Tramandati in maniera rocambolesca, riappaiono i disegni inediti sugli Usa negli anni Cinquanta di Wildi. Ceramista, illustratore, pittore. Modernissimo. E morto suicida a Pesaro nel 1975

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Un uomo riverso sul letto, le coperte rimboccate e una pistola, una Beretta 7.65, ancora in mano. L’anziano, piccolo di statura, viene trovato cadavere il 20 marzo 1975 nel suo appartamento in via Cassi 1, una modesta casa-studio nel centro storico di Pesaro, da un parente venuto a trovarlo da Milano. «Suicidio» sentenziano le cronache locali, forse il «noto pittore-ceramista pesarese» con il pallino dei viaggi si è tolto la vita davanti allo specchio come un ultimo autoritratto, uno dei tanti realizzati. Uno choc per la placida provincia marchigiana: il fatto è avvenuto oltre una settimana prima del ritrovamento, forse il 20 febbraio, giorno del 73esimo compleanno dell’uomo, ma non si riesce a stabilire la data con precisione. «Doveva subire un’operazione agli occhi che rimandava continuamente», annota il Resto del Carlino.

Può essere raccontata così, a partire dal tragico epilogo, la storia di Achille Wildi, finito solo e dimenticato. Come nella prima scena di “Viale del tramonto” (1950), il film di Billy Wilder - curiosa l’assonanza tra i due cognomi - che ripercorre le vicende di uno squattrinato sceneggiatore di Hollywood inseguito dai creditori: all’inizio c’è un flash forward, con il cadavere del protagonista che galleggia nella piscina di una villa sul Sunset Boulevard, a Los Angeles. Stratagemma narrativo, il racconto in prima persona del defunto, adatto a raccontare anche questa storia pesarese piena di ombre.

Ma chi è Wildi? Perché rievocarlo a 44 anni dalla morte? In fondo non è l’unico artista italiano ingiustamente trascurato, un bravo ceramista diventato disegnatore e pittore autodidatta fuori dal circuito dell’arte che conta, senza sponsor né mecenati d’alto rango. A Pesaro lo chiamano “Chilén”, “Achillino”, ma nel resto d’Italia non lo conoscono in molti. Nato il 20 febbraio 1902 da Achille Vildi, calzolaio e ambulante, e Filomena Della Lunga, è il terzo figlio della coppia. Terminate le scuole elementari comincia a fare il ceramista in diverse fabbriche, dimostrando subito notevole talento, poi comincia a suonare il violino e viaggia senza sosta, soprattutto tra Parigi (Neuilly-sur-Seine) e Milano, tornando saltuariamente a casa. Più tardi, tra il 1950 e il 1955, fa la spola tra Haiti, Stati Uniti e Pesaro.

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Solitario, molto gentile, silenzioso, introverso, un po’ eccentrico, un dandy giramondo di provincia, così lo descrive chi lo frequentò. Non sono molti gli elementi a disposizione per ricostruire la sua biografia, ma una cosa è certa: la sua opera più importante resta tuttora inedita, sconosciuta o quasi, e per certi aspetti avvolta nel mistero. Eppure chi l’ha vista - artisti, illustratori, editori e studiosi tra cui il regista Pupi Avati, lo scrittore Antonio Faeti, lo scultore Giuliano Vangi, il direttore d’orchestra Alberto Zedda, il presidente onorario del Rossini Opera Festival, Gianfranco Mariotti - giura che si tratta di un vero tesoro, una graphic novel di alta qualità in anticipo sui tempi, che meriterebbe ben altra sorte.

