maggior parte del proprio tempo libero al movimento. La sua struttura è fluida e di ispirazione sociocratica: non esiste un vero e proprio organo di coordinamento e ogni gruppo di lavoro si organizza in autonomia, secondo un approccio di potere condiviso. Non a caso, una delle proposte del movimento è quella di dare un ruolo politico attivo alle comunità locali attraverso la creazione di assemblee cittadine.

 

In cinque anni di attivismo, Extinction Rebellion ha accumulato svariate denunce e le spese legali che deve affrontare ammontano a circa 20 mila euro. Anche se molti avvocati offrono assistenza in modo gratuito, le donazioni sono essenziali. Finora i fogli di via ricevuti dagli attivisti sono stati 31, di cui sette annullati perché rivolti a persone domiciliate nella città in cui la Questura li ha emessi. Per l’avvocato Gianluca Vitale, che offre supporto a XR, l’uso di questo provvedimento nei confronti dei movimenti ambientalisti è anomalo: «Il foglio di via nasce per espellere il ladruncolo dal suo paese per ridurre i furti – spiega – ma qui parliamo di un utilizzo profondamente diverso e chiaramente politico. È diventato un modo per limitare la libertà di manifestazione sulla base di un sospetto pericolo, negando la legittimità del dissenso». A puntare il dito contro la crescente criminalizzazione degli attivisti per il clima in Italia e in Europa è anche Michel Forst, relatore speciale delle Nazioni Unite sull’ambiente, secondo cui «la repressione subita dai difensori climatici è una minaccia per i diritti umani e la democrazia».

 

Quando, quasi per gemmazione di Extinction Rebellion, si è formato il movimento Ultima Generazione, il livello di conflitto in Italia non era ancora così alto. Attualmente la sua strategia consiste in cicli di azioni più radicali rispetto all’inizio, costanti nel tempo e trasversali nella società. Così anche l’allerta interna è cresciuta: come gli altri movimenti, Ultima Generazione utilizza applicazioni di messaggistica protette e nomi in codice per organizzare le azioni ed evitare di essere intercettata dalla polizia. Dal primo blocco stradale realizzato a dicembre 2021, le denunce collezionate da questa giovane formazione – contando le singole contestazioni – sono quasi tremila.

 

Tra gli oltre cento attivisti denunciati c’è Alessandra, 21 anni, che si è unita al gruppo mentre studiava a Bologna: «Sentivo un senso di rabbia e impotenza verso le ingiustizie sociali, sapendo di avere una posizione privilegiata. Volevo rendere la mia rabbia utile e non sterile lamentela». Alla vigilia della sua prima azione temeva di vomitare per l’ansia, poi, una volta che si è seduta a terra per fermare il traffico e ha sentito l’incoraggiamento dei passanti, tutto è svanito. La rete di supporto psicologico e legale fornita dal movimento l’ha aiutata ad affrontare le proteste con consapevolezza. Adesso dice di essere pronta anche a ricevere insulti e sputi in faccia, come le è accaduto agli Uffizi, mentre attaccava immagini dell’alluvione che ha colpito Campi Bisenzio alla teca della Venere di Botticelli. Dall’ingresso nel movimento, la sua vita è stata completamente stravolta: «Mi sono resa conto di quanto, da cittadina, io abbia potere nella società e ho lasciato l’università per seguire Ultima Generazione». I suoi genitori la sostengono, ma, quando la polizia si è presentata cinque volte a casa per chiedere chi frequentasse, volevano convincerla a rinunciare alla sua scelta. Il movimento, appunto, la aiuta a fare fronte alle spese quotidiane e legali: «Si cerca di aiutare chi chiede supporto economico per le proprie esigenze, sulla base di responsabilità e fiducia reciproca». Per coprire le spese di alloggi e trasporti dei volontari che partecipano alle azioni, Ultima Generazione ha speso finora circa 38 mila euro. Altri 60 mila sono indicati nel suo bilancio come contributi a sostegno dei collaboratori che si dedicano alla causa. Gli introiti arrivano principalmente dalle donazioni nazionali, quasi il 50% delle entrate attuali. Nel 2022 erano il 14%. Il resto arriva dalle raccolte fondi e dai grant, ricevuti soprattutto dalla rete internazionale A22, che ha contribuito tramite un finanziamento del Climate Emergency Fund, organizzazione con sede a Los Angeles che sovvenziona i movimenti per il clima in tutto il mondo impegnati nella disobbedienza civile.

 

Alessandra non è l’unica ad aver abbracciato con tutta sé stessa la missione di Ultima Generazione. Con lei ci sono centinaia di under 30. Davide, 24 anni, ha studiato Astronomia a Padova finché l’esigenza di denunciare il cambiamento climatico è diventata troppo forte: «Soffrivo di stress per gli effetti devastanti della crisi che vedevo attorno a me e avevo iniziato ad adattare il mio comportamento in modo da impattare il meno possibile». A marzo, lui e altri due attivisti sono stati condannati a 8 mesi di carcere, pena sospesa, e a una multa di 60 mila euro per avere lanciato vernice sulla facciata del Senato. La sentenza ha riconosciuto l’attenuante del valore morale e sociale dell’azione. Perciò Davide crede di essere sulla strada giusta: «In un prossimo futuro mi aspetto che l’opinione pubblica condivida sempre di più la nostra causa, l’importante è restare nonviolenti». Dopo l’azione a Palazzo Madama si è trasferito in Sicilia: «Credo che le condizioni economiche di chi vive al Sud abbiano reso finora più difficile lottare per il clima in questo territorio, ma basta accendere la miccia per diffondere il messaggio anche qui».