Dal Mali all'Afghanistan, questa maschera ispirata al videogioco 'Call of Duty' è diventato il gadget più di moda tra i soldati occidentali. Un'immagine macabra, che scardina l'ipocrisia delle «missioni di pace»

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È il volto moderno della guerra, cinico e spontaneo. La maschera di un teschio che nasconde la faccia del soldato. E crea una confusione tra la brutalità dei conflitti reali e quella virtuale dei wargame: un corto circuito sempre più frequente sulla linea del fronte. L'ultima foto a fare scandalo è quella di un militare francese ritratto in Mali: visto così sembra uno scheletro in tuta mimetica. Non è l'immagine di un uomo in missione umanitaria, mandato dal presidente socialista Hollande a pacificare il Sahara: appare come un dispensatore di morte, l'incarnazione della triste mietitrice. Al posto della falce dell'iconografia medievale, ha la tenuta dei guerrieri moderni con ben visibile sul braccio il tricolore della rivoluzione francese.

Lo Stato maggiore di Parigi ha definito "inaccettabile" la divisa del suo soldato: "Non è rappresentativo dell'azione francese in Mali". Il militare in questione appartiene alla Legione Straniera, un reparto che da sempre è devoto alla "bella morte". Ancora oggi, nei ranghi della Legione arrivano uomini senza nome, provenienti soprattutto dall'Europa Orientale. Giovani in cerca d'avventura, che vengono inquadrati da altri apolidi spesso reduci dei conflitti balcanici o delle stragi russe in Cecenia. Sono loro a formare l'elité combattente della Francia socialista, anche nella missione in Mali.

Ma quella maschera macabra è diventata un gadget comune tra i soldati occidentali mandati in prima linea in Afghanistan. La indossano in una foto spettacolare i commandos americani dei Navy Seal: l'unità diventata famosa per il raid finale contro Osama Bin Laden. La vestono abitualmente fanti statunitensi e britannici, danesi e tedeschi. Lo fanno per esorcizzare la morte, con cui convivono tutti i giorni nelle vallate afghane. E per cancellare la personalità del loro volto reale, visto che per loro conta solo l'appartenenza al reparto, la fratellanza di sangue che li unisce davanti al fuoco nemico. Un'immagine agghiacciante che scardina l'ipocrisia delle missioni di pace, tanto in voga soprattutto in Europa.

I teschi in tuta mimetica riportano alla mente foto ancora più orribili. Quelle degli squadroni della morte sudamericani, che spesso usavano questi travisamenti macabri. E quelle dei massacri africani, nelle stragi etniche della Costa d'Avorio e della Liberia. Dietro le immagini dei soldati occidentali però si manifesta anche un altro fenomeno, pericolosissimo: la crescente confusione tra guerre virtuali e conflitti reali, tra pallottole e videogiochi.

La maschera del legionario francese è ispirata a un wargame popolarissimo: Call of Duty, lo stesso con cui giocano decine di ragazzini delle scuole medie pure in Italia. Uno dei videogiochi più venduti, in cui commandos occidentali scaricano centinaia di proiettili su miliziani islamici e avversari d'ogni risma, ma spesso connotati con caratteristiche razziali. Si può fare fuoco anche nelle città, nel centro di Londra e in quello di Parigi, mettendo in conto il rischio di crivellare i civili.

Ovviamente, Call of Duty spopola anche nelle caserme di tutto il mondo. Un documentario di rara qualità ("Armadillo" premiato a Cannes nel 2010) girato seguendo un plotone di soldati danesi in Afghanistan mostra questi ventenni rinchiusi di notte nei loro bunker che, tra un combattimento e l'altro, si dedicano proprio a sparatorie simulate.

Oggi l'addestramento dei soldati avviene sempre più spesso su simulatori e videogiochi. Senza tenere conto del rischio che può nascere proprio nel momento dell'azione, quando gli automatismi appresi premendo il grilletto virtuale possono scatenarsi su un'arma reale. Proprio in "Armadillo" si nota come gli equipaggi dei mezzi corazzati non vedono mai direttamente la realtà: combattono dagli schermi dei loro visori e sparano premendo i tasti di una consolle, in tutto identica a quella di un wargame. Ed è questa la linea sottile della guerra dei droni voluta proprio dall'amministrazione del democratico Barack Obama per sconfiggere il terrorismo: aerei telecomandati che lanciano missili in Asia e Africa, guidati da uomini che sono in basi degli Stati Uniti, comodamente seduti davanti a uno schermo digitale.

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