Più di duecento attentati, 151 morti, 360 feriti, 1077 arresti e 514 condanne penali. É questo il bilancio dell'ultimo rapporto sul terrorismo nei ventotto paesi dell'Unione europea realizzato dall'Europol e reso pubblico poche ore fa. Pubblicato ogni anno a partire dal 2006, il rapporto traccia tutti gli attentati che sono stati compiuti, sventati o rimasti irrealizzati nel corso dell'anno, oltre a registrare gli arresti, le eventuali condanne, le pene attribuite ai colpevoli. Sono quattro le categorie principali sotto le quali vengono registrati gli attentati: quelli di matrice jihadista, quelli legati al nazionalismo-separatismo (soprattutto in Spagna e Francia), quelli dell'estrema destra xenofoba, quelli riconducibili all'anarchismo e all'estrema sinistra.
Il bilancio è preoccupante: crescono gli attentati, soprattutto di matrice jihadista, aumenta la capacità di reclutamento e, soprattutto, i morti. Il numero degli attentati complessivi non è molto superiore a quello del 2014, ma il numero delle vittime sì: nel 2014 le vittime erano state 4, i feriti 6. L'anno scorso, invece, si sono registrati 151 morti e più di 360 feriti. L'aumento va ricondotto alla crescita e alla maggiore “efficacia” degli attacchi jihadisti, cresciuti da 4 a 17. Tutti i 211 attacchi tracciati nel 2015 sono stati compiuti in soli 6 paesi dell'Ue. Quasi la metà (103) nel Regno Unito, 72 in Francia (50 dei quali sono attacchi “separatisti”), 25 (18 dei quali “separatisti”) in Spagna. I morti sono 151, 148 in Francia, due in Danimarca e uno in Grecia. Il paese più colpito è la Francia, ricorda il direttore di Europol, Rob Wainwright nella prefazione. Gli attacchi di gennaio e novembre 2015 alla redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo e poi al Bataclan e agli altri locali parigini hanno causato 148 morti e più di 350 feriti.
Nel complesso, gli attacchi di matrice jihadista sono inferiori per numero a quelli classificati come “separatisti”, ma più letali. La minaccia più rilevante, dunque, è quella che viene dal terrorismo jihadista, strettamente legata a quella dei cosiddetti foreign fighters, che viaggiano da e verso le zone di conflitto. Gli attentati avvenuti in Francia nel 2015 segnano una sorta di punto di svolta, mettendo in evidenza la pericolosità dei gruppi terroristici riconducibili alla galassia jihadista. Capaci di pianificare e compiere attentati complessi in zone urbane. Ma i pericoli vengono anche dagli attentatori singoli. Non è un caso che uno degli “allegati” al rapporto sia dedicato proprio ai cosiddetti “lupi solitari”.
La maggior parte degli attentati jihadisti avvenuti nell'Unione europea nel 2015 sono stati condotti in nome dello Stato islamico, recita il rapporto. Prevenire simili attentati, soprattutto quelli compiuti da singoli individui, con legami superficiali o soltanto occasionali con le reti jihadiste internazionali, rimane una sfida enorme. Perché bisognerebbe essere in grado di individuare e seguire tutti gli individui che dimostrano simpatie all'ideologia dello Stato islamico. Un lavoro enorme, ammettono i redattori del rapporto.
Il direttore dell'Europol non usa mezzi termini: è chiaro che la minaccia contro l'Europa cresce ed è diversa dal passato, e coinvolge individui e organizzazioni di natura differente, la prima delle quali è appunto lo Stato islamico, capace di compiere attentati a proprio piacimento, perfino attentati multipli, contro una gamma di obiettivi eterogenea. Lo Stato islamico è l'organizzazione egemone nel jihad globale, ma come ricorda Rob Wainwright non è certo l'unica a impensierire l'intelligence europea. «Il pericolo posto da altri gruppi jihadisti non è diminuito», nota il direttore dell'Europol. Lo Stato islamico non è l'unica organizzazione in grado di colpire l'Europa, o di ispirare attentati. Anche al-Qaeda rimane una minaccia concreta, soprattutto al-Qaeda nella penisola arabica, la branca yemenita del gruppo fondato da Osama bin Laden, la quale anche in passato si è distinta per le particolari capacità operative e di pianificazione, e alla quale andrebbe attribuita almeno l'ispirazione dell'attentato contro la redazione di Charlie Hebdo. Il pericolo è accresciuto dal ritorno in patria di almeno un terzo dei combattenti europei – circa 5.000 secondo le stime – che si sono recati sul fronte siriano e iracheno. É vero che non tutti, e anzi una minima parte, decidono poi di compiere attentati in patria, ma rimangono un bacino di potenziali facilitatori e reclutatori. Una minaccia concreta.
Quanto alla pericolosità dello Stato islamico, i numeri non lasciano dubbi: dall'annuncio del Califfato nell'estate del 2015 al dicembre 2015, il gruppo guidato da Abu Bakr al-Baghdadi ha condotto o ispirato almeno 50 attacchi in 18 paesi, causando la morte di 1.100 persone e il ferimento di altre 1.700. La maggior parte di questi attacchi sono avvenuti in Medio Oriente e Nord Africa. Il pericolo per l'Europa rimane comunque alto. Lo dimostrano gli attentati di novembre 2015 a Parigi, altamente pianificati, frutto di una vera e propria evoluzione strategica, legata alla volontà di intimorire i cittadini europei. «Potrebbero essere replicati», dicono gli esperti che hanno contribuito al rapporto Europol. Nella pubblicistica dell'Is d'altronde le minacce sono frequenti, contro la Spagna, il Belgio, la Francia, il Regno Unito e l'Italia, che rimane un obiettivo sensibile.