Due libri di grande formato, 50 x 35 centimetri ciascuno, 162 disegni a tecnica mista su carta realizzati da Wildi per illustrare il suo viaggio in treno nell’America del 1955 insieme al suo corpulento datore di lavoro, Wilfredo Carlin, uno dei titolari della manifattura sanmarinese Marmaca, con la quale collaborò a lungo nel dopoguerra. Ottantotto città in otto Stati, da Port-au-Prince, ad Haiti, a Santa Barbara, in California, e poi Florida, Georgia e altri Stati degli Usa meridionali, fino al Nuovo Messico, alla ricerca di nuovi mercati da conquistare. Il diario “on the rail” destinato a illustrare il testo di “Appuntamento a Santa Barbara”, pubblicato nel 1958 dall’editore pesarese Federici, di cui oggi restano pochi esemplari ingialliti. Un diario tuttora inedito, di cui pubblichiamo alcune tavole in queste pagine, separato dal volume.
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Tramandate in maniera rocambolesca, queste tavole “americane” oggi sono custodite a Trebbiantico, sulle colline pesaresi, nella villetta a tre piani di Elio Giuliani, 57 anni, giornalista radiofonico di lungo corso, responsabile della comunicazione della squadra locale di pallacanestro, la Vuelle, infaticabile collezionista di arte pesarese: in trentacinque anni ha acquistato oltre 400 quadri di 150 artisti diversi, e poi disegni, cimeli, documenti, sculture. «Pur conoscendo e apprezzando Wildi da tanto tempo, non sospettavo l’esistenza di questi due libri. E non immaginavo neanche che il testo “Appuntamento a Santa Barbara”, che possedevo insieme a tanti dipinti e documenti dello stesso autore, fosse collegato a questi disegni», dice Giuliani mentre sfoglia emozionato i due volumi.

Pagina dopo pagina le tavole rivelano volti, paesaggi, stati d’animo: lande desolate sotto il sole abbacinante, atmosfere western e visioni notturne, mandrie e cieli stellati, contadini stremati dalla fatica, i lineamenti marcati degli afroamericani e i volti dei passeggeri còlti nel sonno, uomini in giacca e cravatta accanto a grattacieli, tralicci dell’elettricità e torri del petrolio. E anche qualche momento di tensione tra i due protagonisti, onnipresenti nei disegni, lo sguardo sospeso tra ironia, autoironia e gioia per la scoperta del Nuovo Mondo. In una tavola, invece, l’autore immortala se stesso di spalle, in un viale costeggiato da palme sotto un cielo pieno di stelle, con la testa pelata e il profilo dei grandi occhiali quadrati: sembra di riconoscere “Sunset Boulevard”e il respiro affannoso del protagonista del film di Wilder.
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Vengono in mente grandi classici della letteratura, l’America periferica di “Strade blu” (Einaudi) di William Least Heat-Moon e gli incontri inaspettati che costellano “Sulla strada” (Mondadori) di Jack Kerouac. Ma l’analogia più appropriata, forse, si può tracciare con un reportage fotografico in bianco e nero diventato celebre, realizzato nello stesso anno: “Gli americani” di Robert Frank (pubblicato in Italia da Contrasto con l’introduzione di Kerouac, suo amico come altri scrittori e poeti della Beat Generation): il diario per immagini di un lungo viaggio a bordo di una macchina di seconda mano, per raccontare con disincanto il volto struggente e talvolta triste dell’America. Uno sguardo pieno di dubbi e perplessità, emozioni e titubanze, in sintonia con l’opera di Wildi contenuta nei due libroni.

«Quando me li hanno mostrati non credevo ai miei occhi», aggiunge il collezionista, che sette anni fa riceve una telefonata inaspettata. «Un funzionario della Falck appassionato di ceramica, un pesarese trasferito a Milano, teneva questi due libri in soffitta», aggiunge Giuliani: «Dopo la sua morte i familiari hanno deciso di sgomberarla. La coppia che se ne occupò ha trattenuto i libri, che altrimenti sarebbero stati buttati. Attraverso una galleria sono arrivati a me, che collezionavo da quasi trent’anni opere del Novecento pesarese. E io li ho comprati».
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Da allora un amore a prima vista contagia gli esperti a cui Giuliani mostra il nuovo fiore all’occhiello della sua collezione, che nel frattempo si è arricchita di altri disegni e documenti dell’artista. Ad appassionarsi sono soprattutto gli illustratori, che cominciano a considerare Wildi maestro e precursore. Una rivelazione anche per Mara Cerri, una delle più valide illustratrici italiane, 41 anni, diplomata alla Scuola del libro di Urbino, che conosceva il concittadino per le riproduzioni a colori dei suoi quadri, esposte in alcuni ristoranti in città, ma non sospettava l’esistenza del diario del viaggio in America.

