Tutte le stelle si formano nelle galassie, ma alcune possono essere strappate via e catapultate nello spazio intergalattico durante gli eventi violenti che tempestano la vita dell’universo, per esempio quando due galassie si scontrano e si fondono. L’idea comune era che queste stelle vagabonde fossero abbastanza poche.
[[ge:rep-locali:espresso:285141695]]Ma gli astronomi hanno voluto controllare meglio per capire dove fosse finita la materia che mancava ai loro conti. Si sa che la materia ordinaria, visibile, che forma le stelle e i pianeti, le polveri e i gas cosmici, costituisce solo una piccola frazione del contenuto dell’universo, circa il 5% (il resto è formato da quelle entità esotiche che sono la materia oscura e l’energia oscura). Ma anche di questa materia ordinaria, facendo la somma di tutte le stelle e gli altri corpi visibili, gli astronomi riuscivano a vederne solo la metà. Dov’era finita l’altra metà?
Dopo aver vagliato invano altre possibilità, come un numero più alto del previsto di buchi neri o di stelle morte e oscure, gli scienziati hanno pensato che questa materia potesse essere dispersa tra le galassie sotto forma per l’appunto di stelle solitarie, non visibili singolarmente ma rilevabili forse dal loro bagliore d’insieme, come una città in lontananza.
Da Terra una luce così tenue non sarebbe riconoscibile per le interferenze dell’atmosfera, mentre i telescopi in orbita, come Hubble, osservano spicchi di cielo troppo ristretti. Per sperare di rilevare un bagliore simile bisognava guardare dallo spazio un’ampia fetta di cielo.

Queste ultime hanno mostrato che, sottraendo tutta la luce delle galassie, non rimane il buio del vuoto interstellare ma un fioco chiarore di fondo, spiegabile solo immaginando che fra le galassie si trovino sparsi miliardi e miliardi di stelle. Forse, secondo i primi calcoli (ancora però da confermare), tante quante quelle nelle galassie stesse: la metà di tutte le stelle dell’universo, ovvero quella metà di materia che manca ai conti.