L'Espresso ha visitato il cantiere del prodigioso restauro della cappella dedicata alla regina longobarda nel Duomo di Monza, che alcuni definiscono ?“la Sistina ?del Nord Italia”. Il nostro racconto e le immagini esclusive

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L’ultima firma nel libro degli ospiti è di un uomo, Philip Reeker, console generale degli Stati Uniti. Ma la vicenda che stiamo per raccontare è tutta al femminile. La primadonna è lei, Teodolinda regina dei Longobardi, che cristianizzò i pagani e qui fondò la prima chiesa, dove oggi è il Duomo di Monza con la Corona Ferrea che cinse il capo di Napoleone.

Tutte donne, undici, sono le giovani specialiste che per sei anni hanno gestito il cantiere di restauro della Cappella di Teodolinda, dove ci troviamo; e salvato le pitture murali degli Zavattari, gli artisti milanesi che nel 1446 conclusero il più eminente ciclo del gotico internazionale in Italia, che ora riluce, nei suoi ori e vermiglioni e lapislazzuli, come non s’era visto mai.

[[ge:rep-locali:espresso:285141622]]Donna è la direttrice dei restauri Anna Lucchini, bella signora dalle chiome fulve con la erre arrotata. Donna, infine, è la mecenate, Titti Gaiani, la cui Fondazione, presieduta dal marito Franco Gaiani (costruttori in Monza da oltre cent’anni), è l’ente di gestione e tutela del patrimonio artistico del Duomo. La Cappella di Teodolinda, che “l’Espresso” ha visitato in anteprima, aprirà al pubblico (con accesso ai ponteggi) dalla seconda metà di gennaio; dopo Pasqua, l’inaugurazione ufficiale.

Monza, con la Villa Reale sede di rappresentanza della Regione Lombardia nel semestre Expo (e obliata, si spera, la farsa del “ministero leghista”), fibrilla di orgoglio. Lo si capisce. Questa è una vicenda di Beni culturali fuori del comune. Una conferma della nostra leadership mondiale nel restauro. Una originale storia di mecenatismo privato, in dialogo con Diocesi, Regione, Fondazione Cariplo, World Monuments Fund. E un antidoto all’Italia rissosa e depressiva. «Tutto iniziò nel 1991, quando finanziammo il primo volume scientifico sulla Cappella, coinvolgendo l’Opificio delle Pietre Dure di Firenze», racconta Titti Gaiani, grande verve e sobrii brillanti: «Volevamo creare uno strumento che aiutasse il Duomo a valorizzare la sua importanza storica e artistica».

Negli anni i benefattori Gaiani suscitarono l’interesse del premier Giulio Andreotti, l’appoggio di Antonio Paolucci direttore dei Musei Vaticani (fu lui a definire la Teodolinda «la Sistina del Nord Italia»), dei vertici diocesani. Dal 1996 si iniziò a scavare quello che oggi è il Museo e Tesoro del Duomo, quintuplicando gli spazi visitabili, dagli ipogei alla torre longobarda. «L’anno chiave fu il 2008, quando coinvolgemmo a Parigi il World Monuments Fund americano. Furono loro il primo garante finanziario verso gli altri soggetti», conferma Franco Gaiani. Ci è voluto più tempo (2008-2015), si è sforato da 2,8 a 3 milioni di euro; ma per gli standard italiani, quasi un prodigio.

Visto dai ponteggi, sotto le luci led studiate dai light designer Serena Tellini e Francesco Iannone, il ciclo di Teodolinda colpisce nel profondo. Le 45 scene, distribuite su 500 metri quadri, quasi come in una graphic novel narrano le tappe della vita della regina longobarda secondo la “Historia” di Paolo Diacono. La tematica è dunque secolare. Al centro vi sono le sue due sfarzose nozze; e per beffa sono i due mariti, Autari e Agilulfo, le figure più danneggiate. Solo i volti restaurati sono 800; tacendo le vesti in broccato, gli ori in pastiglia, i cavalieri, gli artigiani, le architetture di sfondo. Un lavoro immane, tantopiù che le condizioni delle pitture erano seriamente compromesse. «Dal 1700 la Cappella è stata restaurata, in media, ogni cinquant’anni. I danni inflitti, nell’Ottocento e dopo il 1960, erano in alcuni casi irrimediabili», spiega Anna Lucchini: «Esfoliazioni, ossidazioni, salinità, gravi errori tecnici. Ci hanno aiutato le indagini scientifiche dell’Opificio, dell’Enea, del Cnr di Firenze. Diagnosi con ultravioletti e infrarosssi, campionature sui colori, studi sull’umidità. Dal 2008 la banca dati, circa 800 grafici da noi realizzati». Ironizzava Flaubert che «deridere gli esperti» era, a Parigi, tra le «idee chic». Bene, questa storia italiana ribalta il pregiudizio.

Le restauratrici, in certe fasi, parevano astronauti in tuta bianca, armate di pennellini, laser e nanotecnologie di ultima generazione. Durante i lavori sono nati anche due bambini. Non si è potuto ripristinare l’immensa ricchezza di ori, argenti e lacche, lo sfolgorìo della cupola, decorata pochi anni prima delle pareti. «Si è persa gran parte della finitura pittorica», riassume Lucchini, «ma i colori base ora sono salvi». L’impatto è formidabile. «La Cappella, opera di confine tra Gotico e Rinascimento, è un unicum. Le nozze di Teodolinda rappresentano, per analogia, un omaggio alle nozze di Bianca Maria Visconti, andata in sposa a Francesco Sforza, per garantire continuità dinastica e politica al Ducato milanese», aggiunge, da studioso, Roberto Cassanelli del Museo del Duomo. L’unico restauro paragonabile, in tempi recenti, è quello di Santa Croce in Firenze. Da gennaio, dunque, Monza merita una visita ad hoc. Piazza Duomo è in condizioni ottime, e la città, rallegrata dal Natale, sta anche perfezionando i limiti al traffico auto nel centro storico. Davanti agli splendori di Teodolinda la stessa Corona Ferrea ridiventa ciliegina sulla torta. Del resto, chi dice che i brianzoli sanno fare solo i cinesi d’Italia? Capo chino, lavorare, poche tasse e far danee? Chissà che non scoprano anche loro che con la cultura - almeno un po’ - si mangia.

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