Scritto e diretto da David E. Talbert, classe 1966, regista di cinema, video e teatro, “Jingle Jangle” era nato per il palcoscenico. Se è diventato un film è proprio grazie a Netflix che a queste ibridazioni spettacolari, specie in chiave afro, sembra dedicare molta attenzione.
La storia, una fiaba letta da una nonna molto elegante ai suoi nipotini, sta in poche parole. Derubato dei suoi progetti da un collaboratore, il grande inventore di giocattoli Jeronicus Jangle (Justin Cornwell) perde anche la moglie, cade in depressione e vede la sua bottega zeppa di creazioni mirabolanti trasformarsi in un triste banco dei pegni. Salvo risorgere, molti anni dopo (l’interprete ora è il glorioso Forest Whitaker di “Bird” e di “Ghost Dog”), grazie a una nipotina che ha ereditato il suo genio (la portentosa Madalen Mills). E forse anche a una corpulenta vedova che non smette di corteggiarlo e fargli forza a suon di numeri irresistibili come l’attrice (l’inglese Lisa Davina Phillip).
Aggiungete un pupazzo fellone e assai narciso che ha voce e movenze di Ricky Martin (impagabile come matador deciso a non diventare un giocattolo prodotto in serie), citazioni a pioggia, da “Wall-E” a “Mary Poppins”, musiche firmate fra gli altri da John Legend, e avrete il quadro di un film nato dalla frustrazione infantile del suo autore (mai un afroamericano nelle fiabe natalizie) ma destinato a ricordarci una verità più generale. Aspettando la rivoluzione, gli esclusi vogliono la loro fetta di torta.
“Jingle Jangle”
di David E. Talbert
Usa, 122’