Primo film italiano distribuito dalla piattaforma di Erika Lust, "Insight" è il racconto di una relazione possibile. Che parte dalle donne. E dalla rappresentazione dal piacere. Senza pudore

Coprirsi. «Il pudore è un'arma antica per toglierci spazio, spazio fisico e spazio di discorso». Tacere. «La nostra ambizione era rappresentare il desiderio attraverso una pratica che per molte è ancora tabù». Femminismo. «Il nostro film è femminista». Tre parole per spiegare perché valga la pena raccontare, nei giorni dello sciopero delle donne contro l'ipocrisia della disuguaglianza condita da mimose, di una donna sdraiata su un materasso vecchio, talvolta inquadrata dall'alto, più spesso alla ricerca dei dettagli. Del corpo. E di un uomo seduto di fronte a lei su una poltrona. Una feritoia da cui entra la luce. Abiti eleganti. All'inizio la camera ondeggia da un'oblò sul mare. Poi entra in quella stanza e segue la mano di lei, la sua masturbazione, le espressioni, gli sguardi, fino a un capovolgimento possibile prossimi alla fine.

“Insight” è un cortometraggio che dall'8 marzo – giorno dello sciopero delle donne, appunto – è diventato disponibile sul catalogo di Erika Lust, pioniera della pornografia femminile nel mondo. «Ho scelto l'International Women's day per l'uscita di “Insight” per celebrare lo sforzo che donne come “Le ragazze del porno” stanno facendo per la rappresentazione realistica del piacere femminile e dei valori del cinema nei film per adulti», ha detto Lust. Firmato da Lidia Ravviso e Slavina, nasce nell'ambito del progetto de “Le ragazze del porno” e si è poi sviluppato con un budget piccolo «visto il risultato non proprio esaltante del crowdfunding».
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«Abbiamo pensato che quello che potevamo fare, in modo femminista, era partire da noi, da quello che avevamo, ovvero la cultura cinematografica di Lidia e la mia esperienza di performer e studiosa di porno», racconta ora Slavina: «Abbiamo deciso di prendere una categoria abusata nel porno tradizionale - il "solo" o pink, con cui si definisce la masturbazione femminile - e fare un'operazione di hacking. Appropriarci del codice, per utilizzarlo verso uno scopo, rappresentando metaforicamente la relazione che c'è tra chi produce porno (e si mostra) e il pubblico». L'ambizione, spiega, «era rappresentare il desiderio, quell'onda che trascina, attraverso una pratica per molte è un tabù e per molti rimane legata a quel "mistero" della sessualità femminile che riconoscono sovraesposto, ma falso, nella rappresentazione pornografica».

Non sono solo le immunizzazioni culturali che ereditiamo da secoli, infatti, a rendere la masturbazione femminile una figura confusa. È anche la sua rappresentazione a ridurla ad altro. A uno standard pornografico che mostra le donne quali corpi in simil-plastica occupate a ripetere atteggiamenti conformi in pose conformi. «L'altro punto di partenza ero io e il mio corpo di performer», spiega infatti Slavina: «non categorizzabile tra la tipica giovane o wannabe giovane del porno ma nemmeno rassicurante come quello della milf. Una presenza fuori dagli schemi del beauty che cancella le rughe, potente perché anche se concentrata su di sé non annulla la relazione possibile con l'altro. Anzi parte da sé per sedurre».
Un'immagine di scena dal film Insight, foto di Claudia Pajewski

E questo, per quanto riguarda il porno. Ma arrivare a definire femminista un film come questo potrebbe far borbottare un femminismo per il quale la dignità delle donne e la lotta per i pari diritti andrebbero portate avanti con pudore, con serietà quasi monacale, perché il resto non è che “esibizionismo”. «Sul nostro corpo passano delle oppressioni specifiche, legate alla riproduzione da una parte e al potere sessuale dall'altra. La legittimità del corpo maschile non è in discussione. La nostra sì. Un esempio superficiale: se in estate un uomo ha caldo, si toglie la maglietta. Se una donna ha caldo non è autorizzata a farlo. Se lo fa "è pazza"». Basterebbe, aggiunge «stare a sentire la voce della decenza: se qualcuna non l'avesse ignorata adesso porteremmo ancora il corsetto e non per un gioco erotico ma per andare a fare la spesa».

Quindi, «chiunque riesca a comprendere questo - che sembra scontato ma evidentemente non lo è», continua Slavina: «può capire come per alcune la ribellione passi e debba passare per forza dal corpo, da un uso estremo e fortemente simbolico del corpo o semplicemente per la sperimentazione di forme (anche candide, innocenti) di liberazione da certe imposizioni patriarcali». «Che siamo noi stesse a farci pubbliche e svergognate rovina il gioco a quelli che ci chiamano Puttane nei gruppi segreti su FB».

«Ma non è la rivalsa verso quel tipo di sub-umanità che ci muove. È la voglia di riprenderci la potenza del corpo, di farlo giocando e sentendoci complici a partire dalla pelle, che non mente». Femminismo quindi. «Chi vuole tener su le mutande le può tenere, non è obbligatorio farla vedere al mondo per liberarsi - ma se per qualcuna invece lo è, perché stigmatizzarla? Parliamo di femminismi al plurale proprio perché dal velo allo strap on ci possiamo stare tutte, ognuna con la sua modalità e nel rispetto di quella delle altre».

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