Anziano. Basso. Irascibile. Eppure il candidato repubblicano piace. Perché è un conservatore controcorrente

McCain, il marine ribelle

Sono più vecchio della Terra e ho più cicatrici di Frankenstein... scherza John McCain durante il giro elettorale che lo porta dal Maryland alla Florida, dal New Mexico al Mississippi. John Zogby, uno dei più influenti sondaggisti d'America, dice che il punto più debole di McCain è l'età, e forse è per questo che il candidato repubblicano esorcizza i suoi dati anagrafici mostrando al suo fianco la madre Roberta, 95 anni portati con vigore, che talvolta prende il microfono e arringa la folla per dimostrare la longevità della famiglia.

Il primo di settembre, quando la Convention repubblicana comincerà i suoi lavori a Saint Paul, in Minnesota, e lo acclamerà candidato repubblicano, McCain avrà compiuto 72 anni da quattro giorni, e saranno in molti a ricordare che se fosse eletto sarebbe il più anziano presidente degli Stati Uniti. Molti analisti politici si stupiscono che nel giro elettorale McCain parli quasi esclusivamente della sua biografia, e marginalmente della situazione irachena e dell'economia.

"Le elezioni presidenziali si vincono legando la biografia alle idee", spiega Mark Halperin, analista politico di 'Time' magazine: molti milioni di elettori, in un paese politicamente distratto come l'America, non ricordano la vita avventurosa di McCain, non sanno che è al Congresso da 25 anni e ignorano i dettagli della sua giovinezza. Così lui va in giro per l'America a raccontare i suoi sgangherati anni giovanili, i risultati scadenti al college, le notti trascorse a ubriacarsi o andando a donne. Ma questo è solo il prembolo che prelude al riscatto in Vietnam, i cinque anni e mezzo di prigionia, le torture, le medaglie. L'altro giorno a Memphis, Tennessee, McCain ha chiesto scusa per essersi opposto, nel 1982, alla istituzione del Martin Luther King Day: "Ho sbagliato", ha detto alla folla che lo fischiava.

John McCain è piccolo di statura, ha un brutto segno su una guancia per un grave melanoma che gli è stato estirpato anni fa, e non è certo un oratore carismatico: parla a voce bassa e spesso incespica nelle parole. Inoltre ha ammesso in diverse occasioni di capire poco di economia, una carenza che potrebbe essere devastante se a novembre il Paese non sarà uscito dalla recessione. Larry Sabato, docente all'università della Virginia e noto analista politico, dice che di fronte a un avversario giovane come Obama, gli strateghi di McCain credono che il prodotto migliore da vendere sia la storia della sua vita: "Prevedo che presto comincerà a lodare Obama descrivendolo come un bravo ragazzo che potrebbe essere un ottimo presidente tra vent'anni".

Non c'è analista politico che non descriva l'attuale campagna come uno dei più assurdi paradossi della recente storia americana. Dopo i disastri combinati da Bush una vittoria democratica sembrerebbe inevitabile: "Nessuno dubita che a novembre i democratici riconquisteranno la maggioranza al Senato e alla Camera. Eppure McCain può vincere", dice Larry Sabato mostrando i sondaggi che danno McCain in sostanziale parità sia con Hillary sia con Obama, e lo pongono in una posizione di vantaggio in Stati decisivi come l'Ohio e la Florida.

Certo i sondaggi positivi per McCain dipendono anche dal fatto che il leader repubblicano si sta già muovendo come un candidato presidenziale, mentre Obama e Hillary sono ancora immersi in una guerra intestina che sta danneggiando l'immagine di entrambi. Ma questa ipotesi non spiega tutto. "John McCain ha tre punti deboli", elenca Sabato: "Il primo si chiama George Bush, il presidente più impopolare della storia americana. Il secondo è l'economia, che sta entrando in recessione. Il terzo è la guerra in Iraq, che oltre i due terzi degli americani considerano sbagliata". Ma allora perché il marchio di McCain vende così bene sul mercato della politica Usa?

Paul Alexander, un giornalista democratico che nel 2002 ha scritto una biografia di McCain, dice che a renderlo eleggibile è l'immagine di candidato indipendente che lui ha costruito. Gli esperti che hanno analizzato il suo comportamento in anni di votazioni al Congresso sostengono che McCain è uno dei senatori più conservatori. Ma pur avendo dimostrato un solido attaccamento ai valori della destra, si è distinto per le sue battaglie contro Bush. Ha votato contro un emendamento alla Costituzione che avrebbe messo fuori legge i matrimoni gay sostenendo che la questione era di pertinenza di ogni singolo Stato. Ha votato contro i tagli alle tasse chiesti da Bush perché non erano accompagnati dal necessario rigore nella spesa pubblica. È stato uno dei promotori della Gang dei 14, un gruppo di senatori impegnati con successo nella ricerca di un compromesso per la nomina di un giudice alla Corte Suprema. Recentemente McCain si è alleato con il liberal Ted Kennedy per legalizzare i 12 milioni di immigrati fuorilegge, uno dei problemi più drammatici della società Usa. Inoltre otto anni fa definì il predicatore Pat Robertson, leader della destra religiosa, "un agente dell'intolleranza".