Gli esperti dell'Europol sottolineano tre punti, nell'analisi degli attentati jihadisti: le cellule terroristiche dello Stato islamico che operano in Europa sono soprattutto “domestiche”, interne, o localmente basate; tra i terroristi interni, si registra un cambio di tendenza: da un lento processo di radicalizzazione a un reclutamento molto più rapido; nella selezione degli obiettivi, lo Stato islamico preferisce i soft target, perché più facili da colpire rispetto alle infrastrutture o alle sedi istituzionali e delle forze di sicurezza ma anche perché colpendo i soft target si intimorisce maggiormente la popolazione civile.
Il direttore dell'Europol nota inoltre come gli attacchi che sono stati condotti in territorio europeo riflettano sia le azioni dei cosiddetti lupi solitari, sia operazioni pianificate e attentamente organizzate. Il pericolo, spiega, è che si uniscano le competenze della leadership dell'Is in Medio Oriente e la volontà di violenza di chi invece è nato e cresciuto in Europa, per poi “convertirsi”, più o meno velocemente, al culto jihadista della morte. Si tratta di una minoranza, riconosce Ron Wainwright, ma di una minoranza pericolosa, perché fonda le proprie convinzioni e spesso azioni su un fanatismo irriducibile.
Tra le altre tendenze registrate nel rapporto, va notata la crescente presenza di militanti donne nelle fila dei gruppi jihadisti. «Una percentuale significativa di tutti i terroristi stranieri che si recano in Siria e Iraq oggi è composta da donne. Circa il 40 per cento di tutte gli olandesi che sono o sono stati in Siria o Iraq è composto da donne», che si dimostrano ottime reclutatrici in Europa.
Il rapporto di Europol è anche una risposta indiretta a chi continua a sostenere, soprattutto tra le fila dei partiti nazionalisti e xenofobi, che i gruppi terroristici adoperino i canali delle migrazioni “illegali” per far viaggiare i propri membri. Non è così, dicono gli esperti di Europol. «Per ora non c'è alcuna prova concreta che i terroristi usino sistematicamente i flussi di rifugiati per entrare in Europa senza essere individuati», anche se rimane il rischio che una parte dell'immensa diaspora siriana sunnita possa essere vulnerabile alla radicalizzazione, in Europa.
É invece concreto il rischio che l'estrema destra sfrutti il dibattito sulle migrazioni in Europa per polarizzare le posizioni e capitalizzare il dibattito a proprio vantaggio. Per questo, l'Europol invita ad anticipare la prevedibile crescita della propaganda estremista sui social network, attraverso un'azione dei singoli governi e dell'Ue, oltre a prestare maggiore attenzione ai gruppi di “sentinelle volontarie” che in molti paesi nascondono gruppi estremisti. Azioni violente, attacchi, inclusi gli omicidi, «potrebbe aumentare sensibilmente, in futuro».
Sulle risposte delle istituzioni europee, il rapporto enfatizza gli arresti e i procedimenti penali. Sono 1077 le persone arrestate (il 64 per cento cittadini europei) per reati legati al terrorismo, rispetto alle 774 del 2014, la maggior parte delle quali in Francia (424), Spagna (187) e Regno Unito (134). La maggior parte degli arresti (687) avvenuti in Europa nel 2015 hanno riguardato il terrorismo jihadista, molti meno (168) quelli legati al separatismo nazionalista, all'anarchismo e all'estrema sinistra (67) e alla destra xenofoba (11, molti meno rispetto ai 34 del 2014, a dispetto di una crescita degli attentati).
I procedimenti penali legati al terrorismo nel 2015 sono stati 217. Riguardano 513 individui, di cui 85 donne. Per la prima volta dal 2008, la maggior parte dei verdetti riguarda casi di terrorismo jihadista, con punte rilevanti in Austria, Cipro, Danimarca, Svezia e Belgio, che registra il più alto numero di condanne per terrorismo jihadista, 120. Significativo l'aumento degli arresti per attività jihadiste, da 395 nel 2014 a 687 nel 2015.
Al di là degli arresti, rimangono molti aspetti irrisolti nella lotta al terrorismo in chiave europea. Nei giorni successivi all'attentato alla redazione di Charlie Hebdo il Consiglio ministeriale “Giustizia e Affari interni” dell'Ue ha elaborato la “dichiarazione di Riga”, in cui si invoca un rafforzamento delle misure anti-terrorismo, sia all'interno di ogni Stato membro sia tra gli Stati membri, oltre a riconoscere espressamente che il terrorismo, la radicalizzazione, il reclutamento e il finanziamento delle attività terroristiche sono pericoli rilevanti per la sicurezza interna dell'Europa. Alla dichiarazione di Riga hanno fatto seguito una risoluzione del Parlamento europeo, una dichiarazione dei Capi di Stato e l'adozione di una nuova Internal Security Strategy. In pratica, ne è scaturito lo European Counter Terrorism Center (ECTC), ufficialmente operativo dal 25 gennaio 2016, che dovrebbe favorire la cooperazione transfrontaliera tra le varie agenzie anti-terrorismo e la raccolta comune di dati e informazioni. Il direttore di Europl lo dice a mezza bocca: il problema più grande è proprio questo. Superare le reciproche diffidenze, le resistenze a cooperare. Perché solo la cooperazione transnazionale può produrre risultati concreti, di fronte a minacce dalla natura spesso globale.