Retrospettive, visite guidate, tour nei luoghi più simbolici. La spirale bianca del museo Solomon R. Guggenheim, la "casa sulla cascata" in Pennsylvania, le celebri "prairie houses". Da New York a Chicago, gli Stati Uniti celebrano i 150 anni dalla nascita di uno dei più grandi progettisti del Novecento

Questo edificio è un’opera d’arte astratta. Chi entra per vedere un quadro di Kandinsky o Jackson Pollock resta per ammirare Frank Lloyd Wright». Dicembre 1959: poche settimane dopo l’inaugurazione del museo Solomon R. Guggenheim, Lewis Mumford recensisce sul New Yorker la spirale bianca conficcata nel cuore di Manhattan, l’impronta del più celebre architetto americano del Ventesimo secolo, scomparso sei mesi prima dell’apertura all’età di 91 anni.

L’idea è quella di una ziggurat, una torre templare della Mesopotamia antica, edificio curvilineo che connette il cielo e la terra. All’epoca è uno choc, una frattura nello skyline newyorchese - “congelatore di gelati”, “lavatrice” tra gli epiteti più gentili sciorinati dai detrattori - al punto che una ventina di artisti firma una lettera-appello per protestare contro l’esposizione delle loro opere in uno spazio simile.

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Polemiche lontane: a nessuno oggi verrebbe in mente di prendere di mira il museo, mentre gli Stati Uniti celebrano in pompa magna il 150esimo anniversario della nascita di Lloyd Wright (8 giugno 1867), precursore dell'architettura moderna, visionario e prolifico - in circa settant’anni disegnò oltre mille edifici, realizzandone più della metà - pilastro della storia dell’architettura a fianco di Le Corbusier e Ludwig Mies van der Rohe. Da New York a Chicago, dall’Arizona alla California, questa estate è scandita da mostre, seminari, workshop, visite guidate nei grattacieli e nelle abitazioni unifamiliari - le celebri “prairie houses”- campi estivi, tour organizzati dalla fondazione Frank Lloyd Wright, dal trust intitolato a suo nome e da una miriade di musei ed enti del turismo (tra gli altri, Choosechicago.com e la Chicago Architecture Foundation).

L’appuntamento clou è al MoMA, a New York: la mostra “Frank Lloyd Wright at 150: Unpacking the archive” (fino al primo ottobre) comprende quasi 400 opere realizzate tra il 1890 e gli anni Cinquanta, tra disegni, plastici, manoscritti, frammenti di edifici, filmati, documentari, spezzoni tv, dipinti, fotografie, album, mobili, molti dei quali poco noti al grande pubblico. L’occasione per ripercorrere la carriera di Lloyd Wright, a partire da caposaldi come “casa Kaufmann”, nota come la “casa sulla cascata” a Bear Run, Pennsylvania (1936), icona dell’architettura organica che teorizza la fusione tra spazio interno e natura; lo stabilimento dell’amministrazione della S.C. Johnson & Son Inc., nel Wisconsin (1936-1939), a cui aggiungerà la torre per l’eliolaboratorio, con le colonne a fungo e i tubi in vetro pyrex per le fonti di luce.

E, a Tokyo, l’Imperial Hotel (1913-23), uno dei suoi progetti più ambiziosi. A proposito di Giappone, come è noto Lloyd Wright era un appassionato di arte giapponese e collezionista di stampe “Surinomo”. «Non vi ho mai confidato fino a che punto le stampe giapponesi sono state per me fonte di ispirazione. Non mi sono mai liberato dall’effetto prodotto dalla prima impressione che mi procurarono e probabilmente non me ne libererò mai», scriveva. Ora l’Art Institute of Chicago dedica alla collezione di stampe una mostra (fino al 23 luglio), che comprende anche le foto della prima retrospettiva sul tema (1908) e numerosi disegni, a firma di Lloyd Wright e di Marion Mahoney Griffin, che testimoniano l’influenza degli elementi orientali sull’opera del grande architetto.

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