Un’adolescente non si ferma davanti a nessuno. E rivela verità sconcertanti

Segreti di famiglia. Se fosse un film tradizionale “A Chiara” apparterrebbe a questo sottogenere, magari in modalità “crime” per usare una categoria rassicurante e alla moda. C’è un padre che si nasconde. C’è una figlia adolescente che scopre più cose del dovuto. C’è un muro di omertà che con il pretesto di difendere Chiara e i suoi 15 anni le impedisce di conoscere la verità, dunque di crescere. Ma Jonas Carpignano, lo straordinario regista di “Mediterranea” e poi di “A Ciambra”, tutti girati a Gioia Tauro con attori-non attori trovati e formati sul posto, fa film molto diversi dagli altri. Perché sposa fino in fondo il punto di vista di tutti i suoi protagonisti, anche (soprattutto) se non coincidono. Perché estrae dai suoi (non) attori verità umane sconcertanti per esattezza e intensità. E perché punta l’obiettivo su mondi invisibili, o cancellati dai luoghi comuni. Dribblando le retoriche più consolidate.


Nessuna “denuncia”, dunque; nessun “ritratto” di figure marginali grondante pietas o magari poesia; nessuna ostensione di una qualche innocenza originaria. Questo allievo di Scorsese, che in “A Ciambra” ha ripreso una comunità Rom da dentro come nessuno era riuscito a fare, gioca con regole solo sue. Dilata all’inverosimile lo spazio gioioso di una grande festa di compleanno per poi farlo esplodere come i palloncini volteggianti nel salone. Appende ogni rivelazione e ogni sospetto allo sguardo allucinato ma fermissimo di questa 15enne (prodigiosa Swamy Rotolo) che non si ferma davanti a niente e nessuno. Rispetta la cronaca giudiziaria (perfino i nomi delle vittime di ‘ndrangheta sono veri) e insieme la scavalca perché tutto, appunto, è visto da Chiara. Dunque passato e presente, ricordo e illazione, realtà e allucinazione (sotto quella casa ce n’è un’altra, segreta…), si mescolano con echi addirittura faustiani (quella terra che si apre, in aperta campagna…).


Ne esce un romanzo di formazione che oltre a essere l’ipotetico ritratto di una ragazza di Gioia Tauro, reso ancora più “vero” dall’uso di tutta la sua famiglia (anche se la vicenda resta immaginaria), assume inquietanti risvolti metaforici. Forse i problemi con la legalità non li ha solo la famiglia di Chiara. Forse intorno alla Calabria c’è un intero Paese. Forse affrontare certi legami di sangue e cultura farebbe bene un po’ a tutti noi.

“A CHIARA”

di Jonas Carpignano
Italia-Francia, 121’

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