Editoriale
Arriva una recessione chiamata Vladimir Putin
Attraverso l’arma del gas la Russia sta mettendo l’economia europea in crisi. E l’Italia dovrà affrontarla con un nuovo governo e con un Parlamento di nominati dai partiti. A cui poniamo queste domande
Le interruzioni del gas russo di Vladimir Putin devastano i mercati energetici europei, e i prezzi stanno rasentando il surreale. Due domande stabiliranno il clima politico di questo inverno: quanto aumenteranno ancora i prezzi dell’energia? E cosa faranno il governo e il Parlamento futuri per proteggerci?
Molti economisti prevedono una recessione nei prossimi mesi e la moneta europea sta flirtando con il suo livello più basso nei confronti del dollaro. La prospettiva di disordini e litigi tra gli Stati membri incombe. La crisi energetica richiede dalla politica una risposta coraggiosa. Ma immediata. Occorre evitare che il disfacimento dell’energia in Europa si trasformi in un crollo dell’economia.
Noi siamo alla vigilia di un voto importante, quello del 25 settembre, quando andremo a eleggere un Parlamento ridotto rispetto al passato. Una riduzione voluta da un referendum che ha avuto la meglio puntando sul fatto che in tempo di crisi economica ogni sforbiciata ai costi della politica è benvenuta. A questo si è aggiunta la più che decennale polemica contro la Casta. Con gli esponenti della nomenclatura vecchia e nuova che hanno continuato ad occupare, lottizzare, spartire il potere, in Rai e negli enti pubblici, nei ministeri e nelle burocrazie. Nulla sembra essere cambiato, tranne il numero dei parlamentari che andremo ad eleggere. Sono invece aumentate le emergenze che questo Paese deve affrontare, a partire da quella sanitaria: il Covid incombe ancora e impatta su un servizio sanitario nazionale indebolito. In moltissime regioni non si riesce a trovare medici per l’assistenza di base. E poi c’è l’emergenza economica, in cui siamo completamente immersi.
I politici scelti dai capipartito nella cerchia di amici o dei fedelissimi hanno eliminato alla radice l’idea di rappresentanza. C’è un totale appiattimento dei futuri 600 parlamentari (400 alla Camera, 200 al Senato) alle decisioni del partito di appartenenza. È uno dei maggiori effetti collaterali della legge elettorale con cui ci apprestiamo ad andare al voto: si dà poco spazio al candidato, molto al partito d’appartenenza. Come evitare questo rischio? Chiedendo agli aspiranti parlamentari di raccontare chi sono, da dove vengono, dove intendono andare e con quali risorse. Solo così gli elettori potranno votare per il candidato del proprio collegio che più li rappresenta. Per questo L’Espresso invita i candidati a rispondere alle domande che pubblichiamo questa settimana per conoscere i valori in cui crede chi sarà eletto, e comprendere la sua capacità di interpretare, territorio per territorio e con lungimiranza, le paure e le speranze dei cittadini e di tradurle in un serio lavoro parlamentare, di proposta e mediazione.
È una iniziativa che arriva anche dalla collaborazione con il Forum Disuguaglianze e Diversità che in queste settimane ha ascoltato i timori e i suggerimenti della rete di associazioni, organizzazioni, professori e ricercatori della società civile che rappresenta e che ha a cuore la giustizia sociale ed ambientale. Da qui l’idea di chiedere ai candidati, una volta eletti, di lavorare nell’interesse dei cittadini, sulla base degli impegni assunti.