Carri armati e jet da combattimento potrebbero giocare nel Ventunesimo secolo lo stesso ruolo che carbone e acciaio ebbero nel Ventesimo: l’agglomerante con cui l’Europa supera le muraglie del sovranismo. Allora fu volano il commercio. Oggi la difesa. A cambiare è però la geometria delle alleanze di quei Paesi che dettano la linea. Se l’attuale Unione a ventisette è stata il prodotto dell’iniziativa di sei Stati fondatori (Italia, Francia, Germania e Benelux) che hanno messo in comune nella Comunità economica del carbone e dell’acciaio le risorse chiave per ricostruire le economie postbelliche, quella di domani potrebbe diventare il risultato delle nascenti intese tra Stati membri con vissuti e visioni comuni.
L’imprevista e brutale invasione dell’Ucraina da parte di Vladimir Putin nel 2022 ha reso pubblicamente accettabile nel Vecchio Continente il concetto di riarmo per la Difesa, per la prima volta da quattro generazioni. L’elezione di Donald Trump, il primo presidente americano a parlare dell’Europa non come di un indispensabile alleato geopolitico ma come di un costoso limite alla grandezza americana, ha fratturato la compattezza dei 27, già incrinata dall’avanzata nelle urne nazionali delle falangi sovranpopuliste capitanate dall’ungherese Viktor Orbán. Sullo sfondo di questo scenario sta prendendo corpo la vecchia idea di una progressione dell’Unione per cerchi concentrici, con velocità diverse, oggi abilmente manovrata dal presidente francese Emmanuel Macron, il primo a rivendicare la necessità di una “sovranità europea” quando definì l’Alleanza nordatlantica «cerebralmente morta» nel 2019. La chiamano “coalizione dei volenterosi” a Bruxelles: è la formula con cui le diplomazie europee hanno de facto sostituito il meccanismo inceppato del voto all’unanimità, senza dovere passare per le impossibili forche caudine di una modifica dei Trattati.
Il triangolo di Weimar
Così l’alleanza creata nel 1991, e fino a oggi rimasta carta straccia, del Triangolo di Weimar sta prendendo corpo. I tre Paesi del triangolo – Francia, Germania e Polonia – legati dall’intento di aiutarsi reciprocamente in momenti di crisi, hanno informalmente ma efficacemente assunto il comando della difesa europea, investendo capitale politico e finanziario.
«Il Triangolo di Weimar vuole essere un think tank che offre una spinta a tutta l’Europa», aveva detto l’ex ministro della difesa tedesca Annalena Baerbock. Complice la favorevole congiuntura politica che vede due leader di centrodestra, Donald Tusk e Friedrich Mertz, membri della stessa famiglia politica dei Popolari, alla guida di Germania e Polonia e un Macron risalito nei favori dei francesi allo scoccare degli ultimi due anni di mandato, si sta creando un formato istituzionale che potrebbe resistere alle elezioni nazionali e via via inglobare altri partner europei.
«Ci sono tantissime ragioni per cui l’Europa diventi sovrana», ha dichiarato alla stampa tedesca il neo-ministro della Difesa, il conservatore Johann Wadephul, che ha contestualmente ribadito il sostegno incrollabile all’Ucraina, a cui la Germania ha fornito nel 2024 sette miliardi di euro in aiuti militari e infrastrutturali, diventando il secondo donatore dopo gli Usa (con 45 miliardi di euro).
Berlino ha ormai perso ogni reticenza nei confronti del riarmo: «C’è bisogno di un esercito forte non per condurre una guerra ma per evitarla», ha detto il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier in un discorso a Bruxelles per i 70 anni dell’ingresso della Germania nella Nato, aggiungendo che serve «non per sostituire la diplomazia ma per renderla credibile», parole che riecheggiano quelle del presidente Usa Ronald Reagan durante la Guerra fredda.
Spesa per armamenti in crescita
Secondo il recente rapporto del think tank Sipri, l’anno scorso la spesa per armamenti è cresciuta in Europa in media del 17 per cento (includendo il 38 per cento russo). Quella tedesca, grazie al fondo da 100 miliardi di euro annunciato da Berlino nel 2022, è balzata del 28 per cento, raggiungendo gli 88 miliardi di dollari e facendo della Germania il Paese che spende di più in Europa, il quarto al mondo. Come misura di paragone, l’Italia è dodicesima, quarta per valore assoluto in Europa.
La Germania ha quasi raggiunto l’obiettivo del 2 per cento del Pil in spese militari richiesto dalla Nato, e ha appena domandato alla Commissione europea di esentarla per quattro anni dal limite dell’indebitamento all’1,5 per cento del Pil proprio per incrementare ulteriormente la spesa per la difesa. Tra i contratti di acquisto più importanti del 2024 ci sono stati i carri armati Leopard 2 A8, i sottomarini U-212CD, i sistemi di difesa missilistica Patriot PAC-3 e le munizioni per artiglieria da 155 millimetri.
