Bioarcheologi, data analyst, esperti di tecnologie applicate alla conservazione dei beni culturali, ingegneri-filosofi. In un mondo interconnesso gli scienziati arricchiscono il proprio know how con competenze umanistiche, mentre storici e antropologi si avvicinano all’informatica e alla statistica. È questa la sintesi che si ricava dall’edizione 2023 della QS World University Rankings by subject, una delle più autorevoli classifiche internazionali delle università. Che pone Sapienza Università di Roma al primo posto nel mondo per gli Studi classici, per il terzo anno consecutivo, davanti alle storiche rivali Cambridge e Oxford. E altri atenei italiani in posizioni eccellenti: Politecnico di Milano in Architettura e Design e Ingegneria, Bocconi in Economia, Marketing e Finanza, Normale di Pisa in studi classici, Luiss in Scienze politiche e internazionali, università di Bologna nel settore degli Studi giuridici. Sul polo opposto delle graduatorie le università arrancano, le immatricolazioni calano e le disuguaglianze crescono.
In un contesto che cambia così in fretta risulta difficile tracciare l’identikit delle professioni del futuro, perché domani è già oggi. Come si costruisce l’eccellenza? Quali prospettive si aprono per i laureati? Come contrastare la fuga dei cervelli e attirare studenti dall’estero?
Per stilare la classifica delle università entrano in gioco criteri seri, che premiano l’impegno di professori, rettori e docenti come Giorgio Piras, direttore del dipartimento di Scienze dell’antichità a Sapienza Università di Roma, che include Archeologia, Filologia greca e latina, Storia, Epigrafia e Topografia. «Lo sbocco naturale per i nostri laureati è la ricerca nell’università, nel Cnr o in altri enti», dice Piras: «In molti insegnano nelle scuole superiori, soprattutto i laureati in Lettere classiche. Inoltre, abbiamo notizia che vengano impiegati in aziende private che si occupano di creazione e diffusione di contenuti culturali, come case editrici e cinematografiche, ma anche in imprese di altri settori che apprezzano le loro capacità di risolvere i problemi. I migliori, comunque, migrano verso le grandi università americane e britanniche: Cambridge, Oxford, Harvard, Princeton».
A tre anni dalla laurea quinquennale il tasso di occupazione dei laureati in Scienze dell’antichità si aggira intorno al 92 per cento, contro la media nazionale dell’84. «Un risultato piuttosto buono», commenta il direttore di dipartimento, che negli ultimi anni ha attivato diversi corsi di laurea in lingua inglese e uno di alta formazione in tecnologie per la conservazione e fruizione dei beni archeologici.
In Italia aumenta di anno in anno il divario tra le università eccellenti e le altre.
Secondo l’ultimo rapporto AlmaLaurea, il tasso di occupazione a un anno dal conseguimento del titolo è pari al 74,5 per cento tra i laureati di primo livello e al 74,6 per cento per quelli di secondo livello, in crescita del 2,9 per cento rispetto all’anno precedente. Numeri molto inferiori a quelli del Politecnico di Torino, dove la percentuale degli occupati sale al 90 per cento a dodici mesi dalla laurea, con una retribuzione superiore del 19 per cento rispetto alla media nazionale. Il merito di questo successo, secondo il rettore Guido Saracco, va attribuito a una mentalità radicalmente diversa rispetto al passato.
«Oggi nelle imprese non serve l’ingegnere nerd che guarda solo al profitto, ma un professionista attento alla sostenibilità ambientale dei prodotti e al loro impatto sociale», sintetizza. Una delle novità introdotte si chiama “Grandi sfide”, che prevede corsi tenuti da coppie di docenti, uno di formazione tecnica e uno di formazione umanistica. «Affrontano le sei grandi sfide del futuro prossimo, ovvero il clima, il digitale, l’energia, la mobilità sostenibile, la salute e il rapporto tra tecnologia e umanità, per formare ingegneri che siano in grado di cogliere e anticipare i cambiamenti della società e le varie implicazioni del progresso», prosegue Saracco.
