La nostra inchiesta esclusiva, in edicola da venerdì 11 aprile, prova la collisione del DC-9 con un caccia americano. Un tributo alle vittime e alle loro famiglie

Il 27 giugno 1980, il cielo sopra Ustica fu teatro di una delle tragedie più oscure della storia dell'aviazione italiana. Un DC-9 dell’Itavia si inabissò nel Mediterraneo, portando con sé 81 vite innocenti. Per decenni una cappa di mistero ha avvolto la vicenda. Tante le ipotesi circolate finora, nessuna però mai confermata. Le inchieste giudiziarie e i processi penali che ne sono seguiti si sono conclusi senza alcuna condanna. La verità portata alla luce dall’inchiesta di Paolo Biondani conferma che quella sera ci fu un’azione di guerra in tempo di pace. Una verità tanto scomoda quanto inaspettata quella che riveliamo in questo numero de L’Espresso - in edicola da venerdì 11 aprile -, frutto di una ricostruzione attenta e meticolosa di ciò che avvenne quella notte. Infatti le prove che abbiamo raccolto attestano chiaramente che la strage di Ustica non fu causata da un attentato, e nemmeno da un missile, in quanto non ci sono tracce materiali di un’esplosione, interna o esterna. I resti dell’aereo, la perizia tecnica e le testimonianze tutte ci portano verso un’unica, ineluttabile conclusione: il DC-9, subito prima della sua tragica caduta, fu centrato da un caccia americano, impegnato nell’inseguimento di un Mig libico.

 

La verità, purtroppo, è che molte delle prove che avrebbero potuto chiarire definitivamente i contorni di quella notte sono semplicemente scomparse. Documenti vitali, registrazioni e rapporti sono stati occultati nel silenzio assordante di una verità che qualcuno, evidentemente, ha tentato di nascondere. La nostra inchiesta punta il dito sull'insabbiamento sistematico di informazioni, la cancellazione di dati che avrebbero potuto gettare luce su un episodio di portata internazionale in cui l'Italia è stata, suo malgrado, coinvolta. In modo particolare, uno degli elementi più significativi emersi è la punta deformata dell'ala destra del DC-9, un indizio cruciale che fornisce dettagli chiari su quanto accaduto nei cieli quella sera. La deformazione è un chiaro segnale dell’urto con un oggetto solido, una prova tangibile di un'interazione violenta e fatale. Questi particolari, uniti a molti altri dati, come il contenitore del carburante in dotazione ai velivoli americani, trovato accanto al relitto del DC-9 che ha la punta azzurra, come quelli usati dai caccia della portaerei Saratoga della US Navy nel Tirreno quella notte, ci portano a ripensare e a riscrivere la narrazione che ha circondato la strage di Ustica per oltre quarant'anni.

 

E allora se la missione di un giornale come il nostro, da sempre, non è solo informare, ma anche dare voce a chi è rimasto costretto in silenzio, a chi ha subito un’ingiustizia, a chi ha perso una persona cara, non possiamo dimenticare le famiglie delle vittime, il loro dolore, la loro ricerca di verità e giustizia. Con questa inchiesta, intendiamo rendere un tributo doveroso a coloro che hanno perso la vita e ai loro cari, ricercando la verità a tutti i costi. Riabilitiamo altresì la reputazione di Itavia. Infatti l’evento tragico di Ustica non solo segnò una delle pagine più buie della storia dell'aviazione civile italiana, ma ebbe anche ripercussioni devastanti per la compagnia aerea che inizialmente tentò di mantenere la sua operatività, ma fu screditata con la tesi del "cedimento strutturale", poi risultata falsa, che contestava la sicurezza dei suoi velivoli. Dopo la tragedia del DC-9, Itavia subì un declino inarrestabile che portò alla sua definitiva chiusura nel 1981.

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