Fidatevi, l'Ia svilupperà l'arte del dubbio. Colloquio con Francesco Profumo

Francesco Profumo, già Rettore del Politecnico di Torino, ha guidato il Cnr, la Fondazione San Paolo e l’Acri. Già ministro dell’Istruzione nel governo Monti, attualmente presiede IsyBank
Francesco Profumo, già Rettore del Politecnico di Torino, ha guidato il Cnr, la Fondazione San Paolo e l’Acri. Già ministro dell’Istruzione nel governo Monti, attualmente presiede IsyBank

Impareremo a porre domande, a interrogarci e a valutare fonti e dati, dice l’ex ministro. Una rivoluzione che investirà tutte le branche di studio e non solo quelle scientifiche

Con l’avvento dell’Ia si parla di Quarta rivoluzione industriale. Come dovranno cambiare il sistema educativo e più in generale la formazione scolastica?

«Nelle tre rivoluzioni industriali precedenti, quella della fine del Settecento, della fine dell’Ottocento e della fine del Novecento si è consolidata l’idea che esiste una stretta connessione tra rivoluzione industriale e modelli pedagogici, in quanto vengono create nuove necessità e quindi le persone debbono essere formate in modo diverso. L’elemento caratterizzante è stato una nuova forma di energia. Pensiamo al vapore tra 700 e 800, l’energia elettrica tra 800 e 900 e una forma che non è proprio di energia, ma che ha degli effetti simili che è l’automazione tra la fine del Novecento e il 2000. Queste forme di energia hanno ridotto la necessità di attività muscolare delle persone creando condizioni morfologiche diverse dello sviluppo fisico delle persone. Dall’altra parte, il modello educativo ha contribuito a creare le conoscenze e quelle competenze atte a dare risposta alle nuove necessità. Con l’intelligenza artificiale ci troviamo in una situazione completamente diversa. Non ci sarà più una riduzione dell’attività muscolare, ma ci sarà un’attività coadiuvante dell’attività cerebrale naturale con l’attività dell’intelligenza artificiale. Questo implica un modello educativo completamente diverso rispetto al passato, che tenga conto che il cervello e l’intelligenza artificiale dovranno essere entrambi allenati. Infatti ambedue quando vengono generati, l’uno in modo naturale e l’altro artificiale, hanno molta potenzialità ma non hanno elementi costitutivi così rilevanti. I nuovi modelli pedagogici dovranno essere indirizzati a questi elementi, piuttosto che all’imparare o al sapere».

 

È vero che non sarà più importante ricordare, ma saper formulare le domande giuste?

«Quando noi eravamo giovani ricordavamo i numeri di telefono dei nostri genitori e dei nostri amici. La scuola, quando ci faceva imparare a memoria le poesie, stimolava la memoria. Oggi nessuno di noi ricorda più i numeri di telefono, perché abbiamo degli strumenti dove i numeri di telefono sono memorizzati. E noi che cosa dobbiamo fare? Dobbiamo imparare a fare domande, a interagire in modo socratico, formulando domande che consentano di arrivare all’obiettivo finale, anche attraverso una sequenza di domande e non una semplice domanda secca».

 

 

Non c’è il rischio che il cervello umano vada incontro a una sorta di atrofizzazione? Ci sarà una modificazione antropologica e/o biologica?

«Io credo di no, perché nella realtà questi due sistemi, quello naturale e quello artificiale, devono collaborare. Quindi c’è una forma ibrida di interazione, diversa rispetto al passato. Gli stimoli saranno molti e quindi nel futuro avremo bisogno di persone che abbiano maggiore capacità critica perché le risposte alle domande che vengono poste all’intelligenza artificiale potrebbero essere sbagliate, potrebbero avere limiti. E allora bisogna che il nostro cervello abbia una qualche modalità di modificazione. Una volta ricordavamo i numeri di telefono, oggi non li ricordiamo più, ma abbiamo imparato come ottenere gli stessi risultati attraverso operazioni diverse dalla sola memorizzazione». 

 

Come risolvere il tema della certificazione dei dati in Rete e nella Ia?

«Sappiamo che il risultato è determinato dalla base dei dati e dalla qualità dei dati che il sistema generale ha a disposizione. Fino a oggi il riferimento è stato la Rete dove ci sono moltissimi dati, ma che non sono assolutamente certificati. Ci sono anche fake news, ci sono dati incompleti. Quindi io mi immagino che ci sarà una fase di maggiore maturità dell’intelligenza artificiale, in cui uno degli elementi centrali sarà proprio quello di avere grandi basi di dati certificati. Questo consentirà di avere dei risultati migliori e più affidabili rispetto all’incertezza derivata dal fatto di avere dei dati in rete di cui non conosciamo l’origine».

 

In questo nuovo sistema educativo come concilieremo gli elementi stem con l’umanesimo e la creatività?

«In futuro l’intelligenza artificiale verrà sempre più utilizzata e proprio per questo addestramento che dobbiamo fare per il nostro cervello avremo bisogno di avere una dimensione molto più rotonda, quindi non potremo essere solo tecnologici, ma dovremo avere un grado di umanità o di umanesimo molto più forte e certamente la creatività sarà un elemento centrale. E poi c’è un tema fondamentale che è quello dell’etica. Se noi mettiamo insieme tutti questi elementi, credo che il nostro cervello sarà sollecitato in modo diverso ma forse più che nel passato».

