Una nuova sconfitta giudiziaria per il re della Lega in Brianza, Giacinto Mariani. La seconda sezione civile della Corte d'Appello di Milano (presidente Gabriella Anna Maria Schiaffino, giudici Giovanna Beccarini Crescenzi e Caterina Interlandi) l'ha condannato al pagamento delle spese processuali: venticinquemila euro più i costi accessori. E ha riconosciuto vere e dimostrate le notizie pubblicate dall'Espresso nell'inchiesta “In Brianza tra Lega e clan” che nell'aprile 2013 ha denunciato, con quattro anni di anticipo sull'inchiesta penale, il “sistema Seregno”. Mariani, sindaco e poi vicesindaco nella principale città brianzola dopo Monza, nel settembre 2017 è stato infatti coinvolto con il sindaco in carica, Edoardo Mazza (Pdl), altri politici e funzionari comunali, nell'indagine su presunti favori urbanistici al costruttore Antonino Lugarà, un imprenditore immobiliare in contatto con la 'ndrangheta.
La sentenza di primo grado, emessa dal Tribunale civile di Monza, pur riconoscendo vero il contenuto dell'articolo, aveva condannato “L'Espresso” per il tono di alcune frasi, tra cui il sottotitolo. I magistrati d'Appello, valutando anche la mole di documenti depositata, hanno invece giudicato continenti e motivate tutte le informazioni. E hanno pienamente accolto il ricorso dell'Espresso, difeso dalle avvocate Virginia Ripa di Meana e Valeria Vacchini.
L'articolo descriveva il clima politico e imprenditoriale che ruotava intorno al centrodestra in Brianza. In particolare ricostruiva gli affari di una società, la “+Energy” i cui soci erano l'allora vicepresidente di Confindustria di Monza, Mario Barzaghi e, in maniera occulta dietro lo schermo di una fiduciaria, l'allora comandante della compagnia dei carabinieri, il capitano Luigi Spenga, e Mariani, a quel tempo sindaco di Seregno. Un solo particolare: nella sua attività di installazione di pannelli fotovoltaici, la “+Energy” era partner di una seconda società, la “Simec”, intestata a un prestanome del clan dei Casalesi e poi messa sotto sequestro. Una connivenza con la camorra evidentemente sfuggita ai tre soci brianzoli, che però dimostrava la bassa attenzione delle amministrazioni locali e la facilità con cui la criminalità organizzata si stava infiltrando in tutta la provincia di Monza. La clamorosa indagine, che nel 2017 ha costretto Mazza, Mariani e tutta l'amministrazione di Seregno alle dimissioni, è oggi l'ennesima conferma di quel clima.
Il Tribunale di Velletri aveva già archiviato la querela per diffamazione presentata da Mariani contro “L'Espresso”. Mentre la Corte d'Appello di Milano aveva già respinto la richiesta di risarcimento e condanna da parte di Barzaghi, e il Tribunale di Monza quella depositata da Spenga.
«L'articolo in contestazione», scrivono i giudici d'Appello nella nuova sentenza, «si apre con una descrizione critica e al contempo ironica della figura del sindaco di Seregno, Giacinto Mariani, la cui carriera insaziabile “onnivora” su più fronti, da quello imprenditoriale dei locali notturni a quello degli investimenti immobiliari, viene descritta e ricordata dal giornalista in apertura del pezzo. La narrazione prosegue quindi incentrandosi sui rapporti societari di questi con Mario Barzaghi, intercorsi non già in modo palese ma attraverso altri soggetti... Come accertato dallo stesso Tribunale, è sufficiente ricordare come detta società Simec fosse stata effettivamente fin dalla sua costituzione gestita da esponenti del clan dei Casalesi e in rapporto commerciale quantomeno per due anni con la società della quale erano soci occulti sia Giacinto Mariani che Mario Barzaghi e, tramite altro familiare, il capitano Luigi Spenga, perché risulti evidente come il riferimento contenuto nell'articolo all'essere “tutti insieme” attraverso +Energy con la Simec, società paravento all'epoca gestita da soggetti appartenenti al clan dei Casalesi, sia privo di qualsivoglia connotazione diffamatoria. Tale riferimento non induce in alcun modo il lettore ad ipotizzare un coinvolgimento consapevole e voluto di Giacinto Mariani con il clan dei Casalesi ma descrive, attraverso la narrazione pacata e misurata del giornalista, anche se ironica, un dato obiettivo».
È quindi scritto nella sentenza: «Il giornalista espone il dato solo osservando come, con riguardo ad esso, invano avesse cercato di raccogliere chiarimenti per meglio comprendere le ragioni di tali rapporti da uno dei protagonisti, Mario Barzaghi, peraltro senza esito». L'allora vicepresidente provinciale di Confindustria, dopo aver confermato i rapporti d'affari durante un'intervista, aveva infatti trattenuto il giornalista (chi scrive) nel suo ufficio e l'aveva minacciato di morte, in attesa dell'arrivo del socio-capitano dei carabinieri, che aveva messo fine al sequestro. Barzaghi è imputato con la figlia di violenza privata e minacce nel processo avviato d'ufficio dalla Procura di Monza e tuttora in corso.