La prima è rappresentata ?da Tsipras, l'altra da chi si oppone alle misure varate dal governo greco dopo il referendum. Come evolveranno dipenderà anche dal voto in Spagna. La crisi dei riformisti ha comunque aperto loro uno spazio. Parla Marc Lazar

Varoufakis e Tsipras
La vicenda greca dimostra che esistono oggi più sinistre radicali non una sola. Un fossato divide chi si attesta su posizioni più intransigenti e chi cerca una soluzione realistica di compromesso. Questa divisione non vale solo per Atene, ma si ritrova in tutti i Paesi europei.

È l’analisi di Marc Lazar, 63 anni, docente di storia e sociologia politica a Sciences Po (Parigi), presidente della School of government alla Luiss (Roma), tra i massimi studiosi ed esperti di sinistra del Vecchio Continente. In ogni caso, per la sinistra alternativa e per le sue prospettive questo è un momento cruciale. E tutto ruota attorno alla figura di Alexis Tsipras.

Ragiona Lazar: «Ancora prima della clamorosa vittoria alle elezioni di gennaio 2015 e già alle europee del 2014, Tsipras era stato costruito come figura di riferimento della sinistra radicale. Addirittura in Italia era nata una lista col suo nome. Da molte sue dichiarazioni, si proponeva come avanguardia per cambiare tante cose in Europa».

Ma poi arriva la svolta con l’accettazione del piano draconiano imposto da Bruxelles e vissuto come tradimento del “No” al referendum. Analizza il professore: «Nasce da lì la forte disillusione nei suoi confronti. Basta leggere le reazioni di Podemos in Spagna, delle componenti alla sinistra del Pd in Italia, del Front de Gauche in Francia, sugli stessi siti antagonisti tedeschi». Per non dire in patria, dove dall’ex ministro delle Finanze Yanis Varoufakis a Panagiotis Lafazanis, leader della minoranza ex comunista all’interno di Syriza, in molti prendono le distanze costringendolo a un rimpasto di governo e ad accettare l’appoggio degli ex nemici dei partiti tradizionali come i socialisti e Nuova Democrazia. Dunque una sinistra spezzata e delusa, dopo aver accarezzato la speranza di una vittoria, ora si deve confrontare con due dilemmi, il primo non nuovo e simile, paragona Lazar, «a quelli che negli anni 70 dovettero affrontare il Pci in Italia e il Pcf in Francia».
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Andiamo con ordine, col primo dilemma. «Che suona così: cosa facciamo se vinciamo le elezioni, che rapporto instauriamo col potere se cambiare tutto è utopistico, impossibile? Tsipras avanza una risposta interessante quando dice che l’esperienza di Syriza non può essere solo una parentesi. Così accetta il compromesso per salvare la Grecia e perché la maggioranza del suo popolo non vuole uscire dall’euro».

Una versione moderna di Galileo Galilei, insomma, “ho abiurato ma vivrò”. Lazar riprende: «Accetta il patto perché può andare avanti. Spera che in autunno la eventuale vittoria di Podemos in Spagna e altri trionfi di partiti consimili possano cambiare i rapporti di forza in Europa. Ma c’è anche un’altra ipotesi abbastanza improbabile. Che Tsipras si voglia proporre come un Mitterrand greco. Alludo al François Mitterrand che nel 1981 fece una politica di nazionalizzazione e nel 1983 sposò il rigore senza dirlo e senza mai spiegare il perché del cambiamento».

Il secondo dilemma è invece tremendamente attuale. Lo studioso parigino lo riassume in una domanda semplice: «Che fare con l’euro? Tsipras spiega che la maggioranza dei greci è contro l’uscita dalla moneta unica. E allora se si accetta di starci dentro bisogna accettare quella gabbia di ferro politico-economica che la Ue impone». È stata la scelta del primo ministro greco e ha provocato la separazione «della componente più estremista della sinistra radicale. Che a questo punto in Grecia come in Francia o in Italia potrebbe ammantarsi di aspetti nazionalistici ed essere favorevole a tornare a una divisa autonoma. Con una convergenza coi partiti pupulisti di estrema destra. E una comunione di intenti nella critica alla Germania. In Francia Jean-Luc Mélenchon, leader del Front de Gauche, passa il suo tempo a sparare a zero contro Berlino con parole che ricordano i momenti peggiori di tensioni franco-tedesche».

In ogni caso, una sinistra radicale prima pressoché estinta ha ripreso forza e vigore in tempi di crisi economica e di scontri che in altre epoche si sarebbero detti “di classe”. Segno di un’offerta politica che mancava in un panorama segnato dal dualismo moderati-riformisti. Lazar fa notare quella che non è una coincidenza: «Lo spazio per la sinistra radicale è più largo in quei Paesi come Grecia, Italia, Francia, Spagna e Portogallo che vengono da una corposa eredità di consensi al partito comunista, anche se questa sinistra radicale non è la riproduzione dei vecchi partiti comunisti».

La prima cartina di tornasole per verificare la loro tenuta saranno le elezioni in Spagna. Sono forti, questi movimenti nati sull’ala estrema, del progressivo slittamento della sinistra tradizionale su posizioni centriste. Marc Lazar fa un distinguo: «I riformisti in economia hanno accettato rigore, contenimento del deficit, rilancio di competitività delle imprese, flessibilità del mercato del lavoro. Ma attenzione non sono sovrapponibili al centrodestra su altri temi come i diritti civili e le politiche sociali. Però è vero che la sinistra della sinistra ha lanciato sfide importanti alla sinistra tradizionale, la quale si trova come presa in trappola perché non riesce a elaborare un suo progetto su temi cruciali come la politica economica, l’Europa o la qualità della democrazia».

Colpa anche della camicia stretta che i vari Stati nazionali si sono messi accettando l’euro: di fatto una restrizione di sovranità e un margine ridotto per azioni autonome. Anche qui il professore distingue: «Nella zona euro c’è poco spazio per politiche alternative. Ma non credo sia una limitazione della democrazia. I vari governi che hanno accettato la moneta unica sono stati tutti eletti dal popolo. In ogni caso di questa riduzione di sovranità voi italiani avete già fatto esperienza nel 2011, ed eravate tutti contenti, avete applaudito all’uscita di Berlusconi causata dalle manovre di Sarkozy, Merkel e della Banca centrale europea e del Fondo monetario».
C’è la Grecia oggi, ma Lazar vuole rimarcare, in chiusura, che è assai più preoccupante, per i destini dell’Europa, quanto successo dopo le elezioni del 2014: «Sono cresciuti l’astensionismo e i populisti. Ma nessun leader ne ha tratto una lezione. E non è nato alcun dibattito su che Europa vogliamo».

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