Cacciari e Kristeva. Sorbona e Accademia di Svezia. Per un cammino comune tra cattolici e non credenti. Intervista all'ideatore Gianfranco Ravasi
di Angiola Codacci-Pisanelli
16 febbraio 2011
Bologna, per cominciare. E poi Parigi. E presto Stoccolma, Monaco, Washington, Tirana. Ha già in programma molte tappe l'offensiva vaticana per il dialogo con gli atei. Un progetto che prende il nome di "Cortile dei gentili" e che si propone di mettere a confronto atei e credenti su temi universali e dilemmi quotidiani: quelli davanti ai quali, come ha detto il cardinal Martini al tempo della sua "Cattedra dei non credenti", "ciascuno di noi ha in sé un credente e un non credente che si interrogano a vicenda". A esporre il progetto è il cardinal Gianfranco Ravasi, ministro della Cultura del Vaticano e convinto sostenitore di un dialogo che "non nasconde nessun intento di conversione , ma la convinzione che fede e ragione non sono solo due rette parallele, ma hanno punti d'incontro".
Com'è nata l'idea del "Cortile dei gentili"? "Il punto di partenza è un discorso che Benedetto XVI ha fatto a Natale del 2009, quando ha auspicato che si creasse uno spazio di dialogo tra credenti e non credenti, dove gli uomini possano interrogarsi su Dio anche senza conoscerlo. Il simbolo nasce dal Tempio di Gerusalemme. Nel tempio - quello che fu frequentato anche da Gesù - oltre allo spazio riservato agli ebrei c'era un cortile per i pagani, che agli occhi degli ebrei erano come gli atei dei nostri giorni. Chi cercava di varcare quella frontiera rischiava la condanna a morte. Proprio a questo sembra riferirsi San Paolo quando scrive ai cristiani di Efeso che Cristo è venuto per abbattere il muro che divide gli ebrei dai gentili, riconciliando tutti e due in un solo corpo".
Quindi era uno spazio di dialogo ma anche di separazione netta... "Sì. Noi invece vogliamo che, pur rimanendo ognuno nel suo territorio, ci si confronti e ci si ascolti. Perché, come ha detto il cardinal Martini, capita anche al credente di scivolare sotto il cielo dell'incredulità".
A Bologna il 12 febbraio il dialogo sarà tra Barbera, Cacciari, Givone: e l'ateo "comune"? "Vogliamo partire da un dialogo di alto livello per affrontare i temi fondamentali da un punto di vista antropologico: vita e morte - e "oltrevita", se è il caso... Bene e male. Amore e dolore. Verità e menzogna. Trascendenza e immanenza. Ma anche libertà, solidarietà, le radici etiche comuni. La settimana scorsa ho incontrato Giulio Giorello, che è interessato agli incontri che vorremmo fare nelle università milanesi. Lui mi ha proposto temi importanti di bioetica, medicina, economia. Io gli ho risposto con una provocazione: parlare della spiritualità dell'ateo - perché anche chi non crede ha una sua spiritualità. L'ateismo provocatorio, quello di Piergiorgio Odifreddi, di Michel Onfray, di Cristopher Hitchens, lo affronteremo in futuro. È un livello diverso, più popolare, un fenomeno principalmente sociologico. Inizialmente vogliamo muoverci sul versante dell'ateismo "alto"".
E si comincia all'Università di Bologna. "Tengo a sottolineare che non è un'iniziativa ecclesiastica: la organizza l'Università. Io farò il saluto, insieme al rettore, ma a dialogare saranno laici, non "professionisti del sacro". A Stoccolma, dove lavoriamo con l'Accademia delle scienze, mi hanno proposto di chiamare anche una teologa protestante che è, però, un vescovo luterano. Ho risposto che pur essendo una persona di valore, sarebbe meglio trovare qualcuno che non abbia un ruolo istituzionale. Il "Cortile dei gentili" non è un luogo per un confronto istituzionale: non si deve fare una trattativa per arrivare a un documento comune, è un momento di dialogo".