Questa sua attitudine a saltare gli steccati ideologici, se lo ha reso popolare tra gli elettori indipendenti, gli ha creato parecchi nemici tra le file dei conservatori. Tom DeLay, ex leader dei repubblicani alla Camera, ha detto che non voterebbe per McCain neppure se il candidato democratico fosse Hillary Clinton, cioè il diavolo in persona. E Rush Limbaugh, la più popolare voce radiofonica della destra, ha urlato al microfono: "Il candidato McCain distruggerà il partito".

In questo quadro la scelta di McCain è per i repubblicani un capolavoro di convenienza e di saggezza. Viste le sue posizioni eretiche, pochi pensavano che sarebbe riuscito a superare lo scoglio delle primarie. Opposto a candidati come Mitt Romney e Rudy Giuliani, McCain sembrava non avere speranze. A metà dicembre i sondaggi lo davano all'11 per cento: era senza soldi e molti analisti gli consigliavano di ritirarsi. A quel punto è accaduto un fatto imprevisto. Grazie alla strategia del generale David Petraeus, il numero dei soldati americani morti in Iraq è crollato da oltre cento al mese a meno di 30, e la percezione dell'opinione pubblica sulla tragedia irachena è cominciata a cambiare, scivolando nell'indifferenza. Il 70 per cento degli elettori continua a pensare che la conquista di Baghdad sia stato un errore, ma ormai la frittata è fatta e il realismo di McCain sembra a molti la soluzione giusta. Si dichiarò favorevole ad abbattere Saddam Hussein ben prima dell'11 settembre. Inoltre nessuno può accusarlo di mandare a morire a Baghdad i figli dei poveracci, perché il suo figlio più giovane è impegnato in Iraq sul campo di battaglia, anche se lui non ne parla. Così McCain si permette di dire che gli Stati Uniti potrebbero restare in Iraq anche cent'anni, e agli attacchi di Obama replica: "Le nostre truppe non stanno forse in Giappone dalla fine della Seconda guerra mondiale senza che nessuno gli spari addosso?".

John Zogby suggerisce che gli attuali indici di gradimento di McCain potrebbero precipitare se la situazione in Iraq peggiorasse. E quando i democratici avranno posto fine alla loro battaglia interna e cominceranno a lanciare le loro frecce contro di lui, le cose cambieranno. Quando la campagna diventerà cattiva anche l'immagine del McCain onesto e indipendente potrebbe cominciare a incrinarsi. Il suo staff sembra un'adunata di lobbisti: Rick Davis, il capo, rappresenta le più importanti società di telecomunicazioni, e Charles Black, il primo dei consiglieri, guida la Bksh, una società che fa gli interessi delle industrie dei farmaci e della Difesa.

Inoltre McCain ha un problema di finanziamenti. A fine febbraio aveva raccolto solo 64 milioni di dollari, niente rispetto ai 193 milioni messi insieme da Obama e ai 169 di Hillary. La base democratica è scatenata e i dati ufficiosi diffusi da Obama pochi giorni fa parlano di 40 milioni di dollari raccolti nel solo mese di marzo, grazie a 442 mila donazioni, un record storico. Secondo i dati diffusi dal Center for Responsive Politics persino i manager delle grandi aziende, solitamente benevoli verso i repubblicani, stanno offrendo più denaro ai democratici. Di fronte a questa débâcle finanziaria, McCain sembra orientarsi verso il finanziamento pubblico, rinunciando ai fondi privati. È una possibilità prevista dalla legge che McCain potrebbe sfruttare per indurre Obama a comportarsi in modo analogo.

Anche la scelta del vicepresidente viene considerata critica. McCain dovrà indicare un candidato molto solido, in grado di installarsi alla Casa Bianca se lui si ammalasse, e capace di succedergli tra quattro anni, quando - come ha promesso - non si ricandiderà. Bill Kristol, direttore del neoconservatore 'Weekly Standard', lo ha consigliato di scegliere Petraeus, ma si tratta di un sogno impossibile. Mark Halperin, di 'Time', dice che l'unico nome che potrebbe seriamente aiutarlo è il generale nero Colin Powell, l'eroe del Golfo, che però sembra refrattario alle candidature. Più realistica è la nomina di uno dei governatori repubblicani di alcuni Stati chiave: Charlie Chris della Florida, Tim Pawlenty del Minnesota o Haley Barbour del Mississippi. Alla fine il nome del vice conterà poco. Se i repubblicani vinceranno a novembre sarà grazie alla magnetica personalità di questo candidato amato per il carattere iroso e il gusto per l'indipendenza: "McCain è l'unico repubblicano che può vincere", dice Sabato: "Ma se vincerà sarà un capovolgimento delle previsioni. E questo risultato potrà essere determinato solo dal colore della pelle di Obama, l'incognita di novembre".

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