I due Oscar al film di Florian Zeller, miglior attore e miglior adattamento, non potevano essere dati meglio

Lasciate ogni speranza, o voi che entrate: a casa del venerabile Anthony (Hopkins) nulla è ciò che sembra, a partire dalla stessa casa; nulla si trova mai nello stesso posto o accade nel medesimo ordine; nessuna certezza conforta quei mobili così familiari, quell’interno caldo e accogliente in cui ogni tanto appaiono misteriosi estranei, quella poltrona in cui il vegliardo si adagia per ascoltare le sue musiche preferite (su tutte l’incantevole aria di Nadir da “Les pêcheurs de perles” di Bizet: ma l’intera colonna sonora curata da Ludovico Einaudi è per una volta un modello di aderenza e concisione).


Perfino quella figlia che passa sempre a trovarlo (Olivia Colman) sembra oscillare tra diversi gradi di esistenza. Una volta sta per trasferirsi a Parigi dal nuovo compagno, proprio lei che è divorziata da anni. Un’altra discute col marito (Rufus Sewell) cosa fare con quel vecchio padre che forse non ci sta più con la testa, anche se si ostina a dire il contrario. Un’altra ancora gli porta in casa, quella casa sempre simile e sempre diversa, una ragazza che - chissà perché - dovrebbe occuparsi di lui (Imogen Poots), ma almeno è sorridente, graziosa e lo guarda incantata ballare il tip-tap…


Da David Lynch a Charlie Kaufman, da David Cronenberg a George Clooney (sì, lui: qualcuno ricorda “Confessioni di una mente pericolosa”?), innumerevoli sono i film e i registi che hanno usato il cinema per abolire ogni distanza fra realtà e delirio, conscio ed inconscio, visione e allucinazione.

Adattando in prima persona la sua fortunatissima pièce (in Italia la allestì Piero Maccarinelli), il drammaturgo francese Florian Zeller, classe 1979, fa qualcosa di diverso e molto efficace. Qui non sono le “stanze” della psiche a confondersi ma i tempi, dunque gli spazi di una vita. Generando un’infinita cripto-soggettiva che avvolge lo spettatore portandolo dentro la demenza di Anthony con la precisione abbacinante del sogno a occhi aperti. In un crescendo che non perde mai concretezza grazie alla complicità di Christopher Hampton (“Le relazioni pericolose”) nel riscrivere la pièce per lo schermo. E all’interpretazione semplicemente gigantesca, esuberante e insieme controllatissima, di Anthony Hopkins. I due Oscar, miglior attore e miglior adattamento, non potevano essere dati meglio. Anche questo accade di rado.

“THE FATHER”

di Florian Zeller
Gb-Francia, 97’

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