Per il centro biomedico sull’area Expo, il governo ha riempito di fondi l’istituto creato da Tremonti e Moratti, umiliando le migliori università e il Cnr

Trent’anni fa lo Shuttle Challenger esplodeva in volo alla partenza. Per la Nasa un colpo durissimo e l’allora presidente Usa, Ronald Reagan, ordinò una commissione d’inchiesta di alto profilo nella quale c’era anche Richard Feynman, premio Nobel per la fisica. Feynman capì che la Nasa aveva avuto una responsabilità diretta nell’accaduto. E disse che era dovere della Nasa, pagata con le tasse dei cittadini, essere aperta alla discussione e alla critica, per rendere possibile un giudizio sull’uso del denaro pubblico. Era evidente che il governo Usa aveva influenzato le scelte tecniche dell’ente in modo disastroso. La relazione Feynman sugli effetti della politica sulla ricerca è lì da leggere.

Trent’anni dopo, in Italia, abbiamo ancora molto da imparare sulla corretta gestione dei rapporti politica-ricerca-denaro pubblico. Prendiamo la querelle in corso sullo Human Technopole (Ht) nell’area milanese ex-Expo. La presidenza del Consiglio, con il ministro dell’Agricoltura, ha deciso di utilizzare l’area per la ricerca biomedica. Fin qui, più o meno, tutto bene. Dico più o meno perché, mentre è ovvio che la politica può e deve indirizzare le macroscelte della ricerca pubblica, un’impresa di questo tipo dovrebbe essere inserita nel Programma Nazionale della Ricerca, la bibbia della ricerca italiana.

E qui casca un primo asino. Il suddetto Pnr è un’araba fenice: scritto due anni fa, è ancora in attesa di approvazione, nonostante ripetute rassicurazioni del Miur. Miur è l’acronimo di un ministero dove, accanto a Istruzione ed Università, la “R” dovrebbe voler dire Ricerca.

Ma allora, visto che il Pnr non è ancora approvato, perché non includervi la proposta di Ht ? Perché i titolari della “R” non esigono che una così importante “R-iniziativa” sia vagliata e messa in concorrenza con le altre iniziative esistenti, nel campo delle scienze della vita e non solo? Perché, invece, al progetto viene anche dato un panierino di 150 milioni all’anno per dieci anni, deciso non si sa come, certo non in un confronto con il resto delle proposte di ricerca dal Paese?

E qui avanza un secondo, ancor più barcollante asino. I suddetti 1,5 miliardi in dieci anni non vengono messi a bando tra enti pubblici di ricerca e università, dove pure risiede la stragrande maggioranza del know-how della ricerca (la famosa “R”. I soldi vengono assegnati all’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) di Genova, in collaborazione con istituti minori a Torino e Trento. E Milano? Con tutte le sue università, il Politecnico, gli Irccs biomedici più importanti d’Italia, le sedi locali degli enti pubblici nazionali di ricerca, come il Cnr? Neanche considerati all’inizio, rientrano poi in parte, ma solo come collaboratori dello Iit, destinatario dei fondi.

Lo Iit fu fondato a Genova, nel 2003, fortemente voluto dagli allora ministri Tremonti e Moratti. È un ente pubblico di ricerca o no? Al riguardo, la Corte dei Conti dice: «Iit è una fondazione da inquadrare fra gli organismi di diritto pubblico (...) con la scelta di un modello di organizzazione di diritto privato per rispondere all’esigenza di assicurare procedure più snelle». 

Boh. Dopo circa dieci anni ai vertici di enti pubblici di ricerca in Italia (Asa ed Inaf), quattro come direttore di un centro di ricerca pubblico francese e altrettanti come presidente di un ente mondiale (pubblico) per la ricerca spaziale, confesso di non capire. La «scelta di una organizzazione di diritto privato»o le procedure «più snelle», per esempio, sono un sogno proibito che gli enti del ministero con la “R” non sono mai riusciti ad ottenere e che il governo potrebbe dare con un tratto di penna, ma non lo fa. Quindi, modestamente, non penso che lo Iit sia un ente pubblico di ricerca.

Niente di male, solo che i soldi promessi dal governo sono pubblici. E forse il governo dovrebbe avere a cuore quelli che la ricerca pubblica la fanno: per finanziarli, date le magrissime risorse. La comunità scientifica italiana ha subito l’azzeramento per due anni dei progetti di ricerca Prin, l’università ha perso il 20 per cento dei docenti, gli atenei e gli enti (davvero) pubblici di ricerca hanno avuto un taglio del 20 per cento, il reclutamento è diminuito del 90 per cento.

Difficile quindi accettare che una cifra paragonabile al bilancio annuale di un ente “R” sia regalata - senza alcuna consultazione né discussione - a uno Iit che già gode (oltre a un ottimo finanziamento pubblico annuale) di regole di lavoro che si è potuto costruire come ha voluto. Fa pensare a un plateale atto di sfiducia alla università e alla ricerca pubblica.

Giovanni Bignami, astrofisico,
Accademia dei Lincei

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