L’interdisciplinarità tra materie scientifiche e umanistiche rivoluziona il paradigma della formazione anche al Politecnico di Milano, tra le prime venti università al mondo secondo il Ranking QS: in Design (ottava), Architettura (decima) e Ingegneria (18esima), mentre si attesta al primo posto in Italia. Altro dato eclatante: il 98 per cento dei laureati lavora già a un anno dal titolo, il 99 per cento gli occupati a cinque anni. «Le professioni del futuro? Difficile da prevedere cosa accadrà», sottolinea Stefano Ronchi, vicerettore dell’ateneo milanese: «Oggi formiamo ragazze e ragazzi che una volta usciti dall’università lavoreranno per cinquant’anni e andranno in pensione a ottanta. Durante la loro carriera cambieranno dieci professioni: la metà dei lavori che esistono oggi scomparirà nei prossimi venti o trent’anni».
Per formare gli studenti il Politecnico punta su strumenti metodologici, modelli cognitivi per affrontare situazioni complesse, capacità relazionali con professionisti di altre aree disciplinari. Competenze destinate a durare nel tempo. «Non si tratta semplicemente di lavorare insieme. Nel campo dell’intelligenza artificiale, ad esempio, il tema dell’etica ha una rilevanza fondamentale perché le macchine prenderanno decisioni al posto dell’uomo. E quindi bisogna attrezzarsi», continua il vicerettore. I laureati qualificati sono molto richiesti. Soprattutto nelle materie Stem (Scienze, tecnologia, ingegneria e matematica) la domanda di lavoratori è molto più alta dell’offerta: secondo un recente studio di Unioncamere, l’offerta riuscirà a soddisfare solo il 60 per cento del fabbisogno potenziale dei prossimi cinque anni, con il maggiore squilibrio nelle aree dei trasporti, del sistema moda, della meccatronica e dell’energia.
In alcuni casi, l’83 per cento dei laureati alla Bocconi di Milano ad esempio, gli studenti riescono a stipulare un contratto di lavoro o si assicurano uno stage al momento della laurea. E un terzo di loro ha già firmato un contratto a tempo indeterminato. A dodici mesi dal titolo, nell’ateneo milanese il tasso di occupazione raggiunge quasi il 97 per cento e un occupato su tre lavora all’estero, tendenza in crescita costante negli ultimi anni. Nella top ten delle università italiane la Bocconi svetta in Economia, Marketing e Finanza. «I nostri corsi di laurea hanno tutti a che fare con la capacità di leggere informazioni», sottolinea il rettore Francesco Billari: «I nostri laureati trovano spesso lavoro come consulenti, professione che sarà sempre più orientata all’analisi dei dati in funzione del marketing». Secondo il rettore, che ha insegnato per diversi anni Statistica, le competenze sono in continua evoluzione. «Un tempo Statistica era considerata una materia un po’ esotica, non particolarmente utile. Ora non è più così, è diventata sexy».
L’altro aspetto fondamentale, nella formazione dei laureati, riguarda l’internazionalizzazione. Anche nelle professioni tradizionali, avvocati e giuristi nelle istituzioni. Ne è convinto Michele Caianiello, direttore del Dipartimento di Scienze giuridiche e della Scuola di specializzazione per le professioni legali “Enrico Redenti” dell’università di Bologna, in ottima posizione in tutte le classifiche. «Il valore aggiunto di un laureato è la capacità di orientarsi tra diritti di Paesi diversi, dialogare con giuristi di altre provenienze. Bisogna essere fortissimi sui principi e flessibili nelle soluzioni tecniche. Oggi il metodo è troppo concentrato sul diritto italiano», dice il professor Caianiello, che prova a tratteggiare il profilo del laureato ideale. Qualche anno fa Alma Mater ha attivato il corso di laurea in Legal Studies, tutto in inglese, finalizzato a formare giuristi per organizzazioni internazionali, Ong, multinazionali, con forti competenze digitali. «È aperto a cento iscritti, a numero chiuso. Ci sta dando grandi soddisfazioni», conclude il professore: «Occorre superare l’impostazione mnemonica e orale di Giurisprudenza, crea una rigidità incompatibile con il mondo di oggi».