Ma il dialogo è possibile solo con filosofi? "Stiamo cercando di farlo anche in altri campi. A dicembre ho invitato un grande astrofisico, John Barrow, di Cambridge, che ha tenuto una bellissima lezione sul "multi-verso". Perché ormai non si parla più di "uni-verso": e per studiare questa realtà si usa un linguaggio che è fatto sempre più di simboli, non più meramente sperimentale. È una complessità che mi ricorda quella bellissima immagine di Wittgenstein: "Volevo studiare i contorni di quell'isola che è l'uomo, alla fine ho scoperto invece i confini dell'oceano". Ecco: se guardo di qua vedo un'isola, che è finita, comprensibile, sperimentabile. Ma intanto sulla mia pelle battono le onde dell'oceano, che è qualcosa che ci trascende. Questo qualcosa il credente lo chiama Dio, il non credente avrà altre parole, ma l'importante è che ci si ponga la domanda. Tornare ai grandi temi aiuta anche ad andare contro la temperie socioculturale che ci circonda, e che tende alla banalità, alla superficialità. Pensiamo a come è concepita la relazione uomo-donna, nelle vicende di questi giorni: un contatto sessuale in cui non c'è più elaborazione, né eros, né tenerezza. Sono temi religiosi e non religiosi al tempo stesso, e quindi sono passibili di due letture diverse, di due approfondimenti".
Quindi si parte dal rispetto reciproco, e nessuno vuole arrivare alla conversione dell'altro. "Certo, anche se sia i credenti sia i non credenti si presentano al confronto con la loro testimonianza di vita. Una cosa importante proprio qui in Italia è mostrare al non credente medio che la teologia non è fantasia pura, ma è un sistema coerente, frutto di 20 secoli di pensiero di giganti come Agostino, Tommaso d'Aquino, Pascal, Cartesio, Kierkegaard... Come ha detto un grande scienziato ateo, Stephen Jay Gould, scienza e religione hanno magisteri non sovrapponibili ma non conflittuali. La conoscenza non è soltanto quella scientifica: c'è la conoscenza poetica, la conoscenza dell'amore. Sono sistemi diversi, ma questo non vuol dire che uno sia vero e l'altro no: sono veri tutti e due. Filosofia, teologia, scienza hanno linguaggi paralleli che danno conoscenza del reale. Io poi sono convinto che non sono solo paralleli, piuttosto si incrociano, ma questa è una cosa in più".
Tra atei e credenti oggi si tende a sottolineare le somiglianze più delle differenze. È giusto? "I due livelli devono mantenere la distanza senza arrivare al conflitto. Dobbiamo evitare il fondamentalismo, ma anche il sincretismo: che sarebbe cercare di arrivare a un accordo di minima. La ricchezza è nella diversità. Non dobbiamo fare un duello ma un duetto: e in un duetto tra un soprano e un basso, il basso non deve cantare in falsetto. Il nostro dialogo deve avere come fine proprio la conservazione delle diversità".
E un dialogo con gli artisti è possibile? "Il dialogo tra arte e fede, che è stato fondamentale per la storia dell'arte, si è interrotto. Il risultato è che l'arredo delle chiese è scaduto nell'artigianato, e l'arte parla una lingua che la gente non capisce più. Io mi sono posto il compito di cercare di riaprire questo dialogo. Anche con la partecipazione alla Biennale, che però non è facile da organizzare: il Vaticano non ha artisti "di Stato", bisogna scegliere tra opere dei cinque continenti, e trovare un tema interessante, che non sia vago o new age. Speravo di farcela nel 2011, forse sarà il 2013".
Dopo Bologna come continuerà il "Cortile"? "L'evento più impegnativo è a Parigi il 24 e 25 marzo. Tra gli organizzatori ci sono l'Unesco, la Sorbona, l'accademia di Francia. Parteciperanno il ministro dell'Istruzione quello della Cultura, e i più importanti intellettuali francesi. Un grande aiuto lo sta dando Julia Kristeva, una persona davvero geniale. L'evento conclusivo sarà nella piazza di Notre Dame, e finirà con una preghiera della comunità di Taizè. Poi sono in preparazione appuntamenti negli Usa, in Germania... Quello che trovo particolarmente interessante è a Tirana. L'Albania era l'unico Stato in cui l'ateismo era sancito dalla costituzione, e ancora oggi all'università c'è una cattedra di ateismo - la cosa curiosa è che il docente è un cattolico... Intanto vediamo se riusciamo a riempire Bologna: 1.600 posti, una bella scommessa. Da lì vedremo se il dialogo potrà camminare da solo, perché nascano tanti cortili indipendenti".