La Cop29 di Baku si svolge in un contesto di crescente allarme per la crisi climatica, con l'ONU che prevede il 2024 come l'anno più caldo mai registrato, superando il limite di 1,5°C di riscaldamento globale. L'assenza di impegni concreti da parte delle principali potenze, inclusi gli Stati Uniti di Trump e l'intervento simbolico di Giorgia Meloni, evidenzia una crisi di leadership politica. Mentre l'Azerbaigian ospita il vertice, il dibattito sull'aumento dei fondi per la finanza climatica a mille miliardi di dollari annui e il confronto tra Global South e nazioni sviluppate sottolineano l'urgenza di una transizione energetica giusta.

Mentre Baku accoglie in questi giorni la Cop29, si delineano sempre di più e meglio le ombre che stanno pesando su questo vertice cruciale per la salvaguardia del nostro Pianeta. È proprio quando la comunità internazionale si riunisce che l’inascoltato allarme delle Nazioni Unite si fa sempre più pressante: il 2024 si prepara a diventare l’anno più caldo di sempre, con gli indicatori che superano il limite di 1,5 gradi di aumento della temperatura globale. È un campanello d’allerta che non possiamo ignorare, eppure i grandi della Terra in questi giorni hanno snobbato la conferenza, lasciando un vuoto preoccupante di leadership. 

Certo la scelta dell’Azerbaigian come sede è controversa, sia per essere uno dei maggiori produttori di petrolio e gas, sia per essere notoriamente uno Stato autoritario con una corruzione diffusa. Sta di fatto che i massimi inquinatori sono pressoché assenti. Con figure chiave come il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, che ha annunciato la decisione di uscire nuovamente dagli accordi di Parigi sul clima. Parliamo dei trattati per mantenere il surriscaldamento globale entro gli 1,5 gradi centigradi, firmati da Obama e già abbandonati da Trump nel 2019, salvo essere ripristinati da Biden. Il decreto presidenziale sarebbe già pronto per la firma, prevista il 20 gennaio, all’insediamento della nuova amministrazione È poi emblematico che Giorgia Meloni, in qualità di leader del G7, si sia limitata a un breve intervento, un gesto simbolico in un contesto di indifferenza globale. Questa assenza di impegni significativi da parte dei maggiori Paesi industrializzati mette a nudo la grave crisi di volontà politica per affrontare una minaccia esistenziale. Di fronte a eventi climatici devastanti – dalle alluvioni in Spagna e in Italia, alla siccità in Africa e ai cicloni in Florida – l’urgenza di azioni concrete non è mai stata così chiara. I segnali di un ambiente in crisi si manifestano quotidianamente e ci ricordano che la situazione è, per l’umanità, non solo critica, ma ormai insostenibile.

All’interno di questo contesto, la discussione sul New collective quantified goal ("Ncqg") si rivela cruciale. L'obiettivo di aumentare i fondi per la finanza climatica da centodieci miliardi a almeno mille miliardi di dollari all'anno è ambizioso, ma necessario e il dibattito su chi debba contribuire a questo fondo sta mettendo a confronto il Global South, che chiede equità, e le nazioni sviluppate, più concentrate sulla decarbonizzazione. La Cina, nonostante il suo ruolo ambiguo, potrebbe rivelarsi un attore importante, ma è essenziale che le promesse di apertura non si traducano solo in retorica. La transizione energetica giusta non è solo desiderabile, è obbligatoria. È un’opportunità per ripensare il nostro rapporto con la Terra e costruire un futuro sostenibile, dove il rispetto per l’ambiente non è solo una scelta, ma una necessità. La narrazione che ha visto il nostro Pianeta come una risorsa infinita da sfruttare deve essere completamente rovesciata e la Cop29 di Baku rappresenta sicuramente un test importante. Se la risposta che ne uscirà sarà unitaria e impegnativa potremo sperare di invertire la rotta verso un futuro migliore.