Attualità
2 maggio, 2025

Wissem Latif ucciso da uno Stato forte con i deboli

Dopo un calvario nel Cpr di Roma e in ospedale, è morto dimenticato e legato mani e piedi. Ora gli sia data giustizia

È morto legato mani e piedi a un letto di ospedale, tenuto in contenzione per più di cento ore, sedato, dopo quattro anni di calvario in cui non ha conosciuto altro che privazione della libertà e della dignità, senza avere commesso alcun reato. Wissem Ben Abdel Latif aveva 26 anni il 28 novembre 2021, quando la sua vita è stata orribilmente spezzata. Dopo un’agonia silenziosa, dimenticato in un corridoio dell’ospedale “San Camillo” di Roma, dove era stato ricoverato su disposizione dello psichiatra, a causa delle condizioni in cui era stato ridotto nel Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) della capitale. Aveva attraversato il Mediterraneo, partendo da Kebili, un piccolo paese della Tunisia, e arrivando a Lampedusa il 3 ottobre 2021, con l’obiettivo di andare in Francia dallo zio per lavorare in una pizzeria e aiutare la famiglia a casa. E invece ha vissuto sulla sua pelle tutta la trafila dell’orrore dei tempi: confinato sulle navi quarantena, poi nel Cpr di Ponte Galeria, uno dei tanti lager in cui chi governa costringe le persone migranti, infine, senza aver avuto un giorno di libertà, è stato prima ricoverato e contenuto all’ospedale “G.B. Grassi” di Ostia e poi trasferito al “San Camillo” dove, sempre contenuto, è stato sottoposto a un trattamento farmacologico molto pesante, nonostante i parametri clinici denunciassero il peggioramento delle sue condizioni di salute. Dopo più di cento ore legato, senza mai essere assistito da un mediatore, il suo cuore ha smesso di battere.

 

Qualche giorno prima, il 24 novembre, il giudice di pace di Siracusa aveva annullato in via provvisoria il provvedimento di respingimento e di trattenimento presso il Cpr di Ponte Galeria, decidendo di rimetterlo immediatamente in libertà. Wissem non avrebbe mai dovuto essere rinchiuso, come denuncia l’avvocato della sua famiglia, Francesco Romeo. Invece nessuno gliel’ha detto e lui è morto per arresto cardiaco causato dai sedativi somministrati in dosi superiori alla terapia prescritta, secondo la tesi della Procura. Per un trattamento al quale non aveva mai dato il consenso, nemmeno inquadrato da un regime di trattamento sanitario obbligatorio. La famiglia è stata informata della sua morte solo dopo quattro giorni.

 

«Nostro figlio era sano. Che cosa gli hanno fatto?», ripetono Henda e Kamal Latif, mamma e papà di Wissem. Come qualsiasi genitore al mondo, non accettano di perdere un figlio, figurarsi in questa maniera. Fa male, molto male. Vogliono verità e giustizia, per lui e perché tragedie così non accadano più. Con questo obiettivo si sono costituiti in giudizio e su loro impulso, a marzo 2022, è nato il “Comitato verità e giustizia per Wissem Ben Abdel Latif”, sostenuto da molte realtà, tra cui Baobab Experience, Memoria Mediterranea e Rete dei Numeri Pari. Lo scorso 9 aprile i genitori di Wissem erano a Roma per partecipare all’udienza preliminare per omicidio colposo e falso a carico dell’infermiere. Nonostante le responsabilità non possano essere scaricate su un singolo operatore e gli errori si mischino con gli orrori. Conseguenza di una politica che da anni criminalizza la povertà, reprime chi è considerato invisibile, perseguita la solidarietà, rifiuta la cooperazione. La verità è che Wissem è morto con lo Stato addosso, ucciso da un Paese forte con i deboli e debole con i forti. Il processo è stato rinviato al 10 settembre. Il Comitato ha lanciato una campagna di sottoscrizione per sostenere le spese e garantire la presenza dei genitori. La sua storia riguarda tutti e tutte. Facciamo Eco!

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