L'inchiesta della procura antimafia di Roma e dalla guardia di finanza svela un vasto traffico internazionale di cocaina. Gli inquirenti riscono a tracciare i flussi del denaro fino in Brasile. E sospettano che uno dei complici del riciclaggio si nasconda nell'ambasciata africana a Pomezia

C'è un diplomatico a Roma che per qualche tempo ha aiutato i narcos della 'ndrangheta a riciciclare denaro. L'identità è ancora top secret. Ma più di qualche indizio è contenuto nell'ultima indagine della procura antimafia della capitale che ha bloccato un enorme traffico di droga: oltre mille chili di cocaina sudamericana per le piazze romane. Il lucroso import della 'ndrangheta è finito nel mirino delle fiamme gialle del comando provinciale di Roma che su ordine del gip del tribunale capitolino hanno eseguito diciannove arresti per traffico internazionale.

Nell'ordinanza non si parla di esplicitamente di mafia calabrese, ma i nomi dei capi e degli organizzatori conducono direttamente alle 'ndrine della provincia di Reggio Calabria. Anche uno dei porti di arrivo della sostanza, Gioia Tauro, è lo stesso utilizzato dalla 'ndrangheta. Tra gli indagati anche alcuni colletti bianchi e imprenditori con società a Londra.

«Come raramente accade, le indagini hanno consentito di ricostruire la filiera del trasferimento di denaro utilizzato per pagare le sostanze stupefacenti», ha spiegato il procuratore aggiunto Michele Prestipino. In effetti è una delle prime volte che gli inquirenti hanno tracciato il flusso di soldi dall'Italia al Brasile, passando per la Svizzera, attraverso alcuni istituti bancari e società finanziarie. I detective hanno seguito i quattrini.

Da Roma veniva trasportato nelle classiche valigette fino a Lugano. Qui, una volta al sicuro, dagli occhi attenti degli investigatori italiani, subiva il primo lavaggio: trasformato in dollaro e poi, attraverso bonifici di piccolo taglio, trasferito in Brasile, su conti correnti di banche online, per il pagamento della droga. Il totale documentato è enorme: oltre 1,4 milioni di euro in pochi mesi per circa mille chili di cocaina destinati alle piazze della Capitale.

Non solo. Il gruppo di narcos italiani avrebbe utilizzato per il trasporto in Svizzera persone insospettabili. Il riferimento è al personale diplomatico: «Per il trasporto fisico ci sono dei contatti, gente con passaporto diplomatico quindi consoli, viceconsoli, ambasciatori, che loro agli areoporti non li controllano e vanno direttamente», spiegava Mario Carlesi al suo interlocutore calabrese, ancora ignoto.

I diplomatici, secondo gli inquirenti, sarebbero interni all'ambasciata del Congo, in particolare della sezione distaccata di Pomezia.

Le prime tracce di questa pista congolese la polizia giudiziaria le trova in un'intercettazione ambientale: «Tassone (principale indagato ndr) ha spiegato al Carlesi che il suo compito consisteva nel ricevere 200.000 euro da soggetti di sua fiducia e portarli a Pomezia, dove si trovava l'ambasciata del Congo, ed era possibile operare transazioni internazionali».

Inoltre, scrivono i finanzieri della Capitale,«si aveva modo di apprendere come Tassone fosse in contatto con un personaggio toscano, della zona di Prato, di nome Mario con il quale poneva le basi per organizzare il trasferimento all'estero di un'ingente somma di denaro liquido, cedendolo nelle mani di un personaggio, non ancora identificato, legato all'ambasciata del Congo, con ufficio in Pomezia».

Un altro indizio della presenza di un complice diplomatico è la frase captata dalle cimici: «Il solito posto a Pomezia dove devono essere portati i dollari» I contatti con l'uomo dell'ambasciata li coltiva l'imprenditore toscano Carlesi. È lui che si spende per Tassone, che al toscano chiede: «Però se ci serve una macchina dell'ambasciata c'è la danno?». La risposta è significativa perché indica una certa confidenza con l'ambiente: «Posso chiederla».

È la seconda operazione antidroga in questa settimana portata a termine dai reparti speciali della finanza. Un doppio colpo che ha permesso il sequestro di oltre cinque tonnellate di polvere bianca. A Reggio Calabria, l'inchiesta coordinata dal pm Nicola Gratteri, ha svelato la rete globale di cui la 'ndrangheta è pedina centrale. Livorno, Genova, Gioia Tauro, sono gli hub di arrivo dei container pieni di droga. Rotterdam, Anversa, quelli esteri. La regia è altrove, tra gli Stati Uniti, il Sud e il Centro America. I broker delle 'ndrine vivono in quelle zone dove l'oro bianco viene prodotto o distribuito all'ingrosso. E da lì organizzano i viaggi verso l'Europa.

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