Quelle foto d'autore in cui Cristo si è fermato a Matera

Un film riporta alla luce decenni di fotografie di Domenico Notarangelo, reporter e testimone del Sud d’Italia per mezzo secolo. Un tesoro smembrato da preservare

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«Non siamo noi che guardiamo la miseria degli altri, è la miseria degli altri che guarda noi. Non siamo noi che guardiamo i Sassi di Matera, sono i Sassi di Matera che guardano noi». In queste due frasi di Domenico Notarangelo, giornalista, reporter, fotografo, operatore, per decenni corrispondente dell’Unità dal capoluogo lucano, c’è tutto il senso della parabola compiuta da uno dei più grandi testimoni del Mezzogiorno nel secondo Novecento.

Grande e misconosciuto se per riscoprire l’incredibile patrimonio di immagini accumulate per mezzo secolo da Domenico detto Mimì c’è voluto un film. L’appassionante “Notarangelo, ladro di anime”, che David Grieco ha girato convocando amici, testimoni, compagni di strada di quello che qualcuno ha già ribattezzato il Cartier-Bresson della Basilicata, ma soprattutto riesumando dagli scatoloni in cui giacciono in attesa di catalogazione una parte strepitosa ma numericamente esigua dell’incredibile patrimonio di foto e filmati lasciati da questo inarrestabile “antropologo selvaggio”. Che a differenza di tanti studiosi viaggiatori apparteneva al mondo eternato dal suo obiettivo e ne coglieva ogni sfumatura al primo sguardo.

Domenico Notarangelo in groppa a un mulo

«David, ma tu lo hai capito che cosa ho fatto?», si è sentito dire Grieco dal fotografo in punto di morte, nel 2016. Lo aveva capito, tanto che avrebbe dedicato quasi tre anni di lavoro a questo film presentato al Bif&st di Bari e a Matera, e ora in programma il 20 giugno alla Milanesiana. Con gli occhi puntati sull’obiettivo finale: salvare e valorizzare un archivio multimediale unico non solo per estensione e varietà, ma per la qualità delle fotografie di Notarangelo. Talvolta celebri, come quelle riprese sul set del “Vangelo secondo Matteo” di Pasolini, ma più spesso sconosciute malgrado la vita che balza fuori da ogni ambiente, ogni volto (quanti occhi ci guardano da questi scatti), ogni momento esplorato dall’obiettivo di questo geniale dilettante innamorato della sua terra.

Nato in Puglia nel 1930 a San Michele di Bari ma trasferitosi a Matera verso la fine degli anni ’50, di famiglia non proprio benestante, tre anni in seminario per poter studiare, dal 1943 al 1946, prima di essere espulso perché andava ai comizi del Pci vestito da seminarista, Notarangelo almeno all’inizio non poteva certo permettersi le Leica e le Hasselblad dei grandi fotografi e usò a lungo una autarchica Comet. Anche i suoi filmati, 700 ore di riprese mute o dotate di audio registrato a parte con il magnetofono Geloso, si dividono spartanamente fra Super8 e 16 millimetri.

Eppure, a vedere le foto scelte per il film, poche decine sulle più di centomila esistenti, si resta meravigliati per la sapienza compositiva, l’intelligenza della luce, lo sguardo quasi medianico del grande ritrattista che racconta come nessun altro un mondo al tramonto ma allora ancora vivissimo. Un mondo fatto di feste campestri e riti religiosi (di matrice pagana, dice nel film lo storico della fotografia Diego Mormorio), di edicole traboccanti di titoli comunisti (L’Unità, Vie Nuove, Rinascita, Realtà Sovietica, Il calendario del Popolo...) e di vacche inghirlandate come Veneri, di bambini che giocano nei Sassi e di folle col pugno alzato, anche se più che i pugni colpiscono gli sguardi e i sorrisi.
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Qualcuno cita Salgado, altri evocheranno Vittorio de Seta, il grande documentarista siciliano idolatrato da Scorsese. Ma in Notarangelo l’antropologo e il reporter si fondono all’artista, tanto che tra le prime qualità delle sue immagini c’è proprio la loro eterogeneità e la loro capacità di evocare anche il ruolo di laboratorio politico permanente esercitato dalla Basilicata. Ci sono le facce bellissime dei contadini e delle contadine, dunque, ma anche Togliatti, De Gasperi, Carlo Levi in visita ad Aliano, il paese di “Cristo si è fermato a Eboli”, dove più tardi sarà anche sepolto, come ricorda la prima donna sindaco d’Italia, Maria Ippolita Santomassimo.

C’è il set del Vangelo di Pasolini, a cui Notarangelo fa da guida oltre che da secondo fotografo di scena, ma prima ancora ci sono i tanti Cristi in croce fotografati a Matera che sembra di ritrovare nel lavoro del poeta regista. E poi, indimenticabili, i troppi bambini morti dopo pochi giorni di vita e agghindati a festa nelle loro bare, testimonianza di un’epoca in cui la mortalità infantile a Matera sfiorava il 50 per cento («I bambini sono scintille», si diceva con filosofia). Tanto che prima di registrarli si aspettava una settimana. E se non ce la facevano arrivava un uomo che si metteva i corpicini sotto un grande mantello nero - anche questo ha fotografato Notarangelo - e li portava al cimitero saltando l’anagrafe.
Dall'archivio di Domenico Notarangelo, Pasolini sul set de "Il Vangelo secondo Matteo"

Si capisce che un personaggio così devoto al valore della testimonianza desse anche fastidio a molti. Come il film di Grieco ricorda, tra le righe, quando arriva agli anni delle riforme e delle speranze, con lo sgombero dei Sassi e la fondazione della Martella, la borgata modello voluta da Olivetti su progetto di Quaroni. Un mondo sta finendo e anche le immagini di Notarangelo sembrano di colpo meno dense. Ultimo capitolo di un pezzo di Storia che nessuno comunque ha raccontato più fedelmente.

Per questo l’Archivio Notarangelo, dal 2011 riconosciuto come “Bene storico di interesse nazionale” dal Mibact, deve sopravvivere. Anzi cominciare a vivere veramente. Smembrato fra case, cantine e garage, per ora il suo destino è a dir poco incerto. Per salvarlo si sono fatti avanti Istituto Luce-Cinecittà e Centro Sperimentale di Cinematografia. Ma basterà? Senza memoria non siamo più nulla, dice qualcuno nel film. Ma è proprio questo nulla che oggi fa gola.

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