Anche lei rimane a bocca aperta davanti ai due volumi. «Immaginavo di scoprire un lavoro meno vibrante, invece il suo segno è assolutamente contemporaneo. L’uso della tecnica, china su carta, ha subito richiamato i grandi illustratori e fumettisti che apprezzavo da sempre: Manuele Fior, Lorenzo Mattotti, José Muñoz. Basta guardare le curve, il modo di disegnare i volti, le composizioni, le campiture di china, i pesi del bianco e nero», riflette Cerri mentre studia le tavole elogiando la varietà di registri: drammatico, quasi grottesco, romantico, crepuscolare.
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Una volta comprati i libri Giuliani ha cercato una conferma alla sua intuizione, che è arrivata da un grande pedagogista, tra i massimi esperti italiani di letteratura per l’infanzia, di illustrazione e fumetto. Bolognese di nascita e pesarese di adozione, Antonio Faeti non ha avuto dubbi. Sette anni fa scrisse di getto un articolo per il Corriere della Sera sui disegni americani di Wildi, tessendone le lodi, mentre oggi, a 80 anni, si dispiace che il diario non abbia ancora trovato un editore.

«Nel rapporto provincia-città la collocazione marginale di Wildi non sorprende: anche Mario Nanni e Sergio Romiti sono “marginali” anche se veri maestri», sottolinea mentre passeggiamo nel centro storico di Pesaro prima di fermarci nel cortile di Palazzo Mosca, sede dei Musei Civici, tra monumentali installazioni ispirate alle architetture vitruviane. «Wildi viaggia in America nel 1955, ma in realtà è un autore di graphic novel di oggi, assolutamente nostro contemporaneo, che agisce, si comporta, delinea, contorna, condensa e stilizza, interamente, come i migliori tra i giovani talenti che operano sessant’anni dopo».

Negli anni Cinquanta Wildi aveva amici nell’ambiente degli artisti pesaresi e non solo. Con Giuliano Vangi, oggi uno dei massimi scultori italiani, facevano passeggiate sul lungomare, si incontravano nei rispettivi atelier, parlavano di tutto. Suscita una certa emozione incontrare Vangi nel suo studio, mentre lavora ai disegni preparatori di una chiesa in Corea del Sud che vedrà la luce nel 2020, progettata dall’architetto Mario Botta.

In un’epoca ormai remota il sodalizio con Wildi, che il grande scultore 88enne rievoca con un aneddoto: «Nel 1971 o il 1972 venne a trovarci a Varese. Stava scrivendo un libro di argomento religioso, ma nel suo stile non convenzionale. Com’era sua abitudine si trattenne qualche giorno poi, un una giornata piovosa, improvvisamente disse: «Vado via. Voglio andare sulle montagne svizzere, sei mi fai il favore di accompagnarmi fino a Chiasso». «Ma a fare che?». «C’ho il cuore che non regge, faccio una prova», racconta lo scultore toscano, poi ricorda come il pittore pesarese fosse angustiato anche da un problema agli occhi.

«Pioveva a dirotto, lui aveva con se solo una valigetta. Io e Graziella lo accompagnammo a Chiasso e volle a tutti i costi che lo lasciassimo lì, sotto la pioggia battente. Rifiutò l’ombrello, era testone. Noi si restò lì, a guardare questo omino che si allontanava nella pioggia con la sua valigetta, come in un film di Chaplin». Chissà cosa c’era in quella valigetta, forse i disegni del viaggio in America. Mistero di Wildi.

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