 

In Italia cosa si dovrebbe fare per migliorare la ricerca e la formazione?

«Le rivoluzioni industriali precedenti sono durate decine di anni: un’ottantina di anni la prima, più o meno gli stessi anni la seconda, un poco meno la terza. Quello che si imparava a scuola era sufficiente per tutta la vita. L’attuale quarta rivoluzione industriale, quella dell’intelligenza artificiale, durerà probabilmente meno di vent’anni, quindi sarà necessario tornare a scuola tante volte nella vita. Insomma bisognerà avere imparato a imparare nella prima fase della vita, ma poi torneremo tante volte a scuola. Tutto questo è molto bello perché consentirà alle persone di sentirsi attive, sempre aggiornate ma sarà anche abbastanza faticoso. Ecco perché abbiamo bisogno di un ripensamento del nostro modello educativo».

 

È vero che è un momento delicato per l’autonomia delle università, impegnate in un confronto fra libertà di ricerca e interessi economici?

«Indubbiamente dalla fine degli anni 80 il ruolo delle università è cambiato, come anche le relazioni con le aziende. Anche il modo di operare e di fare ricerca è cambiato. Gli strumenti che oggi abbiamo a disposizione consentono di distribuire la ricerca tra le università e soggetti come centri di ricerca privati. Però tutto questo deve avere delle regole. Non credo che si possa lasciare al libero arbitrio. Da una parte io sono positivo rispetto a un’apertura delle università, è però necessario che ci siano delle regole, perché le relazioni che si vengono a stabilire devono proteggere i risultati ottenuti all’interno delle università. Non bisogna svendere il sapere, bisogna che il sapere sia condiviso tra le università e i fruitori di questo sapere che è la società nel suo senso più ampio».

 

Il governo italiano ha stanziato un miliardo per i data center dell’Ia, l’Europa ha annunciato investimenti per 200 miliardi, gli Stati Uniti 500 miliardi. Come commenta questi dati?

«I data center sono certamente un elemento centrale. L’intelligenza artificiale è nata nel 1950. Un elemento certamente limitante è stato proprio la capacità di calcolo. Oggi questa ha avuto uno sviluppo enorme con questi processori che consentono di fare veramente un numero di operazioni che era non immaginabile. È uno degli elementi centrali dello sviluppo dell’intelligenza artificiale e l’Europa deve fare operazioni che siano almeno di dimensione europea. Il premio Nobel Parisi, qualche giorno fa, diceva che ci vorrebbe un soggetto pubblico europeo per l’intelligenza artificiale. Credo che la sua intuizione sia corretta. Questo soggetto dovrebbe avere poi delle ramificazioni perché noi abbiamo tantissime istituzioni che sono ottime e di grandissima qualità. Gli elementi su cui investire sono da un lato i data center con investimenti tecnologici, dall’altro la parte più intellettuale. Infine bisogna tener conto anche delle regole. Sono i tre elementi sui quali bisognerà investire con grande intelligenza, tenendo presente che i nostri competitor sono fortissimi e che hanno investito molto già fino a oggi e investiranno moltissimo anche nel futuro». 

 

 

Nel novembre scorso L’Espresso ha pubblicato un articolo su un processo di calcolo con l’utilizzo di una nuova invenzione che utilizza la fotonica. Come lo valuta?

«Uno dei temi posti dall’intelligenza artificiale è che questa grandissima capacità di calcolo necessita di moltissima energia e le valutazioni fatte sono che i nostri sistemi energetici a oggi non saranno sufficienti. Bisognerà trovare nuove forme di energia che consentano di produrla in modo da soddisfare questa esigenza, soprattutto nel momento in cui l’intelligenza artificiale diventerà ancora più importante nella nostra vita. La quantum technology è qualcosa che dà una risposta a questo tema energetico. In fondo la modalità con cui funzionano i nostri computer oggi è quella di utilizzare degli elettroni che si spostano e che consumano energia. Nel caso del processore fotonico, citato nell’articolo di novembre, il trasferimento avviene con la luce, che ha un grandissimo vantaggio dal punto di vista energetico. Io vedo veramente con grandissimo interesse questo tipo di sviluppo, perché è una risposta alla domanda di capacità di calcolo sempre più grande, ma nello stesso tempo tiene conto che ci sono delle limitazioni dal punto di vista energetico che non possono essere dimenticate».

 

Lei ha detto che lo sviluppo dell’Ia è in una fase primordiale. Perché? Cosa ci dobbiamo aspettare per il futuro?

«Se vediamo cosa è successo negli ultimi due anni capiamo che ci sono delle potenzialità ancora inespresse e che potrebbero emergere in tempi brevi. Abbiamo capito che c’è un tema di qualità di dati, che c’è la necessità di avere dei sistemi computazionali che siano capaci di fare moltissime operazioni inimmaginabili nella nostra mente e sempre più velocemente. Abbiamo capito anche che è necessario avere dei sistemi che siano sostenibili dal punto di vista energetico. Il tema etico dovrà essere tenuto in grande considerazione, ma allo stesso tempo dobbiamo evitare che le regole diventino un freno allo sviluppo. A questo processo meraviglioso di sviluppo dovranno partecipare non solo gli scienziati ma anche gli umanisti, i creativi e tutte le persone che hanno una grande attenzione per l’etica. È una rivoluzione così rilevante che deve avere il contributo di tutti».

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