Dal canto suo, la Polonia ha investito 38 miliardi di dollari nel 2024, pari al 4,2 per cento del Pil, con una crescita in spese per armamenti del 31 per cento. Forte del suo impegno nella difesa, diventato per il Paese direttamente confinante con la Russia una questione esistenziale, si appresta a firmare il 9 maggio il Trattato di Nancy con la Francia, il nono Paese al mondo per spesa in difesa rispetto al Pil. Il trattato, in preparazione da mesi, sottolinea la mutua assistenza con ogni mezzo in caso di aggressione armata ed estende la protezione dello scudo nucleare francese (circa 300 testate) anche alla Polonia. È presentato dalla diplomazia francese come un trattato “premio”, dello stesso rango di quelli siglati con la Germania (Aix-de-la-Chapelle nel 2019), l’Italia (trattato del Quirinale siglato con Mario Draghi nel 2021) e la Spagna (trattato di Barcellona del 2023).
Per la Polonia si tratta di un passo epocale. Tradizionalmente atlantista di ferro, Varsavia aveva fino a oggi affidato la sua difesa contro la Russia a Washington, che in Europa ha basi militari e arsenale nucleare (in Italia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Turchia): per la prima volta apre a un Paese terzo, nell’attesa di vedere questa promessa sulla sicurezza concretizzarsi anche in infrastrutture militari (arsenale nucleare) sul suo territorio.
Intanto il Parlamento europeo dovrebbe approvare nei prossimi giorni lo schema di fornitura comune per la difesa, che prevede un fondo da 150 miliardi proposto dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen, prevedendo una soglia del 70 per cento di forniture “made in Europe”, ben oltre la proposta iniziale del 65 per cento. Il trilogo con il Consiglio europeo avrà luogo a partire da giugno ma la firma finale dell’accordo sul Programma industriale di difesa (Edip), a cui parteciperanno anche partner esterni come la Norvegia e l’Ucraina, non dovrebbe tardare.
Nuove geometrie di difesa
La novità di portata storica sarà l’adesione della Gran Bretagna, che verrà siglata il 19 maggio a Londra, nell’ambito di un’intesa più ampia sulla sicurezza. Dopo aver bloccato per decenni qualsiasi intesa sulla difesa comune, Londra si riavvicina all’Unione proprio sulle questioni militari, evidenza chiara di quanto le recenti mosse di Putin e Trump abbiano sconvolto l’ordine geopolitico mondiale e, involontariamente, ridato impulso alla costruzione di un’identità europea.
Ad avere ripreso slancio è anche il formato di cooperazione degli Otto Paesi baltici e nordici (NB8) composto da Danimarca, Estonia, Islanda, Lituania, Lettonia, Norvegia, Finlandia e Svezia, tradizionalmente uniti dalla storia tragica del passato sovietico. E mentre a circa 160 chilometri dal confine con la Finlandia, nella città russa di Petrozavodsk, gli ingegneri militari stanno espandendo le basi militari in cui il Cremlino vuole creare un nuovo quartier generale in chiave anti-Nato, come scrive il “Wall Street Journal”, gli Otto si stanno organizzando per la produzione comune di armamenti e sistemi di difesa. Hanno deciso, ad esempio, che un terzo dei veicoli da combattimento di fanteria CV90 di produzione svedese, oggetto di acquisto comune, sarà assemblato in Lituania.
La loro cooperazione non è più isolata. All’ultimo incontro annuale, lo scorso 28-29 aprile a Bornholm in Danimarca, hanno partecipato anche i ministri del Triangolo di Weimar: un chiaro segnale che un nocciolo duro della Difesa europea è in costruzione, a dispetto di ogni strumentale diritto di veto interno e col supporto di vicini geografici strategici. «Faremo a 27 quello che riusciremo ma poi stabilizzeremo la difesa europea con nuovi accordi di sicurezza insieme a Paesi che condividono gli stessi valori», sottolinea Valérie Hayer, leader francese del gruppo dei liberali all’Eurocamera, che aggiunge: «Potremo anche associare il Canada», un Paese ormai più in sintonia con l’Unione che con gli Usa.
Infine, ad accompagnare l’ascesa militare dell’Europa, ora che gli Usa hanno abdicato al ruolo di leader del mondo libero, è probabile che ci sarà anche la Turchia. «Ankara è parte integrante del rafforzamento della base industriale della difesa europea», scrive su “Kathimerini” George Monastiriakos, professore di legge all’Università di Ottawa: «La Grecia deve imparare a navigare in questo nuovo equilibrio geopolitico, che le piaccia o no». Vale anche per noi. L’Italia, ubriaca di retorica russa, sta tentando un difficile equilibrismo tra l’assecondare un’opinione pubblica che poco vorrebbe concedere all’industria bellica e molto a Putin, e il non autoescludersi dal futuro nocciolo duro dell’Unione. Perché a restare fuori dalla foto simbolo del decennio un prezzo alla fine lo si paga sempre.