Forse chi è riuscito a cogliere meglio il senso di vuoto che Amy Winehouse ha lasciato dietro di sé è stato George Michael: «Solo ascoltando Amy ho avuto la certezza che il rock potesse generare un culto». Ultimo esemplare di una razza estinta, l'artista inglese, scomparsa il 23 luglio 2011, è vissuta e morta seguendo un copione che ci riporta agli anni torridi del rock a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta, quando andavano di moda il Chelsea hotel e la musa eroina.
Perfino l'età, i fatidici 27 anni, è la stessa in cui dissero addio al mondo Jimi Hendrix, Janis Joplin, Jim Morrison e altri angeli del rock di estremo talento e massima sregolatezza schiantati come lei dall'abuso di alcol e droghe. Il che non farà che aumentare le sue quotazioni nel macabro conteggio delle star maledette divenute post mortem oggetto di culto miliardario da parte delle case discografiche e dei fan.
A questo proposito la dice lunga l'uscita natalizia dell'album postumo "I Tesori nascosti della leonessa Amy Whinehouse", a cura del padre Mitch, ex tassista, e dei produttori Salaam Remi e Mark Ronson. Ma che difficilmente riuscirà a sostenere il confronto con il capolavoro "Back to Black".
Nessuno quando la Winehouse era in vita è riuscito a fermare il treno in corsa. A curare quella cicatrice profonda che la depressione, la fragilità emotiva e le ferite d'amore avevano lasciato nell'anima. Né il talento, né le lusinghe del successo, né l'adorazione dei fan: «La musica è l'unica terapia che ho a disposizione per trasformare il fallimento in vittoria», diceva lei. Infatti è proprio da quella ferita, come una perla dall'ostrica, che sembrava trovare alimento la magia di quella voce incrinata dalla disperazione così magnetica, affascinante, unica. Che a voler trovare a tutti i costi dei paragoni è più vicina musicalmente a quella di Billie Holliday e delle grandi vocalist del dopoguerra che non a quella dei rocker anni Settanta.
Amy sognava di cantare "Body and Soul" con Tony Bennet, il suo idolo. E il suo desiderio alla fine si è avverato. Il duetto con il crooner resta infatti la sua ultima registrazione, il suo testamento: "Lavorare con lei è stato come sentire un brivido infinito lungo la schiena", ha spiegato lui. Lo stesso brivido che ci coglie ogni volta che ascoltiamo la